Le parole forti di Francesco sul «gattopardismo» e sulle resistenze nascoste e su quelle «malevole che germogliano in menti distorte» hanno comprensibilmente suscitato domande sui possibili destinatari degli strali papali. Un sito web tradizionalista ha creduto di leggervi i nomi degli «oppositori» alle aperture del documento sulla famiglia «Amoris laetitia»: uno dei quattro cardinali che hanno pubblicamente criticato quel testo, l’americano Raymond Burke, ha detto nei giorni scorsi di voler procedere con una «correzione formale» del Papa. Si tratta però di una attribuzione semplicistica: Francesco parlava infatti del processo di riforma della Curia romana, non del suo magistero sulla famiglia. E se si guarda agli anni appena trascorsi non è affatto semplice dividere il mondo vaticano in «buoni» e «cattivi», magari inglobando tra i primi i cosiddetti «bergogliani» e tra i secondi gli «antibergogliani», identificandoli con l’ala più conservatrice.
Bisogna infatti riconoscere che alcune dei maggiori problemi sono arrivati da chi avrebbe dovuto incarnare la riforma stessa. Il caso più eclatante è quello di monsignor Lucio Vallejo Balda, il segretario «riformatore» della commissione incaricata di verificare i problemi economico-amministrativi, che non avendo ottenuto la nomina desiderata nel nuovo organigramma ha pensato di «resistere» pubblicando i documenti in suo possesso. Francesco è dovuto intervenire personalmente per nominare un nuovo direttore dello Ior, dopo che i responsabili dell’Istituto, tutti designati nel nuovo corso, volevano trasformarla in una banca d’affari invece di farla rimanere (o tornare) un istituto al servizio delle opere di religione.
Non si possono poi dimenticare gli scontri e le diatribe ancora in parte irrisolte che hanno contrapposto e contrappongono la Segreteria per l’Economia guidata dal cardinale George Pell e l’Apsa guidata dal cardinale Domenico Calcagno. Papa Francesco ha elencato tutti i provvedimenti presi rispondendo così a chi afferma che il processo di riforma procede troppo lentamente. Ha però anche riconosciuto che a volte, dopo aver sperimentato, bisogna anche fare dei passi indietro: è accaduto con il ridimensionamento del «superministero» economico di Pell, che ad un certo momento è risultato essere, sulla carta, sia gestore dei beni che controllore sulla correttezza della gestione di quegli stessi beni. Il problema è stato risolto, ma con tensioni alle stelle, che hanno visto nei mesi scorsi contrapporsi la Segreteria di Stato e la Segreteria per l’Economia, dopo la decisione di quest’ultima di affidare la revisione dei bilanci vaticani a una società esterna, la PricewaterhouseCoopers, invece che al Revisore generale istituito proprio dalla riforma.
Con l’accenno su chi «a parole si dice pronto al cambiamento, ma vuole che tutto resti come prima» sono descritti gli attendisti e quanti remano contro dietro le quinte. Ma non si può neppure dimenticare un altro passaggio del discorso papale: «senza un mutamento di mentalità» e senza vera conversione e sguardo evangelico, le riforme strutturali sarebbero vane: è il rischio del funzionalismo e dell’efficientismo, presente anche nell’attuale stagione di riforme vaticane con le sue nuove parole d’ordine.
Infine un accenno applicabile a situazioni discusse negli ultimi mesi, può essere colto nell’insistenza con cui Francesco ha parlato della «potestà» del Papa, definita «singolare, ordinaria, piena, suprema, immediata e universale». Quel «singolare» è forse un modo per ricordare l’inconsistenza delle teorie sul «papato condiviso» che vorrebbe assegnare ancora una parte di «ministero petrino» all’emerito Ratzinger.
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Questo articolo è stato pubblicato sull’edizione odierna del quotidiano La Stampa