Ruth Baker
Questo Natale è un anno che ho abbandonato l’alcool, e non ho intenzione di tornare alle mie vecchie abitudini. Ero consapevole da tanto tempo di avere un rapporto malsano con l’alcool, ma non mi sono resa conto della profondità della mia dipendenza fino a quando non ho deciso di smettere. Quando ho realizzato che rinunciare all’alcool per me era inconcepibile, ho capito di avere un problema.
Cosa mi dava l’alcool? Per molti anni ho pensato che mi desse tutto ciò che stavo cercando. Non è esagerato dire che lo amavo, anche se questa affermazione ora sembra pietosa. Ha eliminato il mio desiderio quasi insaziabile di perfezionismo e mi ha permesso di rilassarmi. Mi ha offerto una via di fuga per la mia agitazione costante e ha prolungato e intensificato la mia esuberanza per la vita che non voleva essere contenuta. Ma ha fatto di più. Sembrava eliminare in me il desiderio di accettazione, e sembrava aiutarmi a riempire gli spazi dolorosi dentro di me ai quali non davo ascolto.
La mia inclinazione al bere sembrava “normale”. Non c’era nulla di particolarmente insolito nel modo in cui lo facevo, considerando la cultura fortemente incline al bere in cui vivo. Ma sapevo che il modo in cui bevevo non era giusto. Il resto della mia vita sembrava andare bene, studiavo molto, lavoravo sodo e amavo la mia fede, ma parallelamente a tutto questo correva la sensazione nascosta che mi stavo rivolgendo all’alcool per trovare tutte le soluzioni che Dio avrebbe potuto offrirmi. In breve, ne ero dipendente, e nessuna dipendenza è sana. L’ho capito una notte di un anno fa, e ho saputo che il dado era tratto. Era il momento di smettere, indipendentemente da quanto fosse difficile o da quanto mi sarei sentita triste allontanandomi dall’alcool. Ora ringrazio Dio per il dono di essere riuscita a lasciarmi tutto alle spalle. Non mi manca, e non bere è diventata come una seconda natura per me. Cosa ho imparato, e cosa ho guadagnato in un anno senza alcool? Dormo meglio, ho una pelle più sana e un peso migliore, ho più energia, modi più calmi ed equilibrati, niente postumi della sbornia, nessun rimpianto e una migliore consapevolezza di me stessa, e sono tutti splendidi benefici del fatto di aver smesso di bere. Ma ho imparato anche cose più profonde e importanti. Spero che la mia esperienza possa aiutarvi e assicurarvi che si può fare, e che smettere di bere può spaventare ma è davvero un’ottima scelta.
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1. L’alcool è una scorciatoia, ma non positiva
Una delle lezioni più importanti che ho imparato quest’anno è forse come essere paziente. Ho capito che abusare dell’alcool era una via pigra per raggiungere molti miei desideri. Era la mia scorciatoia per sentirmi bene, per divertirmi, per fare amicizia. Ci ho creduto per tanto tempo. Pensavo che potesse guarire il mio dolore interiore e alleviare la mia solitudine. Come per molte scorciatoie, c’era un costo nascosto per la mia salute e il mio benessere. Non puoi trovare scorciatoie per le cose importanti della vita. Quest’anno ho attraversato momenti complicati e li ho vissuti piuttosto che aggirarli. Ho imparato a stringere amicizia lentamente e ho affrontato i problemi direttamente. Ho imparato che lavorare su se stessi e con Dio richiede tempo. Tutta una vita. E va bene. Non importa quanto siamo lenti, basta che andiamo avanti.
2. La gente avrà sempre un’opinione
Quando ho smesso di bere, l’opinione degli altri contava molto per me. Ci sono persone che pensano che devo avere solo più autocontrollo per bere con moderazione. Ci sono persone che pensano che stia reagendo in modo esagerato o stia creando una grossa questione dal nulla. Ho imparato che le mie abitudini riguardo al bere in realtà non sono affare di nessun altro se non mio. È stata una grande liberazione capire che non posso cambiare l’opinione della gente e che non ho nemmeno bisogno di farlo. La gente non sarà mai d’accordo con tutto ciò che dico o che faccio. Era uno dei motivi per cui bevevo – sperando di potermi trasformare nella persona preferita di ciascuno. Ora sto imparando che chiunque avrà un’opinione sul mio modo di bere. Può essere diversa dalla mia oppure no. Probabilmente dice molto sulle abitudini riguardo al bere di queste persone, e comunque non ha importanza. Io vado avanti con la mia sobrietà.
3. Ho imparato ad accettare l’aiuto
Quando sei una persona che beve parecchio e poi smetti, la sobrietà sembra una terra estranea e insolita. Non si può sottovalutare quanto possa spaventare. C’è un mondo nuovo da affrontare. La vita continua come prima, ma ci si sente come in terra straniera. Come portare avanti una vita sociale? Come reimparare a divertirsi? Come incontrare persone senza il conforto e il sostegno di un drink? Ci si sentirà ancora felici? Tutte queste domande avranno senz’altro risposte positive, ma non è possibile raggiungere tutti i risultati da soli. È una questione di grazia, non di forza di volontà. Fare affidamento solo sulla propria forza di volontà è semplicemente estenuante e porta inevitabilmente al fallimento. Ho dovuto chiedere aiuto ad altri, dire ad alcune persone fidate e comprensive che volevo smettere e chiedere il loro sostegno. Non sarebbe stato giusto scrivere questo articolo senza menzionare l’enorme aiuto che ho ricevuto dalla Sober School, che raccomando caldamente a qualsiasi donna cerchi aiuto per abbandonare l’alcool. Ho poi dovuto riconoscere che è stato un dono di Dio toccare il fondo, perché mi ha permesso di trasformare il mio amore per l’alcool in ripugnanza.
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4. Non è una punizione, ma un privilegio!
Ho deciso che dovevo affrontare ciascuno dei problemi che mi provocava il bere con soluzioni sane anziché negative. Eliminare l’alcool dalla mia vita non era sufficiente. Non annullava tutti i problemi, anche se la depressione e l’apatia si sono ridotte notevolmente. Ha lasciato irrisolte le cause di dolore. Sono andata in terapia. Ho scelto nuovi sport come modo per scaricare in modo sano la mia energia. Mi sono rivolta a Dio presentandogli le cose che mi facevano soffrire. Ho affrontato questioni che non avevo mai voluto affrontare prima. Ho dormito di più anziché cadere nell’autocommiserazione. Ho scoperto nuovi hobby che mi hanno fatto scoprire una creatività che ha arricchito la mia vita molto più di quanto facevano le nottate di baldoria e le mattinate post-sbornia. Non è stato sempre facile, ma ho guardato la mia vita come farebbe un neonato: con i sensi potenziati, sentendo più freddo e vedendomi un po’ più nuda, ma la vita era più netta, più chiara, più pulita. E ho capito che poter vedere tutto questo era un dono, un privilegio. Era un privilegio vedere cosa mancava nella mia vita per far fronte alla questione in modo sano. Ma questo non mi rende affatto migliore di chiunque altro. Penso che ciascuno abbia opportunità del genere in un certo momento della sua vita.
5. La sobrietà non può diventare la mia identità
Nel mio primo tentativo fallito di abbandonare l’alcool qualche anno fa, la sobrietà era diventata gran parte della mia identità. A prima vista potrebbe sembrare positivo, ma organizzare tutta la mia vita intorno alla sobrietà è diventato il mio unico “hobby”, e mi ha portato a un atteggiamento del tipo “Sono più santa di te” che infastidiva chi mi stava accanto e anche me stessa. Ho ripreso a bere. Alla fine ho capito che non puoi costruire la tua vita intorno a un’unica passione o a un unico hobby al punto da fartene consumare, non importa quanto sia positivo. Non si può creare un’identità intorno a una cosa, sia essa lo sport, la musica, un talento o appunto un hobby. Possiamo trovare la nostra identità, e in essa la vera libertà, solo in un rapporto intimo con Cristo. Ho imparato a concentrarmi sulla mia sobrietà abbastanza da renderla una seconda natura per la mia vita, ma non tanto da diventare un autoassorbimento oppressivo.
6. La dipendenza ha bisogno di compassione per essere affrontata
Per questo ultimo punto includo un video che ritengo eccellente. L’ho guardato prima di smettere di bere e mi ha dato l’incoraggiamento di cui avevo bisogno per pensare alla possibilità di abbandonare l’alcool, e spiega il rapporto tra dipendenza e dolore. Solo con la possibilità che qualcuno – Dio, più i miei amici – ascoltasse e sentisse il mio dolore potevo pensare di abbandonare il sistema di supporto che l’alcool rappresentava per me.
Anche se ci sono volte in cui è imbarazzante rifiutare un drink, noioso spiegare perché quando qualcuno chiede il motivo e doloroso ricordare gli errori passati, traggo conforto e incoraggiamento dalle parole di San Paolo nella seconda Lettera di Corinzi (12, 9-10):
“Ed egli mi ha detto: “Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza”. Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte”.
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Ruth Baker ha 25 anni ed è inglese. Ama correre, fare campeggio e scrivere. Attualmente studia Scrittura Creativa all’università. La sua fede significa tutto per lei.
[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]