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La sensibilità è solo donna?

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Silvia Lucchetti - Aleteia - pubblicato il 12/01/17
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La necessità di riscoprire una sensibilità autentica attraverso il rapporto maschile femminileLA SENSIBILITÀ “ROMANTICA”

Bel dilemma la sensibilità! Una volta considerata caratteristica dei grandi poeti, dei pensatori, degli artisti, pittori, musicisti, ma anche di una minoranza di uomini e donne comuni con qualità fuori dall’ordinario tenuto conto del loro status socio-culturale. Una dote preziosa, riservata a pochi individui speciali, che ci piaceva immaginare disordinati ma mai “perduti”, dediti allo studio, alla bellezza, alla difesa dei più deboli e in un eterno confronto interiore con forti emozioni, non raramente fra loro contrastanti.

LA SENSIBILITÀ AL FEMMINILE – FEMMINISTA

Poi l’aggettivo “sensibile” è divenuto un attributo quasi esclusivo della femminilità, con un’accezione più o meno velatamente negativa. Il commento: “È una ragazza davvero sensibile” faceva venire in mente una fanciulla a metà tra musa ispiratrice e femmina umorale, dallo sguardo dolce ma pronto alla conversione drammatica, dal carattere delicato e allo stesso tempo incline all’irritazione, dalla lacrima facile… troppo facile, e dalla favella emotivamente ridondante.

La sensibilità è poi diventata donna in senso nettamente positivo e quasi esclusivo – in quanto sinonimo di capacità di ascolto, di empatia, di attenzione ai bisogni e ai problemi dell’altro, di maggiore profondità d’animo – fino a essere veicolata come l’attributo principe della dimensione umana. Le donne l’hanno indossato come dress code, fino a farlo diventare in ambito famigliare e affettivo una divisa di genere che di fatto esililia ingiustamente il maschio “colpevole” di superficialità, pochezza d’animo, aggressività caratteriale, e di una terribile aridità di sentimenti. Così di fatto la donna ha privato se stessa (e di conseguenza anche i figli) di quella rudezza maschile salvifica, di quella concretezza virile che riporta con i piedi per terra, della mascolinità e della forza necessaria, oggi tanto disprezzata ma così naturalmente fondamentale, di cui la donna ha bisogno per centrarsi, per rientrare in sé, per riarginarsi.

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A questo punto viene in mente “Il maschio selvatico” di Claudio Risé (dato alle stampe per la prima volta nel 1992), e in proposito riporto uno stralcio di un articolo di Costanza Miriano sul famoso saggio ripubblicato in una versione aggiornata nel 2015. Scrive la giornalista:

«Oggi (…) ci vogliono far credere che non ci siano più neanche i sessi, e comunque ormai il messaggio che pare avere vinto è che tutto ciò che è istinto maschile, rudezza, autorevolezza, tutto ciò che è selvatico, forte, potente, va rifiutato, controllato, gestito, contenuto. Una vera character assassination del genere maschile. (…) Oggi ai maschi che stanno crescendo, che stanno diventando grandi, arriva praticamente da ogni parte una sorta di incoraggiamento a scusarsi per essere come sono. Claudio Risé fa una fenomenale fotografia del fenomeno, e un’analisi del suo sviluppo e delle conseguenze, e reclama l’urgenza di ridare centralità alla dimensione selvatica del maschio, perché come diceva Leonardo da Vinci, “selvadego è colui che si salva”, fisicamente e spiritualmente, proprio grazie al contatto con la natura profonda».

LA SENSIBILITÀ AUTENTICA

La sensibilità ai giorni nostri si è trasformata in un sentire molto superficiale, epidermico, vuoto. Vi è ad esempio una diffusissima sensibilità nei confronti degli animali ma una grave indifferenza per l’anziano, il malato, il neonato. Anche il Papa parlò di questo atteggiamento nell’udienza generale del 14 maggio 2016:

«(…) la pietà non va confusa neppure con la compassione che proviamo per gli animali che vivono con noi; accade, infatti, che a volte si provi questo sentimento verso gli animali, e si rimanga indifferenti davanti alle sofferenze dei fratelli. Quante volte vediamo gente tanto attaccata ai gatti, ai cani, e poi lasciano senza aiutare il vicino, la vicina che ha bisogno… Così non va».

D’altro canto viviamo in un mondo ossessionato dal potere, dal profitto, dal risultato, dall’efficienza, dalla perfezione e dalla prestazione, dove la sensibilità autentica, spesso scambiata per fragilità e debolezza, fatica a trovare spazio. Eppure essere fragili ci ricorda che siamo umani, fallibili, incompleti, bisognosi dell’altro/Altro. Forse la chiave per riscoprire una sensibilità vera e non cosmetica, una sensibilità profonda che ci metta in relazione sincera e si faccia carico dell’altro, risiede nella riscoperta del valore e della differenza complementare del maschile e del femminile. La sensibilità infatti non è prerogativa assoluta della donna; anzi, con la mediazione del maschile, attraverso le sue qualità, può divenire più matura, attenuare quei tratti di istintività immediata e pietismo che a volte la caratterizzano. Lo stesso vale nel verso maschile-femminile in quanto la donna è chiamata ad integrare e completare il “buon senso” del suo compagno di vita. Le peculiarità di ciascuno dei due sessi sono perciò fondamentali e arricchenti, aiutano a sentire meglio, ad essere appunto sensibili sensatamente.

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