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Carrón: “Cristo ci vuole più testimoni che militanti”

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Vatican Insider - pubblicato il 30/11/16
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«Il cambiamento che sta avvenendo nella vita del movimento e della Chiesa sconvolge e non tutti reagiscono allo stesso modo. Questo, talvolta, mi porta a patire incomprensioni nella vita del movimento. Personalmente vivo tutto questo in pace, anche se certe cose mi feriscono. Ma ho la fortuna di girare molto in Italia e fuori e mi trovo ripagato in tanti incontri significativi che mi accadono». 

Don Julián Carrón è alla guida di Comunione e Liberazione (Cl) dal 2005, designato da don Luigi Giussani a succedergli pochi mesi prima della morte del fondatore. Da allora il sacerdote spagnolo sta conducendo il movimento alla riscoperta del suo carisma originario, in una fase storica travagliata, che l’ha visto, talvolta, affrontare tensioni anche interne, al punto che qualcuno l’accusa persino di disperdere l’eredità del «Gius». 

Credere lo ha intervistato, in occasione della pubblicazione di una nuova versione di un testo di don Giussani del 1973 «Dalla liturgia vissuta. Una testimonianza» (Edizioni San Paolo). 

Oltre ad alcune riflessioni molto attuali sul senso della liturgia e della sua importanza sia nella vita cristiana sia nel cammino di Cl («soltanto una persona che ha le sue radici nel mistero di Cristo può essere segno di novità nel mondo; don Giussani ci ha introdotto al linguaggio della liturgia con la sobrietà nei gesti, curandola in tutti i dettagli, specie nei canti»), don Carrón affronta con decisione alcune delle sfide sul tappeto per il movimento, oggi forte di non meno di 100mila membri, diffusi in novanta paesi di tutti i continenti. 

«Siamo davanti a una situazione storica inedita – spiega nell’intervista a Gerolamo Fazzini – “un cambiamento d’epoca”, come dice il Papa. La questione cruciale oggi è come rendere attraente la fede e la vita cristiana, in un mondo in cui il valore supremo è la libertà: non c’è altro modo di comunicare il vero che non passi per la libertà. È la lezione del Concilio. La verità non ha bisogno d’altro. E la fede non si comunica per costrizione, ma per “attrazione”. Questo equivale a tornare alle origini dell’esperienza cristiana». Anche a costo di essere minoranza: «Come dice Benedetto XVI, occorre accettare “il metodo sommesso” di Dio. Perciò, o noi ci immedesimiamo con questa modalità di azione di Dio, oppure l’essere minoranza sarà vissuto come una “minorazione”, invece che come un’occasione per condividere con tutti la grazia della compagnia di Cristo». 

Carrón riafferma con forza la sintonia tra Cl e papa Francesco: «Chi ha preso parte all’incontro del movimento con papa Francesco il 7 marzo 2015 e ha ascoltato le sue parole, ha potuto toccare con mano quanto gli siano familiari certe espressioni di don Giussani. Per noi è una gioia constatare che la modalità di concepire il cristianesimo cara a Giussani coincide con quanto il Papa propone». E aggiunge: «Che poi noi siamo in grado di vivere fedelmente tutto ciò è un altro paio di maniche. Anzi: una scommessa». 

L’attuale Capo di Cl sottolinea, poi, che «la categoria di “ambiente” è centrale nell’esperienza del movimento. Del resto, Cl è nata in una scuola e poi si è diffusa in tanti ambienti. Spesso siamo stati accusati di portar fuori la gente dalle parrocchie, quando invece Cl incontrava le persone là dove vivevano. Don Giussani ha voluto invitarci a vivere la fede nel reale, non in ambiti “protetti”. Oggi, sentendo papa Francesco parlare di “periferia” e di una Chiesa “in uscita”, siamo richiamati al carisma originale». 

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