«Un crimine che grida al cielo», «un atto violento contro innocenti che ogni religione deve condannare»: così il cardinale Orlando Quevedo ha definito l’attentato terroristico che ha funestato il Natale nella comunità cattolica di Mindanao, la grande isola nel sud delle Filippine, tuttora agitata da combattimenti, ribellioni e violenze, espressione di tensioni politiche e religiose.
La vigilia di Natale un ordigno è esploso al di fuori del santuario del Santo Nino a Mydsayap, nella provincia di Cotabato del Nord, sull’isola di Mindanao, ferendo 18 persone, tra cui un ufficiale di polizia che era a guardia dell’edificio.
Atti come questo «non fermeranno il processo di pace nelle Filippine meridionali, nè avranno il potere di creare un crepa tra i gruppi impegnati nel negoziato e il governo filippino, che prosegue diritto lungo la strada della mediazione e della riconciliazione», osserva a Vatican Insider il cardinale Quevedo, che guida la comunità di Cotabato, città che ospita nei propri ospedali i fedeli rimasti feriti il 24 dicembre.
Questo impegno è testimoniato dalla immediata visita del presidente delle Filippine Rodrigo Duterte che, il giorno di Natale, è volato a Midsayap per confortare e portare la sua personale solidarietà ai feriti dall’esplosione.
Le prime indagini, tra l’altro, sembrano escludere un attentato di matrice islamica o comunista, ma guardano ai criminali legati al cartello della droga, che tentano di mettere in crisi il governo del presidente Duterte, fautore della lotta senza quartiere contro il traffico di droga, condotta anche con metodi discussi e criticati dai difensori dei diritti umani.
Nonostante questi attacchi, il cardinale Quevedo resta ottimista e si dice «fiducioso che il 2017 possa essere l’anno della pace»: una convinzione che si basa in primis sulla chiara volontà politica del governo filippino, e poi sulla profonda conoscenza degli attori coinvolti, quei gruppi e leader musulmani che vivono e operano nelle Filippine del sud, territorio che ospita la corposa minoranza dei circa 6 milioni di cittadini di fede islamica.
La legge che l’ex presidente Benigno Aquino jr. aveva contribuito a delineare, dopo un lunga discussione in Parlamento, un anno fa non è stata approvata dal Congresso e dunque la questione di un accordo definitivo, che sancisse la pace e l’autonomia della regione musulmana nelle Filippine, è rimasta sospesa in un limbo che dura tuttora.
La chiave del processo di pace è, secondo Quevedo, il nuovo quadro politico presente nel Paese e la chiarezza dell’approccio di fondo che fa ben sperare: «Duterte ha promesso che il processo con i gruppi ribelli islamici come il Fonte moro di Liberazione nazionale (Mnlf) e il Fronte moro di Liberazione islamica sarà inclusivo, anche se il Mnlf è diviso in diverse fazioni. La “Commissione di transizione Bangsamoro” (come vengono definiti i musulmani filippini, ndr) sta scrivendo un testo di legge da presentare al Congresso, che incorpora l’accordo del 1996 e il documento elaborato lo scorso anno. Sono convinto che, data la composizione di questa Commissione, la legge sarà rappresentativa dei gruppi islamici, delle popolazioni indigene, dei cristiani e dei clan presenti a Mindanao».
Quevedo rileva che, oltre ai gruppi islamici tradizionalmente istituzionalizzati, vi sono altre fazioni violente come i Bangsamoro Freedom Fighters (Biff) o gruppi criminali come Abu Sayyaf, che potrebbero rappresentare un ostacolo sulla via della pace.
E ci tiene a fare una distinzione: «Abu Sayyaf – spiega – si configura come gruppo terrorista che non esita a sequestrare e uccidere innocenti. Ha professato vicinanza allo Stato Islamico che predica il califfato in Medio Oriente e usa metodi deprecabili come attacchi suicidi. Nonostante ciò, il presidente Duterte si è detto pronto a trattare anche con loro, se abbandoneranno il terrorismo».
«Il Biff invece – prosegue Quevedo – è un gruppo più politico e ideologico ma non terrorista. Attacca le postazioni militari, ma non colpisce deliberatamente i civili. Vorrebbe uno stato islamico indipendente, ma credo esista la possibilità che accetti un accordo».
Fondamentalmente, conclude il Cardinale, «oggi nel Congresso molti parlamentari sono del partito del presidente Duterte e lo seguiranno nella sua proposta politica». Se questa, allora, resterà forte e determinata nel perseguire il processo di pace, potrà finalmente avere successo e porre fine a uno storico conflitto. Con favorevoli ricadute di sviluppo e benessere per tutte le popolazioni di Mindanao, per i cittadini di tutte le fedi.