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Terrorismo nelle Filippine, torna l’allarme nelle chiese

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Vatican Insider - pubblicato il 02/12/16
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La prima domenica di avvento segnata dall’esplosione di una bomba davanti a una chiesa ha lasciato il segno. Dopo l’attentato avvenuto nella cittadina di Esperanza, sull’isola di Mindanao (Filippine meridionali) proprio alla fine della messa (due i fedeli feriti), la comunità cattolica è ancora scossa e teme nuove violenze. 

Il cardinale Orlando Quevedo che guida la diocesi di Cotabato, anch’essa sull’isola di Mindanao, invita le forze di sicurezza «a scovare i responsabili e assicurarli alla giustizia», chiedendo «vigilanza e prudenza contro gli atti di puro terrorismo, aggravato dalla sacralità del luogo, del giorno e dell’evento che aveva appena avuto luogo». Un atto subito collegato ai precedenti: la popolazione dell’isola è tuttora sconvolta dal grave attentato avvenuto al mercato della città di Davao il 2 settembre scorso, che ha fatto 14 morti e 71 feriti. 

Che il clima sia pesante lo si comprende dalla posizione dei vescovi, che non esitano a parlare di «possibile sospensione delle messe e delle altre attività liturgiche»: un provvedimento-limite che, nel paese più cattolico dell’Asia, sarebbe un atto estremo e scioccante.  

«Se ci sono minacce per la sicurezza dei fedeli, saremo pronti a farlo», ha rimarcato Jerome Secillano, portavoce dei vescovi a Manila. Tanto per far capire all’opinione pubblica che la situazione viene considerata piuttosto grave.  

Anche perchè non si sono fatti attendere nuovi attacchi verso obiettivi di alto profilo: la guardia presidenziale di Rodrigo Duterte, che era in visita a Mindano (sette soldati feriti) e l’ambasciata americana a Manila (un ordigno scoperto e disinnescato). 

La polizia sta cercando di rintracciare una matrice comune e ha appurato che il dispositivo rinvenuto nei pressi dell’ambasciata era simile a quello esploso al mercato di Davao.  

I sospetti ricadono sul nuovo gruppo terroristico «Maute», che ha giurato fedeltà al cosiddetto Stato Islamico, che combatte in Siria e Iraq. Nei giorni scorsi l’esercito filippino è stato impegnato con successo in una massiccia azione militare per sconfiggere i militanti del Maute che avevano preso possesso di un territorio nella provincia di Lanao del Sur, a Mindanao, con l’intento di istituire un piccolo califfato. 

Temendo nuove rappresaglie dei terroristi, l’allarme sicurezza è stato innalzato in tutto il paese: stazioni, aeroporti, luoghi e palazzi pubblici considerati «obiettivi sensibili» sono presidiati. Anche le chiese hanno il permesso di chiedere alla polizia la presenza di forze militari per tutelare la sicurezza, mentre i fedeli sono invitati a segnalare con prontezza individui e attività sospette. 

L’allarme terrorismo a Mindanao, isola dove vive la consistente minoranza musulmana filippina (oltre cinque milioni di fedeli) mostra «quanto sia urgente un accordo di pace definitivo e duraturo», nota Antonio Ledesma, arcivescovo di Cagayan de Oro. 

Questo accordo, auspica la comunità cattolica sulla grande isola nel Sud dell’arcipelago, deve andare di pari passo con un sensibile miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni di Mindanao. 

In questa situazione fluida, e mentre sale la tensione, il presidente Rodrigo Duterte ha ribadito la sua offerta di pace al gruppo Maute che ha riconosciuto come «legato allo Stato Islamico». Duterte, anch’egli nato sull’isola, dove ha governato per due decenni la città di Davao, con la sua ormai arcinota franchezza ha invitato gli islamisti a scendere a patti: «Non voglio scatenare una guerra contro i filippini, ma ho detto loro che si devono fermare». Per questo l’offensiva militare avviata contro il gruppo proseguirà.  

Su questo preciso obiettivo politico – cioè assicurare stabilità e riconciliazione a Mindanao, impegnandosi per definire il processo di pace con la comunità islamica – la gerarchia cattolica filippina, che ha un rapporto piuttosto tormentato con il presidente Duterte e si è più volte si è scontrata con lui, concorda pienamente ed è pronta a collaborare.  

Il cardinale Quevedo, senza disdegnare la proposta di implementare una forma di governo federale nel paese, si è sempre dichiarato favorevole all’approvazione della «Legge fondamentale Bangsamoro» (come vengono chiamati i musulmani filippini, ndr), elaborata dopo decenni di conflitto e arenatasi in Parlamento, nella scorsa legislatura. Sull’approccio alla questione islamica (lotta al terrorismo; negoziati con i gruppi ribelli per giungere alla sospirata autonomia), Duterte e la Chiesa hanno finalmente trovato un terreno comune.  

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