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Come gli effetti collaterali dell’elettroshock mi hanno aiutata a identificarmi con il Bambin Gesù

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Rosie Herreid - pubblicato il 12/12/16
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Resa temporaneamente impotente, sono costretta a confidare nel fatto che la mia famiglia sappia cos’è meglio per mePenso di aver appena capito un po’ cosa deve aver significato per Gesù diventare un bambino. Non pienamente, è ovvio, ma mi ero sempre concentrata sull’umiltà e sull’impotenza che deve aver sperimentato. Non ho mai considerato molto il mistero di tutto ciò che si è lasciato dietro entrando in un grembo di donna – tutto il controllo a cui ha rinunciato.

Di recente ho completato un ciclo di terapia elettroconvulsivante per una forma estrema di depressione. Non è più come un tempo, almeno a livello fisico – viene realizzata sotto anestesia e con un rilassante per i muscoli, per cui il corpo non soffre. A livello mentale, tuttavia, provoca l’incubo della perdita della memoria a breve termine, irritabilità, confusione e incapacità di pensare chiaramente e di prendere decisioni. Questi effetti collaterali sono temporanei, ma provocano talmente tanto stress e difficoltà che possono interferire con la funzione curativa dei trattamenti, a meno che il paziente non possa prendersi una pausa dalle responsabilità stressanti e dal decision-making. Tutto questo per dire che la mia famiglia, per garantire il successo delle cure, ha deciso di rimuovermi il più possibile dai miei doveri genitoriali e dalle responsabilità quotidiane, e io mi sento davvero un bambino.

Come il Bambino Gesù, sono costretta a confidare nel fatto che la mia famiglia sappia cos’è meglio per me – con il problema aggiuntivo della paranoia, perché continuo a dimenticare cosa mi hanno detto e a pensare che mi stiano intenzionalmente tenendo all’oscuro di tutto. È il mio primo vero assaggio della fiducia cieca: concordare con i progetti della mia famiglia perché so che i miei familiari hanno ragione, anche quando il mio istinto è quello di gridare che vengo sfruttata. Come un bambino, in questo momento non so cosa sia meglio per me.

Forse un paragone più realistico è con la situazione di mia madre, che soffre il lento martirio dell’Alzheimer. Ovviamente non abbiamo mai provato quello che deve significare essere divine, ma ricordiamo com’era essere adulti pienamente funzionanti, e questo è abbastanza. Come San Pietro, siamo state costrette a venire a patti con una nuova realtà: “Quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi” (Giovanni 21, 18).

La mia reazione istintiva a tutto questo è oscillare tra gli estremi della paranoia e del senso di colpa. Dopo aver accusato varie volte mio marito di nascondermi le cose per poi scoprire che avevo solo dimenticato quello che mi aveva detto, sto imparando a migliorare nel dargli il beneficio del dubbio. Per confortarmi per la perdita della mia capacità di gestione, tuttavia, mi ritrovo a cercare di sentire di avere il controllo sapendo esattamente chi ha fatto cosa per me e chi devo ringraziare. In qualche modo è più facile accettare la mia debolezza se posso compensare tenendo accuratamente traccia di chi si sta prendendo cura di me, o offrendo a chiunque il perfetto dono del “Grazie”. In questo modo mostro a tutti che la mia è solo una mancanza temporanea e che presto avrò di nuovo il controllo. Ma sono nuovamente contrariata dalla mia perdita di memoria: non riesco a ricordare chi ha organizzato la mia casa mentre ero in ospedale, o chi ha assistito i miei figli, o chi mi ha messo quel buono regalo nella tasca.

L’unica opzione che mi rimane è la gratitudine – e anche in quel caso c’è una scelta. Posso dire semplicemente “Grazie” e godermi quello che mi è stato dato o posso mischiare la mia gratitudine con senso di colpa e scuse: “Oh, non avevo capito che l’avevi fatto tu per me! Mi sento così male per averti dato dell’egoista l’altro giorno! Non dovevi, sarei riuscita a farlo da sola – ma grazie, è stato molto carino da parte tua. Fammi sapere se hai bisogno di una pausa, così non ti stresserai per aiutarmi!”

A questo punto il mio paziente marito sorride sempre, mi ferma e dice: “Non dire che ti dispiace. Dì solo ‘Grazie’”. Ne sto facendo il mio motto per questo Avvento. Se voglio essere come il Bambino Gesù, devo accettare ciò che mi viene donato.

[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]

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