Una nuova ricerca suggerisce che la marijuana può indebolire il cuore. Penso che lo faccia in vari modi…Il noto storico, giornalista, critico cinematografico e autore Roger Ebert riteneva l’empatia “la qualità più essenziale della civiltà”. Ironicamente, un crescente numero di Stati sta ora legalizzando l’uso ricreativo della marijuana, un allucinogeno che tra le altre cose compromette la capacità di chi ne fa uso di sperimentare davvero le emozioni e quindi di provare autentica empatia nei confronti degli altri.
Ho fatto regolarmente uso di marijuana per un breve periodo, e una delle cose che mi hanno colpito di più quando ho smesso è stata la crudezza delle mie emozioni. Senza l’intorpidimento fornito dalla marijuana come maschera per stress, tristezza e rabbia, sono stata costretta a rapportarmi a me stessa in un modo del tutto nuovo. È stato doloroso, ma visto che mi ha permesso di relazionarmi in modo totale agli altri che sperimentavano quelle emozioni alla fin fine è stato costruttivo. È stato come se fosse svanita la nebbia nel mio cuore, permettendogli di battere ancora una volta di forza e passione.
Ho trovato quindi particolarmente ironico il fatto che una nuova ricerca, riferita da Hailey Middlebrook della CNN, stia indagando sugli effetti di indebolimento che l’uso ricreativo della marijuana può avere sui muscoli cardiaci.
Il dottor Amitoj Singh, il cardiologo che ha guidato lo studio, ha riconosciuto che quando viene usata a scopi terapeutici la marijuana è estremamente utile. Quando viene usata legalmente è regolamentata in modo efficace, e la quantità di delta-9-tetraidrocannabinolo (THC) viene controllata. L’intenzione del dottor Singh, ha affermato la Middlebrook, è “attirare l’attenzione sui danni potenziali dell’uso ricreativo”.
Il team del medico ha studiato i dati riferiti a più di 33.000 pazienti ai quali è stata diagnosticata la cardiomiopatia da stress, una condizione in cui il muscolo cardiaco si indebolisce all’improvviso, ostacolando la sua capacità di pompare efficacemente il sangue. Dei pazienti totali, 210, principalmente giovani uomini, facevano uso di marijuana. Questo ha colpito molto Singh, che ha spiegato che “nella maggior parte dei casi la cardiomiopatia da stress si verifica tra le donne in età più avanzata”.
In coloro che facevano uso di marijuana, inoltre, non si riscontravano alcuni fattori di rischio, come la pressione alta e il diabete, che in genere provocano questa condizione. In base a notizie diffuse dall’American Heart Association sullo studio, “nonostante fossero più giovani e con meno fattori di rischio a livello cardiovascolare rispetto a chi non ne fa uso, nel caso di cardiomiopatia da stress i consumatori di marijuana avevano una probabilità significativamente superiore di andare in arresto cardiaco e di richiedere un defibrillatore per individuare e correggere ritmi cardiaci pericolosamente anormali”.
Nel tentativo di scoprire se l’uso della marijuana potesse provocare la cardiomiopatia da stress, il team del dottor Singh ha prodotto un modello che escludeva tutte le cause definitive di questa condizione. Come risultato, è stata riscontrata una correlazione significativa tra le due questioni. “Una persona che fa uso di marijuana ha quasi il doppio delle probabilità di sviluppare la cardiomiopatia da stress”, ha indicato il cardiologo.
Il medico ha comunque sottolineato che coloro che facevano uso di marijuana avevano anche più probabilità rispetto a chi non ne faceva uso di fumare sigarette e usare altre sostanze illecite che potevano compromettere la salute.
Come nota l’articolo della Middlebrook, servono più ricerche prima di stabilire un legame definitivo tra le complicazioni cardiache e l’uso della marijuana. Lo studio del dottor Singh avverte comunque che questa droga potrebbe non essere innocua come la società tende a credere.
In ogni caso, l’effetto dell’uso regolare e a lungo termine della marijuana a livello ricreativo sulla capacità di una persona di provare sentimenti in modo corretto e di processare le emozioni è difficile da negare.
Come ha scritto il terapeuta del Colorado John Gilburt, “la marijuana è una coperta bagnata gettata sulle emozioni. Col tempo si perde la capacità di rispondere e di reagire ai sentimenti, all’ambiente e alla vita in generale”.
Gilburt si riferisce all’uso ricreativo della marijuana ritenendola una sorta di automedicazione. Anziché ricevere una medicazione da un professionista, un individuo non qualificato si “medica” da sé, probabilmente ignaro della quantità reale di THC che sta assumendo. Come risultato, “i sentimenti appropriati associati alle cose e agli eventi reali si distorcono, si fuorviano e si perdono”.
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Per essere pienamente umani dobbiamo stabilire relazioni piene, e questo si può fare solo collegandosi agli altri in modo significativo e sensibile. Esiste la tentazione di mettere a tacere le emozioni spiacevoli o complicate, ma è solo lavorandoci su che possiamo essere davvero autentici, nei confronti sia di noi stessi che degli altri.
Elizabeth Pardi è una freelance nata a New York e cresciuta in Virginia. Attualmente vive in Ohio, è sposata e ha un bambino di un anno.
[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]