La fase è «positiva». Lo stato del dialogo tra cristiani ed ebrei è a «un punto ottimo». In questi anni sono stati raggiunti «risultati straordinari». Lo afferma padre Norbert Hofmann, segretario della Commissione della Santa Sede per i Rapporti religiosi con l’Ebraismo, in un’intervista a Pagine Ebraiche. Hofmann rileva che «un argomento spigoloso» è quello relativo ai Lefebvriani e alla loro «possibile riconciliazione con la Chiesa», perché «c’è chi all’interno di quel mondo è portatore di posizioni di odio e negazione della Shoah. Proprio per questo, è escluso che la pratica vada a buon fine», almeno «fin quando non verrà accettato il Concilio Vaticano II»; dunque, «cari amici ebrei e israeliani – rassicura – non preoccupatevi».
La situazione del dialogo dunque è ottima: «Sono le piccole e le grandi iniziative a ricordarcelo – dice – Parlando della nostra specifica esperienza, vorrei partire dal 2002. Fu nel giugno di quell’anno infatti che prese avvio la sfida di questo gruppo interreligioso (formato dalle delegazioni del Gran Rabbinato d’Israele e della Commissione vaticana per i Rapporti religiosi con l’Ebraismo, ndr) con un primo incontro segreto sponsorizzato da Giovanni Paolo II. Qualche mese di preparazione e, nel febbraio dell’anno successivo, il via ufficiale ai lavori». Si tratta di «un gruppo ristretto e selezionato – spiega – La struttura ideale perché così circolano meglio idee e pensieri e si rafforzano rapporti di amicizia». Questa realtà ha «costruito un percorso ricco di stimoli e con uno sguardo costante all’attualità. La santità della vita, la base dell’etica nell’ebraismo e nel cristianesimo, le sfide della leadership religiosa: tutti temi che abbiamo declinato concretamente».
Un esempio pratico di ricaduta nella vita della gente arriva da Israele: «Fino a poco tempo fa i carcerati cristiani non potevano celebrare la messa con il vino. Presa coscienza di questa problematica, la nostra delegazione si è fatta viva e ha intavolato una trattativa diretta con il ministro competente. La questione è stata presto risolta».
Il problema da affrontare è «principalmente uno, almeno dalla nostra prospettiva. Come noto il rabbinato ortodosso non si addentra con piacere in questioni teologiche. Come però giustamente rileva il rav David Rosen di qualunque cosa un rabbino e un prete parlino, la religione c’entra sempre. Non si può prescinderne. Mi sembra un’osservazione molto acuta e pertinente».
Hofmann non si preoccupa e non si abbatte se i messaggi positivi che derivano da questo rapporto spesso non raggiungono i grandi media, perché «i risultati sono straordinari, se pensiamo anche semplicemente al fatto che prima del 2002 l’accesso al mondo ortodosso ci era precluso. Dal 2002 questo non solo è possibile, ma addirittura il nostro partner ufficiale è il Gran Rabbinato d’Israele. Un fatto tutt’altro che irrilevante». Anche se «è chiaro a tutti noi, ebrei e cristiani, che non possiamo strumentalizzare questo dialogo. La cautela, in ogni nostra uscita pubblica, è fondamentale».
Infine, qualche considerazione sull’«argomento spigoloso» della dei Lefebvriani e la loro «possibile riconciliazione con la Chiesa. Come noto, c’è chi all’interno di quel mondo è portatore di posizioni di odio e negazione della Shoah. Proprio per questo, è escluso – dichiara – che la pratica vada a buon fine». Almeno «fin quando non verrà accettato il Concilio Vaticano II, il suo spirito, i suoi valori, ogni loro velleità è destinata a naufragare. Non mi pare proprio che la Nostra Aetate sia compatibile con quelle posizioni estreme». Dunque, ecco la rassicurazione: «Cari amici ebrei e israeliani, non preoccupatevi».