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Cosa mi ha insegnato sul rosario un prigioniero di guerra torturato

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Tod Worner - pubblicato il 28/11/16
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La testimonianza di un soldato mi ha mostrato che il rosario è molto di più di un’ammirevole preghiera di devozioneAnche se è una storia che ho ascoltato anni fa, le immagini mi sono rimaste impresse nella mente.

Ed erano impressionanti.

Un giovane soldato americano era stato gettato con noncuranza in mezzo al mucchio in una soffocante prigione nella giungla. Malato e malnutrito, giaceva in stato di semi-incoscienza sul pavimento sporco. Veniva picchiato ogni giorno, a volte ogni ora. I giorni si susseguivano alle notti, le settimane si accavallavano e la brutalità costante divenne senza senso, senza misericordia e senza fine.

Pur se schiacciato dal peso di un dolore indicibile e in preda al delirio febbrile, nei momenti di lucidità il soldato tracciava col dito qualcosa sul suolo di terra. Univa alla bell’e meglio dieci punti in un cerchio con al centro una croce, e poi, quasi impercettibilmente, le sue labbra sanguinanti e tumefatte iniziavano a mormorare:

Ave Maria, piena di grazia, il Signore è con te…

Il rosario, ha ricordato in seguito il soldato, è quello che lo mantenuto sano di mente in un momento di spietatezza incomprensibile. Recitare le parole pronunciate dall’Angelo Gabriele e da Santa Elisabetta alla Madonna – Ave Maria, piena di grazia, il Signore è con te, tu sei benedetta tra le donne… -, il Padre Nostro e il Gloria e contemplare i misteri gaudiosi, dolorosi e gloriosi ha portato Dio in quella cella. Spingere le dita lungo i punti tracciati nel suolo sporco era sentire che l’ordine dissipava momentaneamente il disordine e la grazia eclissava la sofferenza insensata.

Dio era davvero presente.

Perché il rosario, come ha capito tanto chiaramente questo soldato, non è recitare meccanicamente frase dopo frase o una fredda catalogazione degli eventi della vita di Cristo. No. Piuttosto, è un’immersione profondamente mistica in Dio. È astraersi dal duro momento presente per accostarsi all’Eterno pieno d’amore. È un’opportunità per lasciarsi abbracciare da Cristo usando preghiere, frasi e immagini tratte da devozioni millenarie. O, come ha affermato uno scrittore,

La parole [del rosario] sono come gli argini di un fiume, e la preghiera è come il fiume stesso. Gli argini sono necessari per dare una direzione e per far continuare a scorrere il fiume, ma è il fiume che ci interessa. Allo stesso modo, nella preghiera conta solo l’inclinazione del cuore verso Dio… Mentre il fiume sfocia nel mare, gli argini sfumano. Similmente, mentre ci avviciniamo al senso più profondo della presenza divina, le parole sfumano e… rimaniamo in silenzio nell’oceano dell’amore di Dio”.

Davvero.

Quando sono diventato cattolico credevo che il rosario fosse un’ammirevole preghiera di devozione. Forse, pensavo, è qualcosa che dovrei recitare di tanto in tanto. È stata la straordinaria testimonianza di questo soldato a dimostrarmi che il rosario è molto di più. È un incontro senza paragoni con Cristo capace di trascendere la realtà più dura. È un luogo in cui le parole presto svaniscono e “rimaniamo in silenzio nell’oceano dell’amore di Dio”.

Un soldato che ha subito torture infernali ha capito e abbracciato il rosario come un incontro con Dio, un incontro profondo e che sostiene la vita.

Non dovremmo forse farlo anche noi?

[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]

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