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Un pagliaccio che ardendo d’amore si è convertito a 33 anni

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Claire Guillaumet - pubblicato il 06/12/16
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Philippe coglie l’essenziale e commuove credenti e agnosticiPermettetemi di presentarvi una persona che fa il pagliaccio. Non un pagliaccio di circo, ma… un pagliaccio spirituale. Philippe Rousseaux propone più di semplici scherzi. Ardendo d’amore per Dio, si è convertito in modo folgorante a 33 anni.

Questo matematico, comico e pedagogo ha aggiunto al suo curriculum un quarto master, stavolta in Teologia, e ha deciso di combinare questa nuova forma di pensare con il suo lavoro. Da lì è nata un’associazione: Clown par foi, Pagliaccio per fede.

Conversione di un agnostico

Dopo aver insegnato Matematica alla scuola secondaria, Philippe ha seguito una formazione teatrale nel 1988 e ha scoperto la sua vocazione di pagliaccio.

Per lui è diventato fondamentale condividere quello che aveva ricevuto, e così ha dato vita alle sue prime rappresentazioni nel 1991. Un master in Scienze dell’Educazione gli permetteva di formare altri professori… a fare scherzi!

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Nel 1995 ha incontrato Nancy, un’amica convertita di recente, che gli ha annunciato che Dio è Amore. Questo incontro ha cambiato il corso della sua vita, e la conversione è stata istantanea. “Dio non mi importava molto, ma l’amore sì che mi interessava!”, ha spiegato.

È quell’amore che lo ha spinto a chiedere il Battesimo meno di due mesi dopo. Ha allora abbandonato il teatro per consacrarsi alla fede e ai suoi nuovi studi. Nel 1999 ha avuto un’“intuizione su pagliaccio e fede”, un legame singolare che si è concretizzato sei anni dopo.

“Pagliaccio per fede”

“Il pagliaccio è quello che si burla di tutto ciò che gli succede”, afferma Philippe. Non è questione di interpretare un ruolo, ma un’autentica esperienza umana.

La burla, il gioco, diventa un punto di incontro di problemi antropologici e spirituali, ma non da una posizione distante, elevata o pedante. È l’apparente paradosso del nostro pagliaccio erudito.

A suo avviso, “il naso è una licenza”. Dotato di naso rosso, ciascuno impara ad essere sul palco una persona più autentica. Ciò che conta non è il livello di successo, ma l’impegno.

Il pagliaccio fa ciò che vuole – perché in teatro tutto è possibile – ma a due condizioni: che sia contento di vivere quello che vive e che lo faccia con il pubblico. Non per ragioni commerciali, ma perché il pagliaccio è più vivo ed è umano nei rapporti con gli altri.

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Con saggezza, Philippe non può evitare di compiere un’analogia con il Dio vivo e relazionale: tre in uno! Dall’altro lato, definisce il fatto di essere pagliaccio un’esperienza pasquale, in cui trova la salvezza.

Philippe si presenta davanti ai suoi studenti in totale semplicità, con una tuta grigia e scarpe da ginnastica. Resta seduto, con le mani unite, un piede sull’altro, senza dire nulla. I suoi occhi attenti osservano al di sopra degli occhiali ovali, aspettando con benevolenza.

Gli sfugge qualche parola di incoraggiamento: “Dimostracelo”, o “Sviluppa, sei al 2%”. Poi scoppia in una risata, offrendo consigli saggi, precisi e delicati a ciascuno dei suoi studenti.

Ricettivo e sempre meravigliato, Philippe coglie l’essenziale, “invisibile agli occhi”, e commuove credenti e agnostici. Come riassumerebbe l’esperienza da pagliaccio? “Se dovessi usare una parola sola direi ‘liberazione’!”

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]
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