Tutto, può perdonare la gente a un sacerdote, ma non l’attaccamento ai soldi e i maltrattamenti della gente. Dunque «Dio ci dia la grazia della povertà cristiana», in modo da essere preti come quegli operai che «guadagnano il giusto e non cercano di più». Così dice papa Francesco all’omelia di questa mattina, 18 novembre 2016, a Casa Santa Marta, riportata da Radio Vaticana.
Alla presenza dei segretari dei nunzi apostolici, in Vaticano per il «Giubileo dei collaboratori delle rappresentanze pontificie» organizzato dalla Segreteria di Stato, il Pontefice riflette sul Vangelo odierno in cui si legge di Gesù che caccia i mercanti dal tempio, trasformato in un «covo di ladri».
Cristo «ci fa capire dove è il seme dell’anticristo – spiega – il seme del nemico, il seme che rovina il suo Regno»: l’attaccamento al denaro. «Il cuore attaccato ai soldi – afferma il Vescovo di Roma – è un cuore idolatra». Il Figlio di Dio dice che «non si possono servire due signori, due padroni», il Signore e il denaro. I soldi sono «l’anti-Signore».
Jorge Mario Bergoglio, che ha scelto come nome da papa quello del Santo «Poverello» di Assisi, non può che denunciare la dinamica raccontata dalla liturgia odierna: «Il Signore Dio, la casa del Signore Dio che è casa di preghiera. L’incontro con il Signore, con il Dio dell’amore. E il signore-denaro, che entra nella casa di Dio – osserva il Papa – sempre cerca di entrare. E questi che facevano il cambio di valute o vendevano cose, ma, affittavano quei posti, eh?: ai sacerdoti… – constata con amarezza – ai sacerdoti affittavano, poi entravano i soldi». Ecco, questo è «il signore che può rovinare la nostra vita e ci può condurre a finire la nostra vita male, anche senza felicità, senza la gioia di servire il vero Signore, che è l’unico capace di darci la vera gioia».
Si tratta di «una scelta personale», precisa il Pontefice, che domanda: «Com’è il vostro atteggiamento con i soldi? Siete attaccati ai soldi?».
Poi avverte i preti di ogni luogo e tempo: «Il popolo di Dio che ha un grande fiuto sia nell’accettare, nel canonizzare come nel condannare – perché il popolo di Dio ha capacità di condannare – perdona tante debolezze, tanti peccati ai preti; ma non può perdonarne due: l’attaccamento ai soldi, quando vede il prete attaccato ai soldi, quello non lo perdona, o il maltrattamento della gente, quando il prete maltratta i fedeli». Questi due comportamenti «il popolo di Dio non può digerirli», e non li perdona. Le altre «debolezze, gli altri peccati… sì, non sta bene, ma pover’uomo è solo, è questo… e cerca di giustificare. Ma la condanna non è tanto forte e definitiva: il popolo di Dio ha saputo capire, questo». Invece «lo stato di signore che ha il denaro – insiste – e porta un sacerdote a essere padrone di una ditta o principe o possiamo andare in su…», questo no.
Francesco cita i «terafim», gli idoli che Rachele, la moglie di Giacobbe, conserva nascosti, come si legge nella Bibbia: «È triste vedere un sacerdote che arriva alla fine della sua vita, è in agonia, è in coma e i nipoti come avvoltoi lì, guardando cosa possono prendere»; il Papa invita i sacerdoti a «un vero esame di coscienza. “Signore, Tu sei il mio Signore o questo – come Rachele – questo terafim nascosto nel mio cuore, questo idolo del denaro?”». Poi lancia un appello ai preti: «Siate coraggiosi: siate coraggiosi. Fate scelte. Denaro sufficiente, quello che ha un onesto lavoratore, il risparmio sufficiente, quello che ha un onesto lavoratore». Al contrario «non è lecito, questo è un’idolatria, l’interesse».
Il Signore «a tutti noi ci dia la grazia della povertà cristiana – invoca in conclusione – Che il Signore ci dia la grazia di questa povertà di operai, di quelli che lavorano e guadagnano il giusto e non cercano di più».