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Vaticano, al via il dialogo con gli ayatollah

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Vatican Insider - pubblicato il 19/11/16
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È una comunità che vive la speranza cristiana confidando nell’azione dello Spirito Santo. Spoglia di se stessa, della sua forza, ripiena della grazia che viene dall’alto e che ispira ogni passo. Sono passi di dialogo, di preghiera, di pace, intrisi di profonda serenità e fede incrollabile nella Provvidenza, quelli che Ramzi Garmou, 70enne vescovo caldeo di Tehran, racconta a Vatican Insider, alla vigilia dell’arrivo di una delegazione ufficiale iraniana in Vaticano. La visita giunge in occasione della decima sessione del Colloquium tra Santa Sede e Iran, esperienza di amichevole confronto istituzionale, organizzata con cadenza biennale.  

La delegazione da Tehran, guidata da Abuzar Ebrahimi Torkeman, presidente dell’Organizzazione della Cultura e Relazioni islamiche (Icro), dipendente dal Ministero della Cultura e della guida islamica, sarà a Roma il 21 novembre e nei giorni successivi parteciperà a incontri organizzati dal Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso, inclusa un’udienza con papa Francesco. 

La visita dei leader religiosi iraniani si inserisce in una fase di grande fermento nei rapporti tra Europa e Iran, in cui l’Italia è protagonista. Messo fine all’embargo, i rapporti commerciali e culturali si stanno intensificando. 

Contestualmente alla visita degli ayatollah, si tiene a Roma la «Iran solo country», esposizione di aziende persiane che mettono in mostra prodotti e manufatti. Sul versante interculturale, ha riscosso grande apprezzamento il progetto di interscambio di giovani musicisti iraniani ed europei, promosso dalla World Youth Orchestra Foundation, che procederà per un ulteriore triennio, toccando anche aspetti della musica sacra. 

Molte porte sembrano aprirsi su tutti i fronti e anche la visita del presidente iraniano Hassan Rouhani in Italia e in Vaticano è di buon auspicio per il percorso di dialogo. Senza dimenticare l’accordo siglato dalla Pontificia Università Lateranense con l’Università delle Religioni e Denominazioni nella città santa sciita di Qom, che prevede lo scambio tra docenti e studenti. 

Monsignor Garmou, come valuta questi passi di dialogo?  

«Quelli tra Santa Sede e Iran sono passi molto utili e positivi. È un processo che va avanti da oltre vent’anni, con delle sessioni di colloqui che si tengono alternativamente a Tehran e a Roma. È animato dagli specialisti, da teologi e intellettuali, e aiuta a creare reciproca amicizia, anche se con pazienza. Accanto a questo dialogo teologico, l’altra faccia è dialogo di vita che viviamo noi battezzati quotidianamente. Avere relazioni amichevoli con i leader e i fedeli musulmani ha il potere di fecondare il dialogo delle menti. Lo vediamo ogni giorno nella nostra esperienza. Siamo felici di constatare che il dialogo continua: è segno di un strada che si percorre insieme, che noi percorriamo in modo fiducioso e sincero». 

Ci racconta della presenza cristiana in Iran?  

«La presenza cristiana risale al I secolo. La storia racconta che l’apostolo Tommaso arrivò in questa terra e offrì il primo annuncio di Cristo in Persia: la prima comunità assiro-caldea in questa terra ha vissuto esperienze molto importanti e significative: la prima è quella del martirio, già prima dell’avvento dell’islam, quando la Persia era governata dalla dinastia sassanide, che indisse una forte persecuzione. Allora i fedeli locali ebbero da Dio la forza di testimoniare il Vangelo dell’amore ai nemici. Si può dire che proprio grazie a questa esperienza, la comunità cristiana ha conosciuto un’espansione. Da qui sono partiti i primi missionari che hanno portato il Vangelo in estremo Oriente. Un’altra esperienza essenziale è la via monastica, fatta di preghiera contemplativa. L’attività e la vita della Chiesa qui si è da sempre fondata sulla preghiera. La missione della Chiesa è opera dello Spirito Santo, e grazie alla preghiera lo Spirito Santo opera nella Chiesa. Questa è la medesima esperienza che viviamo oggi». 

Può descrivere la comunità cristiana in Iran oggi?  

«I fedeli in Iran sono oltre 60mila, in un paese di 80 milioni di abitanti, in larga maggioranza musulmani sciiti. I battezzati sono divisi tra la Chiesa apostolica armena (circa 50mila), i cattolici (oltre 5mila, di rito caldeo, armeno cattolico e latino), o quelli delle comunità cosiddette “nestoriane” e protestanti presbiteriane. La forza della comunità cristiana non dipende dai numeri o dalle istituzioni presenti, bensì dalla qualità della fede vissuta dal popolo. Gesù nel Vangelo ha detto “Non temere, piccolo gregge”. La nostra forza è Gesù Risorto: nei limiti consentiti, viviamo in questa terra, con la grazia di Cristo, testimoniando il Vangelo con la preghiera, il servizio al prossimo, le relazioni amichevoli con tutti. Cristo è amore». 

Come si vive la fede in uno Stato islamico teocratico?  

«La prima missione del cristiano non è evangelizzare in maniera pubblica, ma vivere e annunciare il Vangelo con la vita e con la preghiera. Se siamo persone di preghiera, siamo vicini a Dio e questo traspare. Per noi la preghiera è missione. Poi esiste una testimonianza di vita evangelica nella prassi quotidiana, nelle relazioni col prossimo, a lavoro, a scuola, nella società, basata sulla verità e sulla carità. La sincerità e un autentico rapporto con Dio fecondano l’altro e qui inizia il dialogo e una serena relazione umana». 

Come sono considerati i cristiani nel Paese?  

«L’immagine e la considerazione che si ha di noi, sia tra la gente comune ma anche tra i leader, è positiva. Siamo gente di pace, impegnata in opere sociali e pronta alla solidarietà. Oggi beneficiamo della presenza di papa Francesco, testimone universale di semplicità evangelica e di vicinanza ai poveri. Molti iraniani ne seguono e apprezzano le attività attraverso i mass-media, che parlano di lui. Speriamo con tutto il cuore possa visitare l’Iran».  

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