Anche in Africa i sondaggisti falliscono. Ma, a differenza dei loro colleghi europei o americani, hanno più di una scusante. Nessuno, infatti, nelle elezioni tenutesi lo scorso 2 dicembre in Gambia, avrebbe potuto immaginare una netta affermazione della coalizione democratica che ha portato al soglio presidenziale Adama Barrow, un imprenditore formatosi in Inghilterra e di recente tornato nel suo Paese per dedicarsi agli affari e alla politica: a contendergli il ruolo c’era Yahya Jammeh, il feroce dittatore giunto al potere con un colpo di Stato nel 1994 che nel 2013 dichiarò alla BBC : ‘Se Dio vorrà, sarò presidente per un miliardo di anni’.
Il Gambia è lo Stato più piccolo del continente africano. Fino a qualche anno fa, contava 2 milioni di abitanti. Da quando Jammeh ha preso il potere con la forza e trasformato la nazione in un enorme campo di prigionia, almeno 300.000 giovani hanno lasciato il Paese avventurandosi in viaggi drammatici verso l’Europa, pur di sfuggire alle leggi liberticide e a uno stato di terrore permanente. «Per anni si sono susseguite sparizioni, uccisioni, incarcerazioni senza processo, persecuzioni di minoranze – dichiara Peter Lopez, il sacerdote responsabile della comunicazione della diocesi cattolica di Banjul, la capitale – . Jammeh si sentiva il padrone assoluto del Paese e ha introdotto misure drammaticamente antidemocratiche». Tra queste, il reato di ‘omosessualità aggravata’, l’oppressione di giornalisti anche minimamente contrari al regime, le sparizioni e le torture, l’avvio di pratiche obbligatorie da lui ideate per la cura dell’Aids e dell’infertilità femminile. «Credeva di avere poteri sovrannaturali e gestiva il potere come se gli fosse stato consegnato da Dio. Lo scorso anno ha reso il Gambia uno stato islamico e nel suo programma elettorale aveva inserito l’introduzione della Shari’a come legge di Stato. Ma soprattutto, ha fatto del nostro Paese una landa desolata senza prospettive pensando esclusivamente ai suoi interessi».
Da oggi, contro ogni aspettativa, il Gambia volta pagina. Dopo essersi dimesso dal ruolo di tesoriere dello United Democratic Party (UDP) – un partito afferente all’ Internazionale Socialista -, Adama Barrow ha accolto la sfida di mettersi a capo di una coalizione composta da 7 diversi partiti. Ha condotto una campagna elettorale serrata che lo ha visto affermarsi nettamente staccando di 9 punti in percentuale il suo rivale-tiranno (Barrow 263.515 voti (45.5%), Jammeh 212.099 (36.7%), Mama Kandeh 102.969 (17.8%)). Appena eletto, si è subito distinto per misure distensive – come il rilascio del noto esponente politico Ousainou Darboe o l’annuncio dell’intenzione di liberare tutti gli oppositori politici, i giornalisti e gli omosessuali – che infiammano l’entusiasmo dei sostenitori e suscitano l’interesse degli osservatori internazionali.
«Da noi il Natale è arrivato con anticipo – sorride Lopez -, un regalo meraviglioso dopo 22 anni di buio totale. Ma niente di tutto questo sarebbe stato possibile se non fosse stato nominato a capo della Commissione elettorale un uomo corretto e leale al suo Paese come Alieu Momarr Njai. Per 4 ore dopo la chiusura dei seggi, quando ormai cominciava ad emergere la vittoria di Barrow, c’è stato un black out televisivo che mirava a ritardare e addirittura annullare l’annuncio. Njai, pur mettendo a repentaglio la sua stessa incolumità, ha insistito per dare la notizia che ratificava la fine dell’impero di Jammeh». Da quel momento si sono moltiplicati caroselli e manifestazioni di gioia in tutto il Paese.
I gambiani, ancora increduli a più di una settimana dall’esito elettorale, attendono con ansia cambiamenti profondi. «La maggior parte della popolazione vorrebbe vedere Jammeh subito in carcere. Un’enorme percentuale della nostra gente, ha avuto membri delle proprie famiglie, incarcerati, torturati, violentati, spariti o uccisi. Qualcuno non riceve notizie dei propri congiunti da anni, non sa nemmeno se sono vivi o morti. Il desiderio che Jammeh venga giudicato è incontenibile. Ma sarebbe un errore mandarlo subito a giudizio: prima va formato il governo, vanno ripristinate legalità e diritto, va fatto ripartire il Paese. Ci sarà tempo per i processi. Il Paese è in macerie e Barrow ha molto da fare. Nei primi mesi di governo dovrà garantire che il Gambia torni a essere uno Stato laico e non islamico, deve farci rientrare nel Commonwealth (nell’ottobre 2013, Jammeh ha ratificato l’uscita del Gambia dal Commonwealth in seguito alla ripetute richieste di istituzione di una commissione nazionale per i diritti umani, ndr) e porre fine all’isolamento internazionale in cui versiamo da oltre 20 anni. Dovrà puntare sull’occupazione giovanile ormai praticamente inesistente e invitare l’UE a tornare in Gambia». A Banjul, infatti, resistono solo le ambasciate britannica e statunitense. Tutte le altre, trasferitesi in Senegal da anni, attendevano quello che è successo il 2 dicembre scorso, senza osare sperarlo.