Tra le contese dottrinali che scuotono diverse Chiese cristiane riguardo alle disposizioni richieste per accostarsi ai sacramenti, quella esplosa nella Chiesa copta ortodossa sta salendo di tono e potrebbe non rimanere rinchiusa nella cerchia degli “addetti ai lavori”, avendo a che fare con una prassi che interessa tutte le donne che hanno raggiunto la pubertà. A dare motivo di accalorate polemiche tra diversi “partiti” ecclesiali è stato Anba Pfnotios, Vescovo copto ortodosso di Samalut, pubblicando il libro intitolato “Donne nel cristianesimo” in cui sostiene che le donne possono accostarsi all’eucaristia anche durante i giorni del loro ciclo mestruale. È stato questo il motivo che ha trasformato il libro in un bersaglio di violenti attacchi e denunce da parte dei settori più rigidi della compagine ecclesiale copta ortodossa e dei loro blogger di riferimento, spintisi al punto di chiedere un processo canonico a carico dell’autore. Per provare a placare gli animi è intervenuto padre Boutros Halim, portavoce della Chiesa copta ortodossa, il quale ha assicurato che i libri pubblicati da vescovi e preti esprimono solo i punti di vista personali dei rispettivi autori, e sulle questioni controverse solo il contributo di commissioni istituite ad hoc può portare a pronunciamenti ufficiali da parte del Sinodo copto ortodosso.
Le parole del portavoce tendevano a rassicurare coloro che considerano come un’eredità spirituale da difendere e riaffermare la prassi che considera sconveniente per le donne partecipare al mistero eucaristico durante i giorni del ciclo mensile. Tale prassi permane in uso in alcune Chiese d’Oriente, e continua a rappresentare una “questione disputata” anche in alcuni settori dell’Ortodossia. La discussione rimane aperta tra quelli che la considerano un residuo del culto veterotestamentario e dei suoi criteri di purità (e impurità) rituale codificati nel Levitico, e quanti considerano queste prescrizioni fondate congiuntamente «sull’antropologia cristiana e sulla teologia stessa del sacramento». Secondo tale prescrizioni, «Non sono ammessi ai divini misteri la donna nel periodo mestruale né l’uomo che abbia avuto un’emissione seminale spontanea. La comunione eucaristica infatti, nel momento in cui viene assunta, colloca già il fedele nel secolo futuro, in quella dimensione cioè nella quale l’unione fisica e spirituale insieme dell’uomo redento con il suo Signore sarà pienamente manifesta. Di conseguenza, nel tempo immediatamente precedente e seguente questo momento, diventa essenziale per il credente vivere in una dimensione spoglia di quegli aspetti assolutamente positivi, ma strettamente legati alla vita terrena, dei quali il creatore ha dotato la natura umana in vista della trasgressione o, come rimedio di misericordia, dopo di essa» (Enrico Morini, La Chiesa ortodossa Storia, disciplina culto).
Molti Padri della Chiesa del IV-V secolo, sia occidentali che orientali, esprimevano generalmente la convinzione che i fedeli dovessero partecipare frequentemente, per quanto era loro possibile, alla celebrazione del mistero eucaristico. Ma già a partire da quei secoli la pratica della comunione giornaliera o frequente aveva cominciato a indebolirsi, anche per le disposizioni – codificate soprattutto in ambienti monastici – poste per poterla ricevere, nel timore di accostarsi all’eucaristia senza esserne degni. Tra le disposizioni esteriori, anche il ciclo mestruale fin da allora era da alcuni indicato come un impedimento a ricevere la comunione. Consuetudine ancora seguita nella prassi delle comunità copte ortodosse e di altre Chiese orientali.