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Ci sono cose che ci stanno strette

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Paola Belletti - La Croce - Quotidiano - pubblicato il 20/12/16
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Scommetto che chiunque di noi riuscirebbe a scrivere un redazionale sotto il titolo “Calendario curvy, la nostra lotta contro gli stereotipi” senza sforzo: quasi compilasse una scheda anagrafica. Dati, si tratta di inserire dati e completare frasi delle quali consociamo già metrica, suono e vacuità.

Finalmente libere di amare il proprio corpo senza la tortura delle misure.

L’unica cosa che deve andarti a pelle è la tua vita. È finita la dittatura della bilancia e del calcolo calorico.

Basta bilanci con la bilancia.

Gli uomini preferiscono le curvy. Le curvy lo fanno meglio. Le donne morbide amano lo shopping, fanno sport, curano la proprio immagine senza rinunciare alla buona tavola.

Naturalmente dietro questa promozione delle persone in sovrappeso, (no anzi della loro immagine. Che è comunque letta come scostamento dal modello che ci si è conficcato nel cranio da decenni) si assiepano filantropi e benpensanti; benefattori e amanti della felicità dei poveri ciccioni stereotipati e costipati.

Certo che doversi sorbire l’omelia laicista su quanto sia bello anzi meglio essere in sovrappeso a cavallo di Capodanno e avere a disposizione lunghe photo gallery per poter assimilare il concetto è di una grevità plumbea. (E mentre le scorri senti di avere ormai interiorizzato il grande censore contemporaneo. È nella tua mente, pronto a stroncare sul nascere la verbalizzazione del fatto che a te alcune paiono sovrappeso e non curvy. Molte sono proprio belle, altre meno). Tutto questo è di una noia asfissiante. Sappiamo già tutto. Sappiamo che dobbiamo plaudire, obbedire, approvare e dire “finalmente” e sentirci in difetto se pensiamo altro; e iniziamo a dire curvy ogni volta che ci attraversa la mente, ansando, la parola “sovrappeso”.

Che noia. Che pensantezza. Che sevizia continua.

Avete del tutto, definitivamente, radicalmente estenuato i nostri spiriti.

Mi offende il recinto dove andrebbe, ad avviso di Sua Mediocrità Globale, mortificato il pensiero e il dire riguardo ai corpi. Mi urta e riempie fino alla tracimazione il vaso della mente la insulsa correttezza che ci vuole compatti a falange lanciati contro gli stereotipi. Ma quali? E che cosa vi hanno fatto? E quando la smetterete?

Avete stancato e parecchio.

Non è di questo, gente. Non è di questo che hanno bisogno gli uomini e le donne. Non serve il dominio web con il nome del contro stereotipo e il dot com per combattere il disagio delle persone, soprattutto le donne, che mangiano più di quanto riescono a consumare e si ritrovano in sovrappeso. Che poi, il disagio, ma che davvero davvero va sempre rimosso? E subito?

Ci state stordendo con parole eunuche e fiappe.

Ho capito di che si tratta.

Il fatto è che noi non disponiamo di un corpo come di una cosa. Il fatto è che ne siamo fatti, ne possiamo in certo senso anche disporre, ma non come di una consolle. Tra l’altro il corpo ci precede, viene prima. Prima ci plasma e poi ci soffia nelle narici la vita, Dio.

Non ci serve, mentre siamo sovrappeso – anche perché caspita si può anche passare da un’adolescenza rasente l’obesità ad una giovinezza asciutta o viceversa- di essere iscritte al Fat Club.

Per esempio se penso a me e alle mie amiche coetanee e colleghe di cosce grosse e caviglie gonfie nella prima metà degli anni ’90 sarebbe servito che qualcuno ci guardasse bene in faccia e pure nelle cosce. Che ci guardasse senza discriminarci. Ma non dalle magre. Da noi stesse. Senza che il mio io sembrasse racchiuso in un involucro di ciccia. Era lì intero e vivo e sentiva intero il disagio di non piacersi. Ma era una cosa marginale. Io giocavo tutto il mio sentirmi viva, sebbene come un brutto anatroccolaccio, nell’essere come non volevo essere.

Avrei voluto che qualcuno mi abbracciasse senza compatirmi. Che mi desse delle cataste di legna da spaccare dopo la prima quarantina di minuti trascorsa peccaminosamente a discettare frignando di quanto fosse triste la vita per chi era dotato di gambe/vita/braccia troppo grosse.

Dobbiamo di corsa ricordarci che siamo umani e che il corpo non è una prigione né una macchina sportiva. Una res più o meno exstensa della quale crederci ostaggi né uno status symbol da esibire per entrare nella lista. Che lista? Boh. Di qualche evento fichissimo, non lo so.

Evviva le curvy. Ma fuori dal ghetto. Fuori dal target.

Penso che da qualunque punto della stoffa la pizzichi, la vita, poi devi tirarla in su. Va bene anche dal colletto della buona forma fisica. Va bene passare anche per di là. Perché ad esempio imparare la virtù della temperanza nel nutrirsi e nel godere delle delizie del palato è una via che si batteva bene già un paio di millenni fa e lo si faceva per instradarsi verso l’eroico.

Perché fare tutti i giorni due, tre allenamenti con la Jill (Jill Cooper, ndr) sul tappeto di casa cercando di non assestare calci alla figlia – che inavvertitamente mi passasse alle spalle mentre mi concentro sull’estensione laterale posteriore e anche un po’ obliqua della gamba destra –  può essere una cosa sapida e saggia; lei per esempio ti invita sorridendo ad invocare Nostro Signore per finire i blocchi più duri. Anche un fitness ragionevole può portarti sulla strada dell’ascesi. Può farti gustare un nuovo possesso di te stesso, di un te che obbedisce alla natura, al proprio ritmo fisico e tenta di ordinare ogni appetito a quelli più elevati ed elevanti.

Insomma non abbiamo mica sempre bisogno delle teste di cuoio anti bullismo per cavarci d’impaccio. Non serve la squadra anti disagio che fa le classi speciali o ci raggruppa tra sfigati tutti assieme e poi ci scatta delle foto per stampare un calendario. Dai, su che ormai usiamo tutti solo il telefono..

Non dobbiamo anche da adulti e quasi senescenti abboccare ancora all’esca de “sono loro i cattivi che non ti capiscono e non ti apprezzano, vieni da noi”. Come regola generale, se lo fanno con grandi sponsor alle spalle o su piattaforme mainstream dev’esserci dietro una succosa fetta di mercato e molto probabilmente siamo proprio noi quella fetta.

Serve un po’ di grasso, serve un po’ di muscolo, servono ossa robuste; serve una buona postura. Serve rinunciare al cibo più ricco. Serve anche non rinunciarvi, ogni tanto. Servirebbe di tornare ad alcune buone regole. Servirebbe che noi donne non rasentassimo il panico al solo pensiero di poter diventare provvisoriamente grasse. Che so, per una malattia? Per una gravidanza difficile?

Servirebbe una regola. Ragazze morbide o secche con o senza virgolette, che dite, fondiamo un ordine? Magari poi sul calendario ci finiamo davvero.

 

ARTICOLO TRATTO DA “LA CROCE QUOTIDIANO”

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