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“Braveheart”, un’epopea cattolica: il cuore impavido e la fede d’acciaio di William Wallace

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Il Timone - pubblicato il 15/01/17
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di Antonio Giuliano

 Epico, imperdibile, emozionante… È lunga la lista dei sinonimi per Braveheart (Cuore impavido) il film del 1995 diretto e interpretato da Mel Gibson. Un omaggio all’eroe nazionale scozzese William Wallace (1270-1305) il condottiero che guidò i suoi connazionali alla ribellione contro l’occupazione inglese. Chi non ricorda l’arringa prima della battaglia: «Certo, chi combatte può morire.. chi fugge resta vivo, almeno per un po’… agonizzanti in un letto, fra molti anni da adesso, siete sicuri che non sognerete di barattare, tutti i giorni che avrete vissuto a partire da oggi, per avere un’occasione, solo un’altra occasione, di tornare qui sul campo a urlare ai nostri nemici, che possono toglierci la vita; ma non ci toglieranno mai… la libertà!»

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Peccato che il film incappi nel falso storico dello “Ius primae noctis”, il mito (inventato da uno scozzese nel 1526) secondo cui nel Medioevo i feudatari avevano il diritto di portarsi a letto le spose dei loro sudditi nella prima notte di matrimonio.

E un altro dettaglio trascurato è  la «fervida fede cattolica» di Wallace come ha sottolineato l’Associazione Tradizione Famiglia Proprietà che dopo studi e ricerche in Scozia, ha ricostruito la biografia del nostro eroe: «William nasce nel 1270, secondo figlio di Sir Malcolm Wallace. Avviato alla vita ecclesiastica, egli riceve un’accurata educazione presso gli Agostiniani e i Benedettini, in Scozia e a Roma. Oltre alla madrelingua, il gaelico, parlava correntemente l’inglese, il latino, il francese e il tedesco. Sua madre, una donna molto devota, gli regala un Salterio, che egli pregherà ogni giorno della sua vita. Sin da piccolo, William faceva frequenti pellegrinaggi. Sono documentate le sue visite ai santuari di Dumfernline, Stirling e Strathaven. La tradizione vuole che egli abbia intrapreso il noviziato presso i Benedettini. Un fatto di sangue sconvolgerà la sua vita, facendogli abbandonare la vocazione religiosa e proiettandolo invece nell’occhio del ciclone degli avvenimenti politici. Nel 1292 una pattuglia inglese al comando di sir John Fenwick scova e uccide a sangue freddo suo padre e suo fratello maggiore, colpevoli di rifiutare il giuramento a Edoardo I d’Inghilterra e di sostenere, invece, la causa del Re scozzese John Balliol. Poco tempo dopo, William si scontra con un gruppo di soldati inglesi uccidendone due e ferendone quattro. Ricercato dalle forze dell’ordine, egli ripara in Dundee, dove si batte a duello e uccide il figlio del governatore anglofilo della città, tale Selby.

Braccato dai soldati, William si dà alla macchia con un manipolo di seguaci. Il futuro eroe non indossava il kilt, come nel film di Mel Gibson, bensì un abito religioso, sotto il quale portava la maglia di ferro. Sotto la tonaca nascondeva la sua lunga spada. In queste vesti, metà monaco e metà guerriero, egli percorre le Highlands, ricevendo ad ogni passo l’appoggio dei contadini, che lo incitano a mettersi a capo di una rivolta nazionale. Anche gli Agostiniani, i Benedettini e perfino il vescovo di Glasgow lo esortano in questo senso. Egli comincia ad essere acclamato come uomo provvidenziale. Il 1° luglio 1297 Edoardo I invita i nobili scozzesi a firmare un accordo di pace, garantendo personalmente la loro incolumità. Giunti al luogo dell’incontro, però, vengono massacrati a sangue freddo. Quel giorno sparisce il fior fiore dell’aristocrazia scozzese. Anche William doveva partecipare all’incontro, ma a sorpresa sceglie di non presentarsi. Si diffonde la voce che egli si sia fermato per ragioni misteriose in una chiesa per pregare, e che sant’Andrea, patrono della Scozia, gli sia apparso avvertendolo delle macchinazioni di Edoardo. A questo punto scoppia la ribellione contro l’invasore inglese.

Seguono la decisiva vittoria del Ponte di Stirling (11 settembre 1297), e la non meno decisiva sconfitta di Falkirk (22 luglio 1298). Sir William, nel frattempo nominato Lord Guardian of Scotland, parte alla volta di Roma, dove ottiene da Papa Bonifacio VIII una bolla (27 luglio 1299) che esorta Edoardo I a lasciare la Scozia. Nonostante queste mosse, uno dopo l’altro tutti i nobili scozzesi prestano giuramento a Edoardo, lasciando William Wallace completamente isolato. Tradito da uno dei suoi, il 22 agosto 1305 Wallace è processato a Westminster Hall, Londra, e condannato a morte. Sul patibolo, egli si confessa con l’arcivescovo di Canterbury e chiede, come ultimo desiderio, di poter pregare il Salterio. Muore sventrato mentre recita i Salmi penitenziali. Un sacerdote inglese, presente all’esecuzione, affermerà più tardi di aver visto la sua anima accolta in Cielo da una schiera di angeli. Fatto o leggenda, questa visione di Braveheart portato in Cielo dagli angeli sarà un tema ricorrente nei sermoni per molti anni».

La storia vera è insomma ancora più bella del film. Come è stato fatto notare: «Nel 1320, pochi anni dopo la vittoria di Robert Bruce, che aveva assicurato finalmente l’indipendenza al paese, davanti alla costante minaccia inglese, i nobili di Scozia, capi dei clan, rappresentanti del popolo di Scozia, si radunarono in un’abbazia benedettina, ad Arbroath, e stesero un manifesto che è un inno alla libertà e che non ha niente da invidiare alle moderne dichiarazioni dei diritti degli uomini tanto decantate. Questo manifesto era una lettera che gli scozzesi scrissero al Papa, firmandosi “la comunità di Scozia”, quindi non facendo appello a Stato o nazione, ma alla comunità, chiedendo di essere lasciati liberi e di poter vivere in pace in virtù della loro dignità di battezzati. “In verità non è per la gloria, non per le ricchezze, non per gli onori che noi combattiamo, ma per la libertà, per quella sola a cui nessun uomo retto rinuncerebbe anche a prezzo della vita stessa…”. Questo commovente manifesto si fondava dunque unicamente sul diritto a essere liberi per il fatto di essere cristiani, per la dignità che viene dal battesimo. Il Papa scrisse al re d’Inghilterra dicendo di lasciar stare gli scozzesi, e la Scozia poté godere di quel periodo di fioritura in pace che diede una civiltà di monasteri, di castelli, di università» (Paolo Gulisano).

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