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El Salvador, tre sacerdoti ridotti allo stato laicale

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Vatican Insider - pubblicato il 19/12/16
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La condanna è arrivata. Dura come la si prevedeva considerate le disposizioni generali del papa regnante. L’ha notificata agli accusati e all’opinione pubblica di El Salvador l’arcivescovo della capitale José Luis Escobar Alas senza tanti giri di parole: Jesús Delgado, Juan Francisco Gálvez e José Antonio Molina, tre sacerdoti del clero salvadoregno, “sono stati trovati colpevoli nei processi a loro carico e condannati alla dismissione dello stato clericale che equivale alla perdita totale e definitiva di tutte le prerogative sacerdotali”. Ergo, ma anche questo non è stato lasciato implicito, “non potranno più esercitare nessun incarico né funzione sacerdotale”. 

I primi ad essere informati della severa sentenza sono stati gli interessati, poi le loro vittime, infine, da domenica, l’intero popolo di Dio e la società del paese centroamericano che soprattutto nel caso di Jesús Delgado è rimasta sgomenta, trattandosi, quest’ultimo, di un rispettato e ben noto chierico, nientemeno che il segretario dell’oggi beato Romero, suo biografo numero uno e grande promotore del processo che ha portato sugli altari il vescovo martire. “E’ duro, ma questo ci farà maturare, ci farà crescere” ha commentato Escobar Alas. “La Chiesa agisce per il bene di tutti, in primo luogo per quello delle vittime, ma anche dei carnefici nel desiderio che si convertano”. 

Jesús Delgado fino al momento in cui si è saputo della denuncia a suo carico nel febbraio del 2015 era vicario generale dell’arcidiocesi di San Salvador, dunque ricopriva la terza carica gerarchica dopo l’arcivescovo Escobar Alas e il vescovo ausiliare Gregorio Rosa Chávez. Fu in prima fila il 30 ottobre del 2015 a Roma, quando una delegazione di vescovi, religiosi e laici salvadoregni si recò in Vaticano per ringraziare il Papa per la beatificazione di Romero avvenuta a maggio e perorare la causa di una pronta canonizzazione. La riduzione allo stato laicale “è una pena molto grave” ha chiarito Escobar Alas giacché “la chiesa non ha pene che prevedano il carcere, la più dura è questa ed è di carattere morale”. 

Un altro sacerdote salvadoregno molto conosciuto, Rafael Urrutia, cancelliere dell’arcivescovado, aveva rivelato nel febbraio 2015 che la denuncia contro Delgado era stata presentata da una donna di 42 anni alla “Segreteria per l’inclusione sociale” di San Salvador, una struttura di tutela dei diritti dei minori. “Non faremo mai il nome della donna e neppure divulgheremo il racconto che ci ha fatto, che è confidenziale” aggiunse Urrutia. “Perché ci sono altre vittime sicuramente e se i mezzi di comunicazione vogliono sapere della vittima… le altre vittime avranno paura di presentare una denuncia”.  

Ebbe inizio in quel momento una indagine che portò alla sospensione di Jesús Delgado “da tutte le funzioni sacerdotali, pastorali e amministrative” nel novembre 2015 dopo che lo stesso monsignore ammise di aver abusato di una bambina negli anni ’80. La relazione iniziò nel 1982, dunque due anni dopo l’assassinio di monsignor Romero. Per la legge salvadoregna il risvolto penale di un abuso commesso 34 anni fa è caduto in prescrizione. Per la Chiesa no. “La nostra arcidiocesi non occulterà nessun caso di abuso su minorenni” disse all’epoca Escobar Alas. “Al contrario, si schiererà sempre dalla parte della giustizia e della verità a difesa dei più piccoli”. E così è stato.  

Gli altri due sacerdoti prima sospesi dalle funzioni sacerdotali e adesso ridotti allo stato laicale sono un parroco, Juan Francisco Gálvez, denunciato da diverse vittime e il sacerdote José Antonio Molina implicato in due casi di abuso sessuale.  

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