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Natale a Betlemme, Pizzaballa: “Sia vinta la psicologia del nemico”

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Vatican Insider - pubblicato il 25/12/16
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«Non si può vivere un Natale chiusi al sicuro dietro una porta. Se Dio non ha avuto paura né disprezzo per l’uomo, possiamo anche noi imparare la fiducia coraggiosa che apre all’altro le porte del dialogo e dell’incontro».

È la notte in cui il mondo intero guarda a Betlemme, il luogo dove Gesù è nato, vestito a festa come in ogni notte di Natale. Nella chiesa di Santa Caterina per la Messa di mezzanotte ci sono come ogni anno migliaia di fedeli della Terra Santa, le autorità palestinesi con il presidente Abu Mazen, gli ambasciatori, finalmente anche qualche pellegrino in più dopo un 2016 di crisi anche da questo punto di vista. Ed è davanti a loro che l’amministratore apostolico del patriarcato latino di Gerusalemme, l’arcivescovo Pierbattista Pizzaballa, ha lanciato un forte invito al mondo intero a non lasciarsi paralizzare dall’insicurezza e dall’indifferenza in questo Natale così segnato dalla violenza.

Prende spunto ancora una volta dal segno della porta, che ha accompagnato la Chiesa durante tutto l’Anno santo, l’arcivescovo Pizzaballa. «All’indomani del Giubileo della misericordia – spiega – possiamo leggere il Natale come la porta che Dio mantiene aperta per uscire verso l’uomo e invitarlo a entrare nella comunione con lui». Ma è un invito che oggi ci sfida. Perché a Betlemme come in tutto il mondo la tentazione di una festa vissuta a porte chiuse, allontanando almeno per un giorno i problemi del mondo di oggi, è quanto mai forte. E invece il Natale dei cristiani – ammonisce l’Amministratore apostolico del Patriarcato latino di Gerusalemme – non può essere «la festa magica o sentimentale da viversi rinchiusi nelle proprie case, sicuri dei propri recinti personali, familiari o sociali. Non è il godimento, tanto privato quanto autonomo e indifferente, di una evasione dalla realtà faticosa del quotidiano, una parentesi colorata e scintillante dentro una vita troppo grigia. Natale è l’annuncio di una salvezza che attende di essere accolta per realizzarsi».

Un passo che richiede coraggio. Da Betlemme Pizzaballa non può non ricordare le tante sofferenze e disillusioni che solcano il mondo. «Speranze di pace troppo spesso deluse – ricorda -, violenze a attentati ricorrenti, parole tanto retoriche quanto inefficaci». Tutti fenomeni che «ci spingono a trincerarci, a blindare le porte, a porre sistemi di vigilanza, a fuggire lontano piuttosto che restare resistendo nella fiducia e nella speranza». A constatare che anche qui, tra noi, oggi «non c’è posto per loro».
«Siamo impauriti da quello che succede – continua il Presule -, con le nostre speranze che qui come in troppi Paesi del mondo naufragano in mezzo alla corruzione, all’impero del denaro, alla violenza settaria, alla paura: in Siria, Iraq, Egitto, Giordania. Ma anche nella nostra Terra Santa continua a salire la sete di giustizia e dignità, di verità e amore vero. Continuiamo, infatti, a rifiutarci e a negarci vicendevolmente, vivendo e pensando come se ci fossimo solo noi e non ci fosse posto per l’altro».

È un senso di chiusura che va ben oltre una particolare contingenza storica o qualche coordinata geografica. È qualcosa di più profondo: «Non si tratta solamente di un dato sociologico – sottolinea l’arcivescovo Pizzaballa proprio dal luogo dove Gesù è nato -. È piuttosto un fenomeno esistenziale, una “psicologia del nemico” che fatalmente si trasforma in ideologia, generando uno stile di vita aggressivo, un modo conflittuale di porsi di fronte agli altri, senza speranza per il futuro. Dalle porte di casa fino ai confini degli stati, è tutto un chiudersi, nella paura e nella diffidenza, nell’esclusione e nella guerra. Ci sentiamo tutti esclusi, bloccati, separati. Il Natale, invece, racconta di una gioia e di una pace che giungono se avremo la buona volontà di aprire le porte; se condivideremo la buona volontà di Dio che apre anziché chiudere, dona anziché prendere, perdona anziché vendicarsi».

Ecco, allora, la risposta forte del Natale; la scelta a cui «la Porta di Dio, da cui esce il Figlio, l’Emmanuele Dio-con-noi» ci chiama, mettendo in gioco la nostra libertà. «Varcheremo questa soglia? – si è chiesto l’amministratore apostolico -. Non è uno slogan a effetto. È un invito rivolto all’uomo e alla società, alla politica e all’economia, ai poveri e ai potenti di questo mondo: usciremo dalle nostre chiusure? Andremo fino a Betlemme per iniziare un nuovo cammino o resteremo chiusi nei nostri palazzi a conservare il nostro potere, a difendere i nostri interessi, pronti anche a escludere l’altro pur di mantenere le nostre posizioni? Sapremo dare, guardando a quel Bambino, una risposta alla sete di giustizia e di dignità, al desiderio di amore e fraternità, al bisogno di incontro o ci affideremo ancora alle nostre strategie politiche o militari dal corto respiro?».

«La risposta – ha concluso Pizzaballa – non è scritta nelle stelle ma nelle nostre scelte libere e responsabili. E mentre guardiamo a Cristo bambino, Porta aperta del Padre che nessun rifiuto può chiudere, si riaccende la fiducia e si rianima la speranza e ancora cantiamo: Tu sei la nostra speranza: non saremo delusi!». 

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