La fede cristiana è uno scandalo. Dio si è fatto carne fragile e ha fatto sì che quel coinvolgimento con la vita di ogni uomo e donna rimanga dentro la storia attraverso la Chiesa. La Chiesa siamo noi: fragili, testardi, limitati. Dio si è immerso nella nostra umanità finita e maldestra, e l’umanità, quella di tutti noi, si è immersa nel tenero abbraccio di quello stesso Dio. Da quel momento, tutta la via cristiana è stata segnata dalla pedagogia del seguire una carne concreta, che mi educa e mi accompagna. Non seguiamo un’idea, non seguiamo un ideale di decenza, seguiamo una Persona viva e la maniera nella quale questa Persona ha deciso di rimanere insieme a noi, senza abbandonarci. La facile tentazione gnostica va evitata così: credendo che l’Amore di Dio si sia chinato sulla nostra vita, compatendo il nostro nulla, ricostruendo dal di dentro l’uomo caduto, schiacciato, ferito.
La fede diventa ideologia quando la nostra certezza sullo scandalo cristiano è presupposta. Quando non è preciso ricominciare. Quando, senza renderci conto, concepiamo la fede come un territorio ormai conquistato. Quando siamo più certi di noi stessi che non di Colui che ci è dato come luogo nel quale verificare la nostra esperienza.
Infatti, Gesù ha scelto Pietro, un povero pescatore, per guidarci. Non era un teologo, non era un erudito. Conosceva pesci e reti. Non fu nonostante la sua fragilità e la sua rozzezza che divenne roccia per sostenere la Chiesa. È stato, appunto, tramite esse che Dio ha deciso di educarci e stupirci.
Come credere in qualcosa che rompe tutti gli schemi? Come credere che un Papa gesuita latinoamericano, amico di Rafael Tello, Lucio Gera e Methol Ferré, possieda piena potestà, suprema e universale, da esercitare sempre con assoluta libertà?
Mi sembra che questa certezza di fede vada educata nell’adesione fedele alla compagnia che abbiamo ricevuto in dono per vivere il mistero della Chiesa: il vescovo, il parroco, il fondatore della comunità nella quale ci troviamo inclusi, il fratello maggiore che mi consiglia e cura. Dio ci regala delle persone che sono un fattore di verifica, una sorta di cammino da seguire. Tramite il segno sensibile della loro amicizia e compagnia, il mio cuore scopre che essere Chiesa non è mai una proposta formale, astratta o disincarnata. Essere Chiesa è vivere sempre dentro una compagnia guidata, dentro una certa obbedienza e disponibilità. Prescindere della mediazione sensibile, fa crollare la Chiesa come sacramento. Ribadisco: non seguiamo delle idee. Seguiamo un fatto vivente, agente e carnale che rimane nella storia. E potrebbe sembrare incredibile, ma è un’enorme consolazione.
Cosa potrei pensare io, da fedele laico, peccatore e ignorante, quando vedo quattro importanti cardinali della Chiesa mettere in discussione il Magistero ordinario del Papa? Come potrei rivolgermi ai cardinali senza rischiare di fare una meditazione ad alta voce? Sarebbe sufficiente scrivere «Cari signori cardinali» per fermarli un attimo a leggere queste righe?
La lettera scritta dai cardinali Burke, Caffarra, Brandmüller e Meisner a Papa Francesco con cinque «dubbi» sulla dottrina esposta in «Amoris laetitia» è certamente cordiale. Mi dispiace soltanto la sua pubblicazione così tempestiva. Sembrerebbe, da parte loro, un atto di pressione. Così come alcune dichiarazioni a margine, che hanno anche un tono di minaccia. Il cardinale Burke, dal canto suo, ha dichiarato che se Francesco non risponderà, loro sono pronti per un «atto formale» al fine di correggere il Successore di Pietro.
Mi chiedo, con tutto il rispetto possibile, signori cardinali, non vi rendete conto che i vostri interrogativi ora pubblici rinforzano direttamente e indirettamente quelli che da anni non si fidano di Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI né del Concilio Vaticano II? Non vi rendete conto che alcuni dei settori più associati a fantasticherie e teorie della cospirazione, a conservatorismi ideologici, che nulla hanno a che vedere con il Vangelo, e al moralismo (così denunciato da Papa Ratzinger) celebrano la vostra presa di posizione? Forse voi siete coscienti di tutto ciò. Forse minimizzate il tutto. Forse desiderate semplicemente uscire dal dubbio avvicinandovi al Papa con il desiderio di imparare e senza voler mettere in dubbio il suo Magistero.
Dal mio punto di vista, cari cardinali, l’insegnamento di Papa Francesco in «Amoris laetitia» è vera fedeltà creativa e sviluppo organico che esplicita il deposito della fede sottolineando come ogni verità, per brillare nella sua capacità di attrazione, abbia bisogno di essere affermata con misericordia e bontà. Il silenzio del Papa di fronte alle loro domande può essere dovuto a due motivi: che le risposte siano già state fornite sia nella stessa «Amoris laetitia» che nelle importanti omelie, messaggi e catechesi con le quali Francesco esercita il suo «munus docendi» ogni giorno.
Voi chiedete se «a seguito di quanto affermato in “Amoris laetitia” nn. 300-305, sia divenuto ora possibile concedere l’assoluzione nel sacramento della Penitenza e quindi ammettere alla Santa Eucaristia una persona che, essendo legata da vincolo matrimoniale valido, convive “more uxorio” con un’altra». A me pare che in alcune occasioni sarà possibile e in altre no. Tutto dipenderà dall’esistenza di un autentico peccato mortale o dall’esistenza di alcune attenuanti che facciano diventare la mancanza un peccato, ma non di quella natura. «Il discernimento deve aiutare a trovare i possibili percorsi di risposta a Dio e di crescita in mezzo ai limiti».
In secondo luogo, vi chiedete se «continua ad essere valido, dopo l’esortazione postsinodale “Amoris laetitia” (cfr. n. 304), l’insegnamento dell’enciclica di San Giovanni Paolo II “Veritatis splendor” n. 79, fondato sulla Sacra Scrittura e sulla Tradizione della Chiesa, circa l’esistenza di norme morali assolute, valide senza eccezioni, che proibiscono atti intrinsecamente cattivi?». Cari cardinali, la risposta è «sì», continua ad essere valida. Ci sono degli atti che in sé stessi sono sempre gravemente illeciti in ragione del loro oggetto. Ma, come Giovanni Paolo II ricorda, «se gli atti sono intrinsecamente cattivi, una buona intenzione o certe circostanze particolari possono attenuare la loro malizia», anche se non cancellarla del tutto.
La terza questione è se «dopo “Amoris laetitia” n. 301 è ancora possibile affermare che una persona che vive abitualmente in contraddizione con un comandamento della legge di Dio, come ad esempio quello che proibisce l’adulterio (cfr. Mt 19, 3-9), si trova in situazione oggettiva di peccato grave abituale (cfr. Pontificio consiglio per i testi legislativi, Dichiarazione del 24 giugno 2000)?». Qui la risposta merita alcune distinzioni: una «situazione di peccato grave abituale» si riferisce a una condotta ostinata contro la norma evangelica oggettivamente, e quindi, non si riferisce all’imputabilità ma alla natura dell’azione in sé stessa. «Peccato mortale» è quell’azione che coinvolge materia grave, piena coscienza e deliberato consenso. Perciò, un’azione oggettivamente cattiva per essere peccato mortale necessita di certe condizioni soggettive che la facciano diventare imputabile. La proibizione di accedere all’Eucaristia in situazione di peccato grave si basa sulla possibilità di sconvolgere l’ordine della comunità, generare scandalo o altre situazioni simili, cioè, si basa su una norma disciplinare, non dottrinale, che può essere modificata dal Papa. Invece, l’impossibilità di accedere all’Eucaristia in peccato mortale è di ordine dottrinale e non soltanto disciplinare. Non è, quindi, possibile affermare che ogni persona in situazione di peccato grave per definizione stia commettendo peccati mortali. Basta pensare alle persone che vivono situazioni di sfruttamento sessuale e nelle quali esiste evidentemente una situazione di peccato grave (la prostituzione) senza voler dire che gli atti compiuti siano imputabili perché eseguiti «con piena conoscenza» e «consenso deliberato» (poiché c’è schiavitù). Sembra che i cardinali si avvicinino a queste situazioni riconoscendo che una persona in uno stato di vita oggettiva di peccato «soggettivamente potrebbe non essere pienamente imputabile, o non esserlo per nulla».
La quarta domanda fatta a Papa Francesco: «Dopo le affermazioni di “Amoris laetitia” n. 302 sulle “circostanze attenuanti la responsabilità morale”, si deve ritenere ancora valido l’insegnamento dell’enciclica di San Giovanni Paolo II “Veritatis splendor” n. 81, fondato sulla Sacra Scrittura e sulla Tradizione della Chiesa, secondo cui: “le circostanze o le intenzioni non potranno mai trasformare un atto intrinsecamente disonesto per il suo oggetto in un atto soggettivamente onesto o difendibile come scelta”?». È proprio così. La circostanza o l’intenzione modificano solo incidentalmente la specie morale dell’azione. Ma entrambe sono rilevanti per la determinazione dell’imputabilità. Per questo motivo Papa Francesco ha ragione nell’affermare «un giudizio negativo su una situazione oggettiva non implica un giudizio sull’imputabilità o la colpevolezza della persona coinvolta».
La quinta domanda è se «si deve ritenere ancora valido l’insegnamento dell’enciclica di San Giovanni Paolo II “Veritatis splendor” n. 56, fondato sulla Sacra Scrittura e sulla Tradizione della Chiesa, che esclude un’interpretazione creativa del ruolo della coscienza e afferma che la coscienza non è mai autorizzata a legittimare eccezioni alle norme morali assolute che proibiscono azioni intrinsecamente cattive per il loro oggetto?». È così. «Amoris laetitia» non propone eccezioni alle norme morali assolute. Esistono le attenuanti che in certi casi possono far sì che il peccato commesso non sia imputabile a un soggetto con le caratteristiche necessarie per poter considerare la sua azione un peccato mortale.
Con questo scritto non si risolve la questione. Sono cosciente che le mie risposte sono molto brevi. Ma vorrei terminare annotando una seconda possibile ragione che potrebbe spiegare il silenzio del Papa. Nella «Misericordia et misera», Francesco parla in diverse occasioni del «silenzio». Spiegando l’incontro tra Gesù e l’adultera, osserva che a coloro che volevano giudicarla «e condannarla a morte, Gesù risponde con un silenzio prolungato, che aiuta la voce di Dio a risuonare nelle coscienze, sia della donna sia dei suoi accusatori. Questi lasciano cadere le pietre dalle loro mani e se ne vano uno a uno». Non sarà questa la ragione del silenzio del Papa? Non vorrà aspettare che gli uomini che avevano giurato fedeltà alla sua persona riconsiderino la loro posizione e ritornino al percorso pedagogico prima indicato? Dio voglia che, con dialogo e buona fede, con preghiera in comune e abbraccio sincero, tutti possiamo camminare insieme al Successore di Pietro e insieme ai vescovi in comunione con lui. Potremo così offrire una viva testimonianza che, al di là di alcune divergenze di sensibilità, la comunione è sempre possibile, solo se riscopriamo esistenzialmente il primato dell’amore misericordioso del nostro Dio, che ci ama tutti e ci perdona sempre.
* Membro del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, della Pontificia Academia per la Vita e del gruppo di Riflessione Teologica del Celam