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Il cardinale che mise in vendita il palazzo per dare il ricavato ai poveri

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Vatican Insider - pubblicato il 14/12/16
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Con la sua scomparsa, all’età di 95 anni, se ne va l’ultimo grande protagonista della Chiesa latinoamericana del post-concilio, scelto da Paolo VI per la guida della grande metropoli brasiliana di San Paolo, creato cardinale nel 1973, nello stesso concistoro in cui ricevette da porpora il patriarca di Venezia Albino Luciani. Paulo Evaristo Arns era il penultimo sopravvissuto dei cardinali montiniani, l’ultimo è Joseph Ratzinger, oggi Papa emerito. Il lungo episcopato di Arns – 28 anni da arcivescovo preceduti da quattro come ausiliare sempre a San Paolo – ha attraversato tre pontificati. Ritiratosi nel 1998, aveva deciso di rimanere in città, nella stessa periferia che aveva seguito come ausiliare, nel quartiere di Jaçaná.

Arns è stato un frate francescano, giornalista, ha scritto più di cinquanta libri dedicati alla pastorale nelle grandi metropoli insieme a studi sulla letteratura cristiana dei primi secoli. Ma ciò che ha caratterizzato maggiormente il suo episcopato è stata la difesa dei poveri, della libertà del popolo e dei diritti umani, in particolare durante la dittatura che in Brasile è durata dal 1964 al 1985. La sua presenza e autorevolezza hanno favorito il passaggio incruento al regime democratico. Nel 1982 è stato l’unico religioso eletto nella Commissione internazionale per le questioni umanitarie dell’Onu. Appena lasciata la guida della diocesi, aveva rilasciato una lunga intervista a Stefania Falasca per il mensile 30Giorni. Alla domanda su che cosa l’avesse fatto soffrire di più in questi anni, aveva risposto: «Quando ricevevo le madri dei desaparecidos politici in cerca di informazioni, appoggio e conforto. Gli anni della dittatura militare, i volti di queste donne e madri, mi hanno lasciato nella memoria una traccia di dolore. Quello che mi ha fatto soffrire è stato proprio il non poter alleviare, molte volte, tante sofferenze».  

Appena nominato cardinale aveva venduto l’antico palazzo della residenza episcopale per cinque milioni di dollari e aveva distribuito il ricavato ai poveri, acquistando terreni per gli emigrati e i senza casa e creando centri comunitari nella periferia. «Considero una grazia – aveva detto – l’aver sempre agito in favore e dalla parte dei prediletti di nostro Signore».  
Laureato alla Sorbona di Parigi con una tesi sulla tecnica del libro in san Girolamo discussa nel 1952, aveva avuto tra i suoi maestri all’università cattolica il futuro cardinale Daniélou ed era diventato amico di Paul Claudel. Da Charles Péguy impara l’importanza della speranza nella vita cristiana: come motto episcopale un decennio dopo sceglierà «Ex spe in spem», perché «la speranza è tutto, è il sorriso della vita cristiana. Che cosa saremmo noi, cosa faremmo noi senza speranza?». Il grande scrittore francese gli trasmette anche la coscienza della scristianizzazione in atto.

Nel 1966 diventa ausiliare di San Paolo. Per tre volte rifiuta la promozione episcopale, chiede piuttosto di essere mandato missionario in Giappone o in Amazzonia. Ma Papa Montini insiste e ottiene il suo sì. Si ritrova nell’estrema periferia della grande metropoli brasiliana, dove si incontrano miseria e condizioni di vita subumane. «Lo sradicamento forzato, oltre a provocare queste terribili conseguenze – raccontava Arns – aveva scardinato ogni traccia di quella struttura familiare nella quale era stata garantita la cattolicità. Non potevamo più farci illusioni, ci trovavamo di fronte a una realtà dura, segnata dalla scristianizzazione. E allora come oggi, come sempre, non prendere la parte dei poveri significava tradire il Vangelo. Una nuova evangelizzazione non poteva che essere personale e sociale».

Nel 1967 Paolo VI pubblica la grande enciclica sociale «Populorum progressio». Un anno dopo la conferenza dell’episcopato latinoamericano a Medellín si svolge sulla scia del documento montiniano, che «ci introdusse – ricordava Arns nell’intervista con 30Giorni – nel nuovo clima della pastorale in favore dei poveri. Proprio in questa zona di San Paolo cominciammo a fondare le prime comunità di base dove erano soprattutto i laici a essere pienamente coinvolti nell’annuncio cristiano e nelle necessità che la realtà esigeva».

Nel 1970 arriva la nomina ad arcivescovo di San Paolo. Negli anni del regime dittatoriale riesce a entrare nelle carceri, si rende conto di persona dei crimini e delle torture subiti dagli oppositori politici. Riesce a impedire che molte persone vengano uccise o spariscano nel nulla.La collegialità è la cifra del suo governo episcopale. «La collegialità tra i vescovi – spiegava Arns – è caratteristica della successione apostolica. In una metropoli enorme come San Paolo, per la vastità e la complessità della realtà, si rese necessario che tutti i vescovi ausiliari assumessero la competenza di vicario generale nell’arcidiocesi, e che, al tempo stesso, ad ognuno di loro venisse affidato un territorio proprio nel quale rappresentare l’autorità dell’arcivescovo. Ad ogni vescovo venne poi affidata la responsabilità di coordinare una pastorale specifica per tutta la città. Lavorai insieme a nove vescovi. Questo clima di fraterna collaborazione, di mutuo confronto, di apertura e confidenza ha dato i suoi frutti. L’apostolato nell’arcidiocesi di San Paolo è fiorito in questo ambiente di grande collegialità. E io credo che proprio questo aspetto debba essere fondamentale nell’azione della Chiesa e dovrebbe essere riconsiderato in futuro».  

Il cardinale riceve da Paolo VI il compito di visitare le diocesi delle grandi metropoli. «Andai a Parigi, Londra, New York, Chicago. Stilavo poi un resoconto riferendo al Papa su come i vescovi stavano lavorando. Nel 1975 mi chiese addirittura di elaborare un progetto di pastorale per le grandi città. In obbedienza alla sua richiesta lo feci, riflettendo in esso l’esperienza di collegialità maturata a San Paolo. Il cardinale Baggio (all’epoca Prefetto della Congregazione dei vescovi, ndr) mi disse anche che era ottimo ma tre anni dopo mi riferì che sarebbe stato archiviato».  

Nel 1989 Giovanni Paolo II decide di smembrare la diocesi di San Paolo in quattro distinte diocesi. Arns ne soffre, anche perché il provvedimento viene presentato in alcuni ambienti come un castigo per le tendenze progressiste della Chiesa brasiliana. «La Chiesa latinoamericana – raccontava – ha molto sofferto. Spesso anche per essere stata equivocata in un contesto ideologizzato. Essere attaccati alla fede degli apostoli comporta sempre l’audacia nella difesa dei poveri e la denuncia dell’ingiustizia». Durante la conferenza dell’episcopato latinoamericano d Santo Domingo nel 1992 il cardinale subisce un grave incidente, che gli provocherà seri problemi di salute. «Andò così: ero stato invitato a un cocktail al consolato brasiliano al quale mi recai con la macchina d’ordinanza scortata da un colonnello dell’esercito. Giunti sul posto, durante le manovre per il parcheggio, vidi sopraggiungere verso di noi ad alta velocità un’automobile militare. L’automobile aumentò di velocità proprio in prossimità della nostra vettura e ci colpì in pieno. L’impatto fu violentissimo. Battei la testa e per un certo periodo persi la memoria».  

Di Montini, che aveva conosciuto quando ancora era Sostituto in Segreteria di Stato e con il quale parlava in francese, Arns ha detto: «Paolo VI è stato il Papa dell’intuizione. La migliore intuizione della storia che ho conosciuto nella mia vita, non solo della storia particolare del mio Paese, ma anche della storia della Chiesa universale, nel cogliere con realismo ed estrema lucidità le condizioni in cui questa si trovava. È stato profetico nell’intuire che la realtà era mutata, e non c’era più da illudersi, non si parlava più a un popolo cristiano. E prendendo atto di questo dato non si sarebbe andati a rimorchio della storia né fuori dalla realtà. Paolo VI indicò la strada alla Chiesa e la strada da percorrere era essenziale, semplice, quella contenuta nel Credo del popolo di Dio e nella “Populorum progressio“: custodire la fede, servire i poveri».
 

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