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Storie e gusti di un pranzo di Natale “stellato”. In carcere

Roma 22-12-2016 Pranzo di Natale nel Carcere femminile di Rebibbia. Durante il pranzo organizzato dal Rinnovamento dello Spirito Santo si sono alterante performance di alcuni artisti ©Cristian Gennari/Siciliani

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Marinella Bandini - Aleteia - pubblicato il 30/12/16
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A Rebibbia lo chef Cristina Bowerman ai fornelli, attori e cantanti sono i camerieri. L’iniziativa di Rns e Prison Fellowship in altre 4 carceriMaria* ha 19 anni, è in carcere da un paio di settimane, ma sa già che tra pochi giorni potrà tornare a casa, ai domiciliari. Spera per Natale. Sara di anni ne ha 20. È stata coinvolta dal ragazzo in un giro di spaccio, ed è stata arrestata. Dopo un mese ai domiciliari non ce l’ha fatta ed è uscita di casa e così si è presa anche un anno in più per evasione. Ora è in carcere, incinta di 5 mesi. Antonia invece è qui da 15 anni: “Ho sbagliato, e sono qui”. Il marito è morto da qualche anno, le rimane la consolazione di “averlo amato tanto” anche se dentro questa storia c’è finita per lui. La sua famiglia l’ha perdonata, i suoi figli vengono a trovarla, e da poco è diventata nonna. Sono più di 300 le donne detenute a Rebibbia, con storie, volti, accenti così diversi… e Natale è venuto anche quest’anno, anche per loro. Il 22 dicembre scorso per la prima volta ho varcato le porte di un carcere per un pranzo di Natale “stellato”, organizzato da Rinnovamento nello Spirito Santo e dall’associazione Prison Fellowship Italia Onlus: “L’ALTrA cucina… per un pranzo d’amore” il titolo dell’evento.

Ai fornelli la chef Cristina Bowerman, del Ristorante “Glass Hostaria” e di “Romeo chef&baker”, con alcuni collaboratori e l’aiuto di una squadra di una decina di detenute. Mescolano il purè di patate dolci nei grandi pentoloni, ma l’uso dei coltelli gli è vietato. E anche sulle lunghe tavolate le posate sono argentate ma rigorosamente di plastica. A Rebibbia non c’è un refettorio, i pasti vengono serviti e consumati nelle celle, quindi è stato adattato il grande corridoio che dalle cucine porta alle celle. Tovaglie rosse, albero di Natale, anche l’amplificazione e un piccolo palco, su cui si alternano alcuni artisti, che oggi sono qui non solo per portare un po’ di allegria, ma anche per servire ai tavoli, con tanto di grembiule e cappello da Babbo Natale. Amedeo Minghi, che non è nuovo a questo genere di iniziative, ha molte fan sia tra il personale di vigilanza e amministrativo, sia tra le detenute, che cantano a squarciagola le sue canzoni e vogliono essere immortalate al suo fianco.

“Le stelle oggi sono queste ospiti – ha detto il presidente di Rns, Salvatore Martinez – fratelli e sorelle a cui è stato possibile portare il meglio della nostra società, in una straordinaria gara di solidarietà”. A Rebibbia, le donne detenute brillavano, letteralmente. Truccate, come nelle grandi occasioni, con il “vestito della festa” se così si può dire, quello più bello. Sono arrivate a piccoli gruppi, dai vari reparti, portando con sé lo sgabello per sedersi. Insomma, non era possibile dimenticare di essere in carcere. Ma la festa era vera, anche tra loro: saluti, baci, abbracci, l’amica che ti tiene il posto a tavola.

Anche le guardie della Polizia penitenziaria, pur con occhio vigile, non hanno mancato di partecipare con calorosità a questa festa di Natale. In fondo sono loro le prime a partecipare a gioie e dolori delle detenute, a comunicare loro le belle notizie e quelle brutte, il primo e a volte unico contatto con il mondo esterno, l’argine ma anche il primo abbraccio. Quello che succede a Rebibbia succede anche in altre quattro carceri italiane (Milano, Modena, Palermo e la new entry, Salerno) e questo è la terza edizione dell’iniziativa.

*(i nomi delle detenute sono di fantasia)

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