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“Nessuna giustificazione per le vittime innocenti in Iraq e Siria”

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Vatican Insider - pubblicato il 17/11/16
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In Iraq e in Siria «si riversa su centinaia di migliaia di bambini innocenti, di donne e di uomini la violenza terribile di sanguinosi conflitti, che nessuna motivazione può giustificare o permettere», lì «i nostri fratelli e sorelle cristiani, nonché diverse minoranze religiose ed etniche sono purtroppo abituati a soffrire quotidianamente grandi prove». Lo ha detto il Papa, implorando la fine di questa situazione, nel discorso rivolto oggi in Vaticano a Mar Gewargis III, Catholicos della Chiesa assira dell’Oriente. Il Patriarca, già Metropolita in Iraq, Giordania a Russia, ha proposto un raduno internazionale di tutti i patriarchi e primati delle Chiese apostoliche sul Medio Oriente ed ha ricordato quando Giovanni Paolo II gli confidò la sua amarezza per non essere riuscito a fermare l‘intervento Usa in Iraq nel 2003: «Io ho cercato di fare tutto quello che era in mio potere per evitare questo disastro. Ma questi politici non ci comprendono, e noi non comprendiamo loro». 

«Questo incontro e la preghiera che insieme eleveremo oggi al Signore invocano proprio il dono della pace», ha detto il Papa. «Siamo infatti costernati per quanto continua ad accadere in Medio Oriente, specialmente in Iraq e in Siria. Lì si riversa su centinaia di migliaia di bambini innocenti, di donne e di uomini la violenza terribile di sanguinosi conflitti, che nessuna motivazione può giustificare o permettere. Lì i nostri fratelli e sorelle cristiani, nonché diverse minoranze religiose ed etniche sono purtroppo abituati a soffrire quotidianamente grandi prove. In mezzo a tanto dolore, di cui imploro la fine – ha sottolineato Francesco – ogni giorno vediamo cristiani che percorrono la via della croce seguendo con mitezza le orme di Gesù, unendosi a Lui, che con la sua croce ci ha riconciliati, “eliminando in sé stesso l’inimicizia”. Questi fratelli e sorelle sono modelli che ci esortano in ogni circostanza a rimanere col Signore, ad abbracciare la sua croce, a confidare nel suo amore. Ci indicano che al centro della nostra fede sta sempre la presenza di Gesù, che ci invita, anche nelle avversità, a non stancarci di vivere il suo messaggio di amore, di riconciliazione e di perdono. Questo impariamo dai martiri e da quanti oggi ancora, anche a costo della vita, restano fedeli al Signore e con Lui vincono il male con il bene. Siamo grati a questi nostri fratelli, che ci sospingono a seguire la via di Gesù per sconfiggere l’inimicizia. Come il sangue di Cristo, sparso per amore, ha riconciliato e unito, facendo germogliare la Chiesa, così il sangue dei martiri è il seme dell’unità dei Cristiani».  

Il Catholicos della Chiesa assira dell’Oriente, da parte sua, ha detto che l’incontro «accrescerà la contentezza dei cristiani in Iraq e Siria, sarà in sé fonte di gioia spirituale ed incoraggiamento, in mezzo alle loro sofferenze e al loro dolore, che li uniscono alle sofferenze e al dolore di Cristo e che sono causati dalle difficili e terribili circostanze in cui si trovano a vivere e che hanno portato molti di loro a lasciare la terra dei propri avi».  

Sua Santità Mar Gewargis III ha ricordato che «nel 1991 incontrai il vostro predecessore, Sua Santità papa Giovanni Paolo II di beata memoria, in Vaticano, dopo aver partecipato a una conferenza organizzata dalla Comunità di Sant’Egidio a Bari. In quel periodo, la coalizione guidata dagli Stati Uniti d’America si accingeva a intervenire militarmente in Iraq, e c’era molta paura e angoscia tra i nostri cittadini, preoccupati di poter diventare essi stessi vittime di attacchi militari. Io allora spiegai tale situazione al defunto Papa, ed egli mi assicurò che si sarebbe adoperato al massimo al fine di trovare una soluzione che potesse impedire l’intervento militare. Per pura coincidenza, dopo questi avvenimenti, mi trovai a fare visita, assieme a una delegazione di alti rappresentanti cristiani-iracheni, a Sua Santità papa Giovanni Paolo II per informarlo dello stato in cui versava la nostra sofferente comunità. E non appena Sua Santità mi vide, si ricordò di me e mi disse: “Io ho cercato di fare tutto quello che era in mio potere per evitare questo disastro”, e aggiunse: “Ma questi politici non ci comprendono, e noi non comprendiamo loro”. Come tutti ben sappiamo – ha proseguito il Patriarca orientale – la condizione delle nostre antiche comunità cristiane in Iraq ha provocato il trasferimento forzato di migliaia di persone. Donne, bambini e anziani hanno lasciato le loro case e continuano a spostarsi incessantemente – di città in città, e di villaggio in villaggio, in cerca di una vita sicura. Pertanto, Sua Santità, a nome di migliaia di sfollati cristiani di Iraq e Siria e a nome di coloro che hanno già pagato con la propria vita e il proprio sangue la propria fede, io imploro di perseverare nelle nostre ferventi preghiere e suppliche a Dio onnipotente per porre fine al dolore e alla persecuzione a loro inflitti. Noi dovremmo incrementare la nostra fraterna collaborazione attraverso discussioni serie e studi rigorosi che mettano in luce l’attuale dilemma dei cristiani in Medio Oriente. Donde, io umilmente suggerisco la convocazione di un raduno internazionale di tutti i patriarchi e primati delle Chiese apostoliche al fine di studiare e di capire come e perché simili indicibili tragedie ripongono in noi la loro speranza di poter essere salvati dalle loro orribili condizioni nella convinzione che qualsiasi cosa chiediamo sarà ottenuta». 

Nel suo discorso, il Papa si è soffermato a lungo anche sul valore ecumenico dell’incontro, ricordando la dichiarazione cristologica comune firmata da Giovanni Paolo II e dal Catholicos Mar Dinkha IV e sottolineando che «questo traguardo storico ha aperto la via al nostro pellegrinaggio verso la piena comunione, un cammino che desidero ardentemente proseguire». In attesa della «comunione ecclesiale pienamente ristabilita, abbiamo l’opportunità di muovere passi spediti, crescendo nella conoscenza reciproca e testimoniando insieme il Vangelo. La nostra vicinanza sia lievito di unità. Siamo chiamati a operare insieme nella carità dovunque possibile, così che l’amore indichi la via della comunione». In questo senso, «i grandi evangelizzatori di allora, i santi e i martiri di ogni tempo, tutti concittadini della Gerusalemme del cielo, ci esortano e ci accompagnano ora ad aprire, insieme, sentieri fecondi di comunione e di testimonianza». 

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