Lo scorso 2 dicembre, il piccolo Gambia ha sorpreso il mondo intero riuscendo, attraverso un processo elettorale pacifico, a spodestare il tiranno Yahya Jammeh, al potere dal 1994 a seguito di un colpo di Stato. Il dittatore, convinto di avere poteri paranormali e noto per aver seminato terrore tra i suoi cittadini, nel 2013 dichiarò che se Dio lo avesse permesso, sarebbe rimasto presidente per un «miliardo di anni».
Le centinaia di migliaia di cittadini scesi in strada a festeggiare l’insperata vittoria, però, hanno avuto un brusco risveglio nella mattinata di sabato 10 dicembre: il Presidente Dittatore, che in un primo momento aveva accettato il risultato congratulandosi con il vincitore, Adama Barrow, ha ritrattato la dichiarazione e chiesto che vengano ripetute le elezioni a causa di «evidenti brogli».
Il richiamo a presunte truffe e a un processo antidemocratico fatto da un dittatore che ha ridotto lo Stato più piccolo del continente africano a una prigione a cielo aperto e messo in atto persecuzioni di minoranze, sparizioni, uccisioni, incarcerazioni senza processo, farebbe pensare alla trama di un film di terza visione. A renderlo drammatica realtà, ha pensato l’esercito che è sceso in strada e presidia la capitale Banjul dall’11 dicembre.
In questa fase di transizione che lascia la popolazione gambiana e la comunità internazionale col fiato sospeso, assurge a figura di cruciale importanza Alieu Momarr Njai, il presidente della commissione elettorale. Era stato lui, a seggi chiusi, a costringere Jammeh a ratificare la sconfitta nonostante le pressioni e il blackout televisivo che mirava a ritardare l’annuncio e creare caos e tensioni. Njai punta i piedi e si dice garante della legalità e della costituzione gambiana, rifiutando le accuse di brogli e rimandando al mittente le richieste di nuova convocazione elettorale. «I risultati elettorali – ha dichiarato – sono assolutamente corretti e niente potrà cambiarli. Se si ricorrerà alla Corte, proveremo la validità di ogni singolo voto: i risultati sono sotto gli occhi di tutti». Secondo vari osservatori, dietro questa inversione a «U» del Presidente Dittatore, più che la speranza reale di tornare alle urne, c’è la volontà di evitare che, come molti politici chiedono, si avviino immediati processi a carico suo e dei suoi uomini che lo vedrebbero di certo condannato per crimini gravissimi.
Nel frattempo si è mobilitata la comunità internazionale. Sono giunte a Banjul delegazioni dell’Onu (il segretario Generale Ban Ki-moon ha parlato di «oltraggioso e irrispettoso atto verso i cittadini del Gambia»), dell’Unione africana e dell’Ecowas (Economic Community of West African States), mentre si attendono le visite di altri presidenti di paesi africani nei prossimi giorni dopo che quelli di Ghana, Nigeria, Liberia e Sierra Leone non sono riusciti a strappare un ritiro dalla scena di Jammeh.
Raggiunto al telefono da Vatican Insider, Halifa Sallah, portavoce della coalizione che si è aggiudicata la vittoria elettorale (in odore di vice-presidenza), racconta in real time lo svolgimento degli eventi e comunica la speranza che a breve si possa definitivamente tornare in strada a festeggiare.
La vittoria di Barrow è in pericolo?
«Il Gambia ha una costituzione molto chiara che prevede elezioni ogni cinque anni. Quelle che sono state appena celebrate sono state pienamente riconosciute da una commissione indipendente che ha dichiarato Barrow assoluto vincitore. Anche dopo la marcia indietro di Jammeh, la commissione si è espressa chiaramente. Se quindi l’ex presidente non vuole riconoscere l’esito del voto, è lui a mettersi da solo fuori della costituzione e quindi non potrà più giocare alcun ruolo nel Paese».
Jammeh non passa per essere un politico attento ai dettami costituzionali, non temete che possa far ritorno ai suoi metodi violenti e antidemocratici?
«Dal 13 dicembre sono presenti delegazioni di organismi internazionali come l’Onu, l’Ua e l’Eecowas, siamo certi che faciliteranno il processo democratico e convinceranno l’ex presidente ad ammettere la sconfitta e ritirarsi a vita privata. Il nuovo Presidente ha detto chiaramente che la sua intenzione è di considerare Jammeh un ex capo di Stato e di non cercare vendette. In modo responsabile stiamo chiamando tutti alla calma e alla serenità in attesa che Barrow si insedi a metà di gennaio 2017. Al popolo abbiamo ripetutamente detto che non c’è alcun dubbio riguardo la nostra vittoria e chiesto di rimanere tranquilli. In Gambia solo la Costituzione e il popolo sono sovrani ed entrambi hanno decretato la vittoria della nostra coalizione».
Come pensa che si muoverà l’ex Presidente?
«Ha detto che vuole fare ricorso per dichiarare le elezioni nulle. Ma per farlo, secondo la Costituzione, la richiesta va presentata alla Corte suprema entro dieci giorni dal voto. Fino a oggi (15 dicembre) non è arrivata alcuna richiesta alla Corte, quindi, non ha più strumenti a disposizione. In ogni caso, al momento in Gambia la Corte suprema non è operativa. Jammeh, quindi, anche se avesse consegnato in tempo la richiesta, non avrebbe giudici pronti a valutarla e avendo finito il mandato, non ha ovviamente poteri per eleggere nuovi giudici. Se non si ritirerà in buon ordine, si metterà nella scomoda posizione di capo dei ribelli, un’evenienza che nessuno si augura. Qui, peraltro, stanno arrivando vari capi di Stato, sono certo che Jammeh non vorrà fare follie.
Siamo sempre più consapevoli e confidenti che le cose andranno per il verso giusto. Attendiamo il giorno dell’insediamento e torneremo a festeggiare nelle strade».