L’ateneo di Strasburgo ha eletto presidente Michel Deneken, sacerdote cattolico già decano della facoltà di teologiadi Maria Teresa Pontara Pederiva
La notizia di per sé potrebbe essere di ordinaria amministrazione in ambito accademico: il 13 dicembre l’Università di Strasburgo – oltre 50 mila studenti e un bilancio che si aggira sui 500 milioni di euro) ha eletto il nuovo presidente. Per la cronaca Michel Deneken (59 anni e vicepresidente in carica) ha ottenuto 29 voti contro i 9 dell’altra candidata (della Lista «Alternative 2017»), Hélène Michel, più 1 astenuto. Deneken resterà in carica per i prossimi quattro anni.
Una votazione che, a rigore, dovrebbe solo passare all’archivio, ma non è così se, ancora dalla vigilia, l’evento tiene banco sui media francesi. Il motivo? Michel Deneken, oltre che docente al dipartimento di teologia, è un prete cattolico.
Alsaziano d’origine (padre autista e madre casalinga, unico di 4 figli a proseguire gli studi), è approdato all’università nel 1989, diventando professore nel 2003. Decano della facoltà di teologia cattolica dal 2001 al 2009, in quello stesso anno è stato eletto vicepresidente del consiglio di amministrazione d’ateneo (carica che scade alla fine di questo mese) e dal 1° gennaio assumerà il ruolo di presidente a tutti gli effetti (ruolo che già ricopre ad interim da settembre a seguito della nomina di Alain Beretz a direttore generale del settore ricerca e innovazione presso il Ministero).
Visibilmente commosso Deneken ha commentato in conferenza stampa la nomina come il risultato di un lavoro condiviso e apprezzato dai colleghi di tutti i dipartimenti, senza differenze tra discipline umanistiche e scientifiche. Tre sono i suoi obiettivi prioritari: promuovere il successo degli studenti, la realizzazione personale di docenti e amministratori e infine la qualità dell’ateneo rafforzando le linee di ricerca e l’attrattiva per studenti e ricercatori, consolidando le collaborazioni in atto. Un programma che, evidentemente, ha incontrato l’apprezzamento a Strasburgo.
Ma non per tutti è stato così. «La candidatura di un prete, e teologo, suscita le nostre più vive riserve» era la dichiarazione del 9 dicembre da parte del Sindacato nazionale dei docenti (molto impegnato per la soppressione della facoltà teologica nell’università d’Alsazia). Un loro portavoce, Pascal Maillard, aveva stigmatizzato la probabile elezione di Deneken come un pericolo per la ricerca frutto di un’«autentica confusione tra religione e scienza» e un’«ulteriore violazione del principio di laicità nello spazio pubblico».
Le dichiarazioni bellicose e le minacce di ricorsi hanno provocato reazioni contrastanti, ma perlopiù favorevoli alla nomina o quantomeno neutrali.
«Non sapevo neppure che fosse un prete, un buon segno di serietà accademica» ha commentato a Le Figaro Jean-Loup Salzmann, presidente della CPU, l’organismo di rappresentanza dei presidenti delle università di Francia, secondo la quale l’elezione di Deneken non solleva alcun tipo di problema. Dello stesso avviso l’associazione federale degli studenti (AFGES) per voce del presidente Bastien Barberio, ma è di parere opposto un’altra associazione studentesca (UNEF), federata a quella degli studenti musulmani, che denuncia un’anacronistica «doppia fedeltà allo Stato e al Vaticano», mentre gli studenti comunisti invocano il fantasma della «presa del potere in un’università laica da parte del Vaticano», un vero attentato alla reputazione dell’ateneo.
Hélène Michel, sua sfidante e docente di scienze politiche, aveva condotto una campagna elettorale proprio su questo tema: «Anche se il collega Deneken non ha incarichi in parrocchia, si è preti a vita e quindi sottomessi all’autorità ecclesiastica. Questo potrebbe costituire alla lunga un problema per la ricerca».
La stragrande maggioranza dei docenti la pensa diversamente. Pierre Litzer, decano della facoltà artistica, ammette a Le Monde che «dall’esterno il fatto può essere considerato una stranezza», ma aggiunge che «un buon docente universitario sa che in ateneo deve abbandonare le proprie convinzioni ideologiche ed è ciò che Deneken ha sempre fatto».
Qualcuno è arrivato a chiedersi se questa elezione non costituisca un grave precedente all’interno di uno stato, come quello francese, che ha fatto della laicità una bandiera. Eppure, proprio in Francia, questo non è affatto il primo caso di un ministro di culto che ricopra incarichi pubblici, anzi. Per fare un esempio, il rabbino René-Samuel Sirat, ispettore generale dal 1981 al 1988. Nel 1972 il Consiglio di Stato – citando la legge del 1905 sulla separazione Chiesa-Stato – aveva emesso un parere definitivo riconoscendo che «i principi di laicità e neutralità dei dipendenti pubblici non vietano di affidare precise funzioni anche al clero», ricorda l’avvocato Bernard Toulemonde sottolineando come un prete sia anche un cittadino.
Ma c’è chi non si arrende: Strasburgo ospita una facoltà teologica che risale al periodo in cui l’Alsazia era parte dell’impero tedesco (tra gli alunni dello storico ateneo Goethe, il principe di Metternich, Max von Laue, Albert Schweitzer, Alberto Fujimori, Emmanuel Lévinas e il presidente Jean-Claude Junker). Nello stesso periodo, Terza Repubblica, in Francia venivano soppresse le facoltà teologiche, di qui la battaglia per abolire questa peculiarità tutta alsaziana. «In Germania la mia elezione non costituirebbe affatto un caso», commentava Deneken alla vigilia: perché nel mondo tedesco le facoltà teologiche sono parte integrante degli atenei pubblici e lo sviluppo della carriera identico, senza alcun privilegio per i religiosi. Se non fosse stato eletto?, gli avevano chiesto il 10 dicembre a Stoccolma, alla consegna del premio Nobel al chimico francese Jean-Pierre Sauvage, docente a Strasburgo. «Tornerei all’insegnamento e alla ricerca» aveva risposto smorzando le polemiche. E al quotidiano d’Alsazia dichiarava: «Sono un docente-ricercatore, nominato dal presidente della Repubblica, con gli stessi doveri e diritti di ogni altro collega francese».
E a urne aperte: «Ho avuto sempre la tendenza ad essere un leader e a preoccuparmi del lavoro comune. Forse per la mia nomina ha contato semplicemente il riconoscimento del lavoro svolto fin qui».