Leali, per nulla rigidi, mai ipocriti e con il «senso del bello». È l’identikit del prete doc come viene tratteggiato nel nuovo documento sulla vocazione presbiteriale della Congregazione per il Clero «Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis».
Il documento, uscito in allegato con L’Osservatore Romano aggiorna le regole ferme al 1985 e spiega nei minimi dettagli come deve essere portata avanti la formazione dei seminaristi, i futuri sacerdoti. «È necessario coltivare l’umiltà, il coraggio, il senso pratico, la magnanimità di cuore, la rettitudine nel giudizio e la discrezione, la tolleranza e la trasparenza, l’amore alla verità e l’onestà», sottolinea il documento del dicastero retto dal cardinale Beniamino Stella.
Nel capitolo dedicato alla «formazione umana» si ricorda che il futuro prete deve essere accompagnato nella totalità delle dimensioni, senza dimenticare la cura della «salute, l’alimentazione, l’attività motoria, il riposo».
Di fondamentale importanza che il seminarista raggiunga una «equilibrata autostima, che lo conduca ad avere consapevolezza delle proprie doti, per imparare a metterle al servizio del Popolo di Dio». Il futuro prete deve avere anche un gusto estetico: «nella formazione umana occorre curare l’ambito estetico, offrendo un’istruzione che permetta di conoscere le diverse manifestazioni artistiche, educando al “senso del bello”, e l’ambito sociale, aiutando il soggetto a migliorare nella propria capacità relazionale, così che possa contribuire all’edificazione della comunità in cui vive».
«Ci è sembrato che la formazione dei sacerdoti avesse bisogno di essere rilanciata, rinnovata e rimessa al centro – ha spiegato il cardinale Stella al quotidiano d’Oltretevere – siamo stati incoraggiati e illuminati dal magistero di papa Francesco, con la spiritualità e la profezia che contraddistinguono la sua parola. Il Pontefice si è rivolto spesso ai sacerdoti, ricordando loro che il prete non è un funzionario, ma un pastore unto per il popolo di Dio, che ha il cuore compassionevole e misericordioso di Cristo per le folle affaticate e stanche». Un buon prete deve avere la dote dell’ascolto: «per attuare il discernimento pastorale occorre mettere al centro lo stile evangelico dell’ascolto, che libera il pastore dalla tentazione dell’astrattezza, del protagonismo, dell’eccessiva sicurezza di sé e di quella freddezza, che lo renderebbe “un ragioniere dello spirito” invece che “un buon samaritano”». Il prete, avverte il documento, non deve essere un uomo «del fare»: «il pastore impara a uscire dalle proprie certezze precostituite e non penserà al proprio ministero come una serie di cose da fare o di norme da applicare, ma farà della propria vita il “luogo” di un accogliente ascolto di Dio e dei fratelli».