«La Siria vanta antichi fasti e conta laceranti conflitti. Abitata ininterrottamente da più di 8mila anni, è una terra che ha visto l’uomo superare geroglifici e caratteri cuneiformi, imparando a comunicare con il suo prossimo con alfabeti che hanno poi generato la scrittura moderna. Ma sempre qui tante, troppe volte nel corso dei secoli, ci si è abbandonati a una brutalità figlia della negazione dell’altro, non ascoltato e non compreso», sono queste alcune delle considerazioni di don Pier Janbloyan, prete salesiano che racconta l’inferno di Aleppo. Don Pier è stato a Torino, all’Istituto Agnelli, scuola della comunità salesiana per un incontro con i confratelli e i giovani. Parla con la gente comune, le istituzioni e la stampa: fornisce dati e storie.
Un dramma che sembra non avere fine. Il senso dell’essere cristiani, è quello di essere testimoni di un Dio che ha espresso la sua potenza sulla croce e il martirio del popolo siriano è dentro questa realtà che però deve cambiare, “«bisogna uscire da quest’orrore» è la sfida di tutti e l’appello di don Pier.
Si può definire una deriva senza fine e una dramma che continua e sta diventando normalità per il mondo?
«Aleppo era una grande città ricca e industriale: migliaia di aziende e comparti produttivi in grado di fornire al mercato globale varie tipologie merceologiche: dai bottoni della camicia a quelli dei computer. Poi le speranze della “primavera araba” che non ha portato a una fase di pace; il Paese è scivolato progressivamente in una guerra civile, brutale e devastante. Da 4 milioni e mezzo di abitanti, la Città si è svuotata e oggi il 45% è distrutto».
Sono troppi ormai gli anni di guerra civile, devastante e crudele…
«Aleppo, dove si trova la mia famiglia, è oggi segnata da macerie e da tombe. Bombe, missili, colpi di mortaio si sono accaniti quotidianamente su intere aree della metropoli. Fino alla tregua, poi, Aleppo è stata una città praticamente cinta d’assedio. Nonostante la guerra – raccontava a inizio estate don Pier – e il buio che da essa deriva, cerchiamo di accendere qualche lumino di speranza nel cuore dei ragazzi di Aleppo. Con molta cautela portiamo i ragazzi all’oratorio con l’autobus, affinché possano vivere qualche ora nella gioia e nella serenità. In questa guerra spietata la città vive la massima contraddizione: da un lato tutta la cittadinanza è costretta a vivere la guerra, con la paura della guerriglia e dei cecchini, le esplosioni, la mancanza di servizi pubblici, la morte aleggiante, le malattie, dall’altra – e l’’oratorio salesiano è uno degli esempi – la comunità si sforza di vivere la quotidianità il più possibile, ripristinando appena possibile scuola, gite, gioco, attività».
Una guerra di religione o una sfida geopolitica tra grandi potenze che dimentica il popolo?
«È una guerra mondiale, che si svolge in un Paese oggi devastato che è culla della civiltà mediterranea. Non è un conflitto di religione tra sciiti e sunniti, anche se la religione c’entra, non è una guerra per motivi economici, ma i motivi economici c’entrano, non è per il controllo geopolitico, ma anche per quello, per capire la guerra siriana si deve tenere conto di una realtà che avrebbe bisogno di più diplomazia e gesti di pace e non di bombe».