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“Dubia” sui sacramenti ai risposati, la via di Vallini

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Andrea Tornielli - Vatican Insider - pubblicato il 07/01/17
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Il cardinale Vicario: «Il Papa non dice che bisogna ammettere ai sacramenti, sebbene non lo escluda in alcuni casi e ad alcune condizioni». Né rigorismo né lassismo«Il Papa usa il condizionale, dunque non dice che bisogna ammettere ai sacramenti, sebbene non lo escluda in alcuni casi e ad alcune condizioni». C’è un intervento poco citato nel dibattito suscitato dall’esortazione apostolica post-sinodale «Amoris laetitia» circa la possibilità per i divorziati risposati, in alcuni casi e a certe condizioni, di accostarsi ai sacramenti. È questo l’oggetto dei cinque «dubia», le domande rese pubbliche da quattro cardinali i quali contestano la possibilità di qualsiasi apertura al riguardo. Il testo in questione, reso noto prima della presentazione dei «dubia», è del cardinale Agostino Vallini, il Vicario del Papa per la diocesi di Roma. Le sue parole sono particolarmente significative perché dicono come «Amoris laetitia» viene applicata nella diocesi di Francesco. La via di Vallini, come si vedrà, non cede al lassismo del «liberi tutti», non presenta mai i sacramenti come un diritto da poter rivendicare, e al tempo stesso fa propria l’apertura indicata dal Pontefice il quale – com’è noto – ha invitato al discernimento e a valutare caso per caso l’esistenza di circostanze attenuanti.

Il cardinale ha offerto queste indicazioni pastorali nella relazione tenuta nel settembre 2016 al convegno su Amoris laetitia della diocesi di Roma. «Mentre ci è chiesto di essere fedeli alla dottrina della Chiesa – ha detto – che rimane quella di sempre, ci è chiesto anche di non fermarci all’osservanza della norma morale ma di prenderci cura delle persone segnate – dice il Papa – “dall’amore ferito e smarrito” e “si trovano in mezzo alla tempesta”». Bisogna dunque «cominciare ad occuparci di queste persone, andandole anche a cercare. Le occasioni non mancano».

«È necessario – spiega Vallini – distinguere le varie situazioni. I casi più delicati sono quelli dei divorziati risposati legati da un precedente vincolo sacramentale. Il primo aiuto da offrire è di prodigarci per mettere a loro disposizione un servizio d’informazione e di consiglio in vista di una verifica della validità del matrimonio.

Come muoverci in concreto? Il parroco (gli operatori pastorali o chiunque) prenda l’iniziativa di parlarne con gli interessati, li incoraggi a far esaminare il loro caso e proponga un colloquio con gli addetti del Tribunale del Vicariato per accertare l’esistenza o meno del fondamento per una causa di nullità». Le recente riforma del processo di nullità con le norme più rapide e snelle varate da Francesco hanno lo scopo di favorire questa verifica.

Quando la via processuale non è percorribile, «perché il matrimonio è stato celebrato validamente ed è naufragato per altre ragioni, dunque la nullità matrimoniale non può essere né dimostrata, né dichiarata, è necessario – aggiunge il cardinale Vicario – sviluppare un’azione pastorale, che preveda un lungo “accompagnamento”, nella linea del principio morale del “primato della persona sulla legge”».

«Queste persone – osserva Vallini – sono in difficoltà con la vita cristiana, hanno bisogno di essere accolte, di sentirsi ripetere spesso che il Signore non è lontano da loro, particolarmente quando “hanno subito ingiustamente la separazione, il divorzio o l’abbandono, oppure sono stati costretti dai maltrattamenti del coniuge a rompere la convivenza” (AL, 242), ma anche, all’opposto, quando vivono situazioni di cui sono stati essi i responsabili. Sono casi difficili, uno diverso dall’altro, a cui avvicinarsi con carità e rispetto, evitando il rischio sia della rigidità che dell’arbitrarietà».

Il Vicario di Roma tocca poi il caso specifico dei divorziati risposati: «Bisogna distinguere: una cosa è “una unione consolidata nel tempo, con nuovi figli, con provata fedeltà, dedizione generosa… e grande difficoltà a tornare indietro senza sentire in coscienza che si cadrebbe in nuove colpe. La Chiesa riconosce situazioni in cui l’uomo e la donna, per seri motivi – quali, ad esempio, l’educazione dei figli – non possono soddisfare l’obbligo della separazione. C’è anche il caso di quanti hanno fatto grandi sforzi per salvare il primo matrimonio e hanno subito un abbandono ingiusto, o quello di coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell’educazione dei figli, e talvolta sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido. Altra cosa è un nuova unione che viene da un recente divorzio, con tutte le conseguenze di sofferenza e di confusione che colpiscono i figli e le famiglie intere”. In questi casi il Sinodo ha chiesto un cammino lungo di riconciliazione con se stessi, di discernimento da parte dei pastori, perché “non esistono ricette semplici” (AL, 298)».

Il passo successivo, indica Vallini seguendo il percorso di «Amoris laetitia», è un «responsabile discernimento personale e pastorale». «Per esemplificare: accompagnare con colloqui periodici, verificare se matura la coscienza di “riflessione e di pentimento”, l’apertura sincera del cuore nel riconoscere le proprie responsabilità personali, il desiderio di ricerca della volontà di Dio e di maturare in essa. Qui ogni sacerdote ha un compito importantissimo e assai delicato da svolgere, evitando il “rischio di messaggi sbagliati”, di rigidità o di lassismo, per concorrere alla formazione di una coscienza di vera conversione e “senza mai rinunciare a proporre l’ideale pieno del matrimonio” (AL, 307), secondo il criterio del bene possibile».

Questo discernimento pastorale delle singole persone, afferma il cardinale, «è un aspetto molto delicato e deve tener conto del “grado di responsabilità” che non è uguale in tutti i casi, del peso dei “condizionamenti o dei fattori attenuanti”, per cui è possibile che, dentro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o non lo sia in modo pieno – si possa trovare un percorso per crescere nella vita cristiana, “ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa”».

Vallini sottolinea come il testo dell’esortazione apostolica non vada oltre, ma ricorda anche che nella nota 351 si legge: «In certi casi, potrebbe essere anche l’aiuto dei sacramenti». Il Papa, fa notare il porporato, «usa il condizionale, dunque non dice che bisogna ammettere ai sacramenti, sebbene non lo escluda in alcuni casi e ad alcune condizioni. Papa Francesco sviluppa il magistero precedente nella linea dell’ermeneutica della continuità e dell’approfondimento, e non della discontinuità e della rottura. Egli afferma che dobbiamo percorrere la “via caritatis” di accogliere i penitenti, ascoltarli attentamente, mostrare loro il volto materno della Chiesa, invitarli a seguire il cammino di Gesù, far maturare la retta intenzione di aprirsi al Vangelo, e ciò dobbiamo fare avendo attenzione alle circostanze delle singole persone, alla loro coscienza, senza compromettere la verità e la prudenza che aiuteranno a trovare la giusta via. È importantissimo stabilire con tutte queste persone e coppie una buona relazione pastorale».

Non si tratta di arrivare, precisa ancora Vallini «necessariamente ai sacramenti, ma di orientarle a vivere forme di integrazione alla vita ecclesiale». Il cardinale però aggiunge subito dopo: «Ma quando le circostanze concrete di una coppia lo rendono fattibile, vale a dire quando il loro cammino di fede è stato lungo, sincero e progressivo, si proponga di vivere in continenza; se poi questa scelta è difficile da praticare per la stabilità della coppia, Amoris laetitia non esclude la possibilità di accedere alla Penitenza e all’Eucarestia. Ciò significa una qualche apertura, come nel caso in cui vi è la certezza morale che il primo matrimonio era nullo, ma non ci sono le prove per dimostrarlo in sede giudiziaria; ma non invece nel caso in cui, ad esempio, viene ostentata la propria condizione come se facesse parte dell’ideale cristiano, ecc».

Un’apertura che va intesa «certamente non nel senso di un accesso indiscriminato ai sacramenti, come talvolta avviene, ma di un discernimento che distingua adeguatamente caso per caso». E chi può decidere? «Dal tenore del testo e dalla mens del suo autore non mi pare che vi sia altra soluzione che quella del foro interno. Infatti il foro interno è la via favorevole per aprire il cuore alle confidenze più intime, e se si è stabilito nel tempo un rapporto di fiducia con un confessore o con una guida spirituale, è possibile iniziare e sviluppare con lui un itinerario di conversione lungo, paziente, fatto di piccoli passi e di verifiche progressive. Dunque, non può essere altri che il confessore, ad un certo punto, nella sua coscienza, dopo tanta riflessione e preghiera, a doversi assumere la responsabilità davanti a Dio e al penitente e a chiedere che l’accesso ai sacramenti avvenga in maniera riservata. In questi casi non termina il cammino di discernimento al fine di raggiungere nuove tappe verso l’ideale cristiano pieno».

La via indicata da Vallini è certamente quella più faticosa specialmente per i sacerdoti, che non sono chiamati a decidere in base a qualche semplice prontuario, ma a coinvolgersi nel lungo accompagnamento dei penitenti. Anche a questi ultimi è indicato un percorso lungo, che non prevede automatismi né rivendicazioni e non può avere esiti scontati circa la possibilità di accostarsi ai sacramenti.

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