È nata «D.VA», una associazione di donne dipendenti o pensionate dello Stato Città del Vaticano, della Santa Sede e delle istituzioni ad essa collegate, laiche e religiose. Si tratta, segnala la Radiovaticana, di un fatto del tutto inedito nella storia del piccolo Stato. Lo statuto è stato approvato dalle autorità competenti e l’Atto Costitutivo firmato il primo settembre 2016 presso il Governatorato. Dalla presentazione di D.VA – lo scorso 26 novembre – ad oggi, sono state già registrate oltre 60 richieste di iscrizione. Presidente e vicepresidente della associazione sono Tracey McClure giornalista di Radiovaticana, e Romilda Ferrauto, a lungo responsabile della redazione francese della emittente pontificia.
Le donne che lavorano in Vaticano sono oltre 750, cioè il 19% del totale dei dipendenti, si tratta di lavoratrici con regolare contratto. In termini di quantità e di responsabilità la presenza femminile in Vaticano non è mai stata così rilevante: Più del 40% delle impiegate della Santa Sede (non della Città del Vaticano) sono laureate: lavorano come Officiali nei vari dicasteri della Curia, assolvendo funzioni che ricoprono un ampio spettro di responsabilità e qualifiche. In Vaticano gli stipendi di uomini e donne sono equiparati, e secondo alcuni è l’unico Stato al mondo in cui ciò accade. Sono poche le donne che attualmente occupano posizioni di vertice in Vaticano, tuttavia il loro numero è in crescita. Al momento in Curia ci sono due Sottosegretari donne, entrambe italiane, una religiosa e una laica: suor Nicla Spezzati, della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, e Flaminia Giovanelli, del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace. La presenza femminile in Vaticano è cresciuta, senza fare parlare di se, negli ultimi decenni.
«Bisogna dire – spiega Ferrauto in una intervista alla Radiovaticana a proposito della nascita di D.VA – che questa iniziativa è nata in modo spontaneo. È nata da un gruppo di donne che si sono conosciute, si sono ritrovate e hanno sentito il bisogno di creare una rete, una rete di amicizia e di solidarietà. Probabilmente hanno sentito questo bisogno perché si sentivano minoritarie, c’era dietro un bisogno di stare insieme. In nessun momento da parte nostra c’è stato un progetto di tipo ideologico e tuttora non si tratta di un progetto ideologico però, man mano che ci riunivamo, ci siamo rese conto che era necessario dare una struttura e un riconoscimento ufficiale a questa associazione. Perché? Perché questo avrebbe rassicurato le autorità, ovviamente, ma anche le donne che potevano esitare ad aderire ad un’associazione completamente nuova in Vaticano e anche per non lasciar credere ad alcune persone che dietro ci fosse una volontà rivendicativa».
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