I Padri della Chiesa e la divinità di Gesù. Discussioni sulla divinità di Cristodi Pierre-Emmanuel Dauzat
Gesù non hai mai direttamente affermato di essere Dio, ma in alcuni passi dei Vangeli in cui si parla della sua divinità, il diavolo gioca un ruolo centrale. Numerosi sono i Padri della Chiesa, da Origene a Crisostomo, che sono stati «turbati» da queste relazioni stranamente accorte che Satana continua ad intrattenere con Dio dopo la sua caduta. Il Creatore continua a prestare un orecchio attento alle suggestioni e ai consigli dell’Avversario e, su suo suggerimento, accetta di «sottoporre a tentazione» il povero Giobbe, che nondimeno considera uno dei suoi migliori servitori.
Sembra che la presenza del diavolo sia necessaria nell’opera di redenzione di Dio. O, almeno, che giochi un ruolo decisivo nella rivelazione della divinità del Figlio dell’uomo. I Padri s’interrogheranno su questa strana familiarità, non senza qualche perplessità. Nelle sue Istituzioni divine (II, 8), Lattanzio (fine III-IV secolo) avanza un’ipotesi, che non troverà seguito, ma che dice abbastanza dell’imbarazzo dei Padri di fronte ai legami che Dio sembra aver conservato con colui che chiama, come Atenagora, l’anti-Dio: Satana sarebbe nientemeno che il fratello del Logos, del Verbo, cioè della seconda persona della Trinità, in altre parole del «Figlio di Dio». Senza un vero seguito, questo «hapax» nell’opera di un cristiano fervente e per il resto perfettamente ortodosso, torna inevitabilmente alla mente quando si pensa ai teologi dell’apocatastase («ristabilimento del tutto»), che, con Origene, il Girolamo del Commentario alla lettera agli Efesini, Gregorio di Nissa o l’Ambrosiastro, vorranno che l’opera della redenzione sia universale e che il diavolo stesso sia salvato. Nel suo ruolo di consigliere, egli ha il suo posto nell’economia della salvezza.
Due episodi evangelici lasciano inoltre pensare che la natura delle relazioni tra Dio e il diavolo non siano cambiate da un Testamento alI’altro. Sembra persino che il Figlio di Dio continui con Satana i colloqui singolari iniziati dal Padre. Così, nel Vangelo di Luca (22,31-32), quando Gesù rivolgendosi a Pietro gli dice: «Ecco, Satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede», l’eco del libro di Giobbe è evidente,. benche l’episodio rimanga enigmatico.
La divinità di Gesù nel Nuovo Testamento
Non è solo questo il punto di contatto tra Dio e il diavolo nel Nuovo Testamento. Gesù stesso, in realtà, non ha mai affermato direttamente di essere Dio. Secondo la Vulgata, egli attende in realtà la Trasfigurazione per rivelare la sua divinità ai tre discepoli chiamati sul monte. Bisogna prestare la massima attenzione anche ad alcuni passaggi dei Vangeli in cui si parla della divinità di Gesù, perché ogni volta il o i demoni vi giocano un ruolo cruciale. La verità esce dalla loro bocca. Curiosamente, nel suo Commentario al Vangelo di Matteo, Origene si trattiene sul «balbettio» di Pietro al momento della Trasfigurazione e lo attribuisce alla presenza in lui del demonio. Pietro era cioè posseduto dal diavolo quando riconobbe la divinità di Gesù.
Nel Vangelo di Marco, inoltre, gli spiriti impuri, che Cristo rimprovera, rivelano la verità. Essi osano svelare il segreto messianico – che Gesù è il Figlio di Dio – prima del tempo. (Che i demoni, tra le loro menzogne e blasfemie, dicano talora la verità doveva in seguito porre un problema agli esorcisti e a spiriti razionalisti come Erasmo). Il demonio è simile «allo spirito che sempre nega» di Goethe o al Cretese del paradosso di Epimenide, che tanto intrigava san Paolo: vuole negare che dice la verità. Marco insiste molto su questo tema sin dall’inizio del suo Vangelo. Nessuno dubita che Satana sia il primo a dire la verità. Gesù entra a Cafarnao (Mc 1,21-25), in giorno di sabato, quando un uomo invasato da uno spirito impuro vocifera in piena sinagoga: «Che c’entri con noi, Gesù Nazareno? […] lo so chi tu sei: il santo di Dio». E Gesù lo sgridò: «Taci! Esci da quell’uomo». E poiché non aveva ancora capito il motivo della sgridata di Gesù, Marco vi ritorna su qualche versetto dopo citando i malati e gli indemoniati guariti da Gesù: «Guarì molti che erano afflitti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano». Lo conoscevano, ma erano ancora solo loro a saperlo. Stesso ritornello in 3,11-12: Gesù continua a guarire i corpi e le anime: «Gli spiriti immondi, quando lo vedevano, gli si gettavano ai piedi gridando: “Tu sei il Figlio di Dio!”. Ma egli li sgridava severamente perché non lo manifestassero». Il turbamento dei «testimoni» era tale, il reciproco riconoscimento di Gesù e dei demoni così evidente che sembrava probabile la complicità di Gesù con Satana. Mentre gli amici di Gesù erano tentati di pensare che era «fuori di se», gli scribi, che erano discesi da Gerusalemme, dicevano: «Costui è posseduto da Beelzebùl e scaccia i demòni per mezzo del principe dei demòni». In altri termini, solo i demoni si limitavano a constatare: «È il Figlio di Dio». L’episodio assume tutto il suo significato considerando che gli apostoli non avevano ancora riconosciuto in Gesù il Figlio di Dio: la voce di un figlio di Satana o di Satana stesso fu la prima a proclamare la Verità. Senza fare diretto riferimento a questo passo, Tertulliano nell’Apologetico osserverà proprio questa differenza tra i cristiani e i pagani: nessun demonio resiste a un cristiano. Costretto a identificarsi, il demonio che possiede l’infelice dice sempre la verità e confessa chi egli è. Nel caso, tuttavia egli sceglie un percorso singolare: per rivelarsi riconosce la divinità di Gesù. La conclusione va poi da se (XXIV, 17): «Credete loro quando dicono la verità, dal momento che gli credete quando mentono». Secoli dopo, nelle sue Annotazioni sul Nuovo Testamento Erasmo insisterà particolarmente su questo episodio, segno per eccellenza della «follia» di Dio.
L’altro episodio chiave è quello delle tentazioni nel deserto sul quale san Matteo e san Luca sono concordanti e chiari: Gesù fu tentato dal diavolo per quaranta giorni, anche se non si sa bene in che cosa siano consistite queste tentazioni.
Come scrive Origene, accontentiamoci di sapere che fu tentato: questo, come pure l’esistenza del diavolo, fanno parte del Nuovo Testamento. Quello che, in compenso, è chiaro, è che, lungi dal respingere l’Avversario, Gesù fu tollerante nei suoi confronti. Come sottolinea Giovanni Papini, nel Diavolo (1954), esso è la sola e unica compagnia che Gesù accolse nella sua solitudine. Nel racconto degli evangelisti, nessuno mette in dubbio che si tratti di una «veglia d’armi». Riassumendo la tradizione patristica sull’argomento, Gregorio Magno (Omelie, XVI), parla di questo episodio come di una tappa necessaria all’opera della Redenzione: ad ogni tappa della vita del Cristo, il diavolo o i «suoi componenti» come egli dice, portano una pietra all’edificio: «Il Signore ha impietrito l’ostilità del diavolo e non gli ha risposto che con parole piene di dolcezza. Egli ha accettato che potesse punire, per poter meritare una gloria tanto più grande in quanto trionfava sul suo nemico accettandolo nel tempo invece di annientarlo». Su un piano teologico, sempre secondo Gregorio, le tre tentazioni presentano un’altra verità. Il diavolo, più abile del solito, ha immaginato delle prove cui si può a stento credere che egli .stesso abbia creduto. Da quel momento passa in primo piano la dimensione pedagogica. Fingendo di mettere alla prova Gesù, mostra ai fedeli che costui non è un mago come tanti altri (rifiuta infatti di trasformare le pietre in pani), ne un semplice illuminato impaziente di trovare una morte gloriosa come Ercole (rifiuta di gettarsi dall’alto del Tempio su cui Satana lo ha trasportato). Ma la seconda tentazione è capitale anche da un altro punto di vista: ai suggerimenti del diavolo, Gesù risponde con parole della Sacra Scrittura. Al bisogno, Gesù cita il Deuteronomio (6,16): «Non tenterai il Signore tuo Dio». A parte il fatto che la risposta suggerisce che Dio stesso può essere tentato, Gesù rivela ai tentatori la sua natura divina, riferendo a se stesso le parole di JHWH. In altri termini, il Cristo fa la sua prima rivelazione al Diavolo. Certo, al momento del battesimo, una voce venuta dal cielo aveva proclamato che Gesù era il Figlio di Dio. Qui, sottolinea Papini, «è il Cristo in persona che afferma di essere Dio, e lo dichiara, prima che a chiunque altro, all’Avversario vinto».
Il diavolo, colui che rivela la divinità di Cristo
La terza tentazione è anche la più rivelatrice: questa volta Satana, che ha probabilmente capito che Gesù era il Figlio di Dio, vi si presenta sotto una luce vantaggiosa, quella di «principe di questo mondo» e si dichiara pronto a lasciare regnare Gesù su di esso se egli acconsentirà a prosternarsi. Come «l’ atleta che si prepara alla prova», dirà Origene, Gesù coglie la sfida. Ancora una volta, Gesù risponde con una citazione dal Deuteronomio (6,13): «Adora il Signore tuo Dio e a lui solo rendi culto». Il diavolo dice il vero. Gesù anche lui. Ma il primo dà al secondo l’occasione di andare all’essenziale. L’affermazione del monoteismo è senza sfumature: attraverso l’intermediazione del diavolo, Gesù sigilla la nuova Alleanza.
Se Gesù infatti ha rivelato la sua divinità al diavolo, le sue lezioni si rivolgono – al di là di lui – ai suoi discepoli.
Evocando la «tentazione di Gesù nel deserto», la genialità semplificatrice di Gregorio riassume meglio di tutti gli altri Padri della Chiesa la portata teologica di questo scambio: «Bisogna inoltre sottolineare ciò che segue: quando il diavolo lo ebbe lasciato, gli angeli lo servirono. Questo fatto mostra proprio l’esistenza di due nature nella sua unica persona. Egli è uomo, perché è tentato dal diavolo; egli è Dio, perché è servito dagli angeli. Sappiamo dunque riconoscere in lui la nostra natura, perché se il diavolo non avesse visto in lui l’uomo, non lo avrebbe tentato. Veneriamo in lui la sua divinità, perché se non fosse stato Dio al di sopra di tutto, mai gli angeli lo avrebbero servito». Non pago di far valere la divinità di Gesù, il diavolo confuta tutte le eresie di coloro che vorrebbero negare la doppia natura di Cristo. In quest’analisi, Gregorio non fa del resto che seguire i commentari di Tertulliano e di Origene: primo confidente della divinità di Cristo, primo rivelatore della divinità del Figlio, il demonio è anche il primo degli eretici. «Sotto il vello di questo agnello si cela un lupo»: è vero del diavolo come di Basilide lo gnostico, di Marcione e di Valentino lo gnostico, tra gli altri. Tutti hanno dato lo stesso ordine e una pietra si è mutata per loro in pane.
Il diavolo fa anche dell’esegesi, constata Origene nelle sue Omelie su Luca, ma legge troppo in fretta, s’impadronisce del senso letterale senza capire. Egli ha certamente letto i libri santi, non per diventare migliore, «ma per uccidere per mezzo del senso letterale quelli che sono amici del solo senso letterale». Mosso dalla sua gelosia, egli confonde il Figlio di Dio e gli angeli, cita le Scritture, in particolare i Salmi, a sproposito, senza veramente capire, nella speranza che, lontano dal Padre, Gesù si lascerà ingannare. Su questo punto Origene è chiaro: il diavolo indovina con chi ha a che fare, ma vuole farlo inciampare per meglio abusare degli uomini. Dove lo spirito rischiarato dalla luce della fede riconosce che il Demonio dice, suo malgrado, la verità, non bisogna tuttavia pensare che il Diavolo abbia capito quello che lui stesso diceva, o quello che diceva Gesù. Convinti, almeno a partire da Ignazio di Antiochia, che «il Salvatore aveva deciso di lasciare che il diavolo ignorasse l’economia della sua incarnazione», i Padri si ostinarono a difendere un punto di vista che gli episodi evangelici ricordati rendono paradossale: «Tentato dal diavolo – conclude Origene – Gesù non gli rivelò in alcuna occasione la sua filiazione divina». Non cessò di tacerla. Ciò che non gli impedì di proferirla, come il mentitore, che dice la verità. In realtà, nel mondo demoniaco succede come dappertutto: ci sono gradi di conoscenza e di sapere come vi sono gradi della non conoscenza. Quando il demonio del Vangelo di Matteo (8,29) protesta: «Tu sei venuto qui per tormentarmi prima del tempo, noi sappiamo che tu sei il Figlio di Dio», Origene è allora costretto a concludere: «È il più piccolo nella malizia che ha riconosciuto il Salvatore; il più grande nella colpa […] non ha potuto riconoscerlo». In conclusione, per l’apologetica bisogna concludere che il diavolo dice la verità senza sapere che l’ha detta e senza capirla. La questione in seguito sarà di sapere se gli sarà perdonato perché non sa né quello che fa né quello che dice.
(da Il Mondo della Bibbia, 74)