è difficile scrutare cosa avviene nell’animo di un uomo novantenne malato, quando si avvicina alla morte, ma Fidel Castro qualche indizio lo ha dato. Il primo era stato un articolo pubblicato a ottobre su Granma, l’ultimo scritto prima di morire, in cui affermava di aver capito che «i principi religiosi sono più importanti di quelli politici e scientifici». Il secondo è quanto ha riferito Frei Betto, il frate dominicano con cui il Líder Máximo aveva scritto un libro dedicato alla fede, parlando con l’ambasciatore brasiliano a Cuba. «Negli ultimi tempi – ha detto – non discutevamo più di politica, ma solo di religione e filosofia».
Le voci del ritorno al cattolicesimo di Fidel, cresciuto dai gesuiti nel Colegio de Dolores di Santiago e poi in quello di Belen a L’Avana, si rincorrono da anni, e la prova definitiva che sia avvenuto non esiste. Persone informate sul suo rapporto con la fede però non lo escludono. Le sue ceneri saranno seppellite domenica mattina a Santiago nel cimitero di Santa Ifigenia, che è cattolico, ma è anche il luogo dove riposa l’eroe nazionale José Martì. Il suo percorso spirituale, invece, è stato documentato anche dai recenti incontri con tre pontefici.
Il fratello Raúl ha detto che se Papa Francesco continuerà a comportarsi come sta facendo, lui potrebbe tornare nella chiesa cattolica. L’evoluzione di Fidel è stata più riservata, ma forse proprio per questo anche più profonda. Sul piano politico il rapporto con la chiesa era stato molto duro, al punto che aveva cancellato dal calendario la festa di Natale. La fede però è rimasta nel cuore dei cubani, come testimoniano ad esempio gli atti di devozione che si trovano al santuario del Cobre, dove i militari portano in dono le loro spalline e i rivoluzionari i certificati di encomio firmati da Castro.
Sul piano politico il Vaticano ha avuto un ruolo chiave per l’accordo con gli Usa, ospitando i colloqui segreti fra americani e cubani, ma il regime spera ancora che la Santa Sede lo aiuti nella difficile transizione in corso. La chiesa infatti viene vista come un elemento stabilizzante nella società, capace di favorire il dialogo invece dello scontro. Qualche segnale di riconoscenza già si vede. Ad esempio durante l’ultimo uragano che ha colpito l’isola, a differenza del passato, gli aiuti della Caritas e delle parrocchie sono stati incoraggiati, comunicando ai leader locali che erano benvenuti. Raúl stesso ha detto che è un piacere lavorare con la chiesa, anche se poi magari il regime apre le porte pure agli evangelici, per bilanciare un’influenza che potrebbe diventare troppo forte. Il Vaticano in cambio vorrebbe che le scuole cattoliche, tollerate ma non riconosciute, fossero almeno accettate come istruzione complementare, mentre l’Università di L’Avana ha chiesto ai professori dell’Istituto di Studi Ecclesiatici Varela di collaborare. Il nuovo arcivescovo della capitale, Juan Garcia, è meno coinvolto nella politica del predecessore Ortega, e anche questo sta aprendo una nuova pagina nelle relazioni, comunque si sia chiusa quella spirituale con Fidel.