Il vescovo Peter Kang vive nell’isola coreana di Cheju, nota per essere in Corea una sorta di «patria degli sciamani». Anzi, per meglio dire, delle sciamane. La maggior parte degli sciamani in Corea, infatti, sono donne chiamate «mudang». Curano le malattie, praticano l’esorcismo contro gli spiriti maligni, comunicano con i morti. Nel terzo millennio, sebbene considerati dai più una mera pratica superstiziosa, i riti sciamanici sono ancora diffusi nella penisola coreana come sostrato religioso, a livello individuale e familiare, specie nei villaggi.
Oggi il popolo sudcoreano, fiero di essere ai vertici mondiali per ricchezza, sviluppo, tecnologia, ha appena scoperto, con sommo sdegno, che negli ultimi anni sono stati i riti sciamanici a orientare la politica nazionale e le scelte decisive per il futuro della nazione. La presidente del paese Park Geun-hye, eletta nel 2012, è al centro di uno scandalo e di una massiccia protesta per la sua controversa relazione con Choi Soon-sil, figlia di un leader di un culto sciamanico.
Si è scoperto che la presidente è succube ed è manipolata dalla santona, definita la «Rasputin coreana». Choi Soon-sil ha usato questa influenza per controllare gli affari di stato (accedendo a documenti classificati) e nel contempo per arricchirsi, pilotando contributi dei grandi gruppi industriali (incluso il colosso Samsung) a fondazioni da lei controllate. La donna è oggi agli arresti per frode e abuso di potere. Non se la passa molto meglio la sua «figlioccia» Park.
Infatti, dopo tre settimane di manifestazioni in tutta la nazione, lo scandalo, ora nelle mani della magistratura, non sembra acquietarsi. Al contrario, sale forte dall’opinione pubblica, dai mass media, dalle opposizioni politiche la richiesta di dimissioni immediate dalla presidente Park. E oggi, 12 novembre, un nuovo corteo di oltre centomila cittadini, di ogni provenienza, età e ceto sociale, ha invaso pacificamente le strade della capitale Seul mentre la presidente, nonostante la pubblica dichiarazione di scuse, è sempre più debole e vacillante.
Nemmeno il maldestro tentativo di un affrettato rimpasto di governo – con il cambio del Primo ministro, del ministro delle finanze e degli interni, sostituiti da esponenti di area liberale – ha sortito gli effetti sperati. Anche il partito conservatore Saenuri, cui la Park appartiene, è spaccato e la crisi politica a Seul travolge presidenza, governo e partito al potere.
«Il paese è scosso e la gente è infuriata. Si sente ingannata e presa in giro. La presidente Park Geun-hye si è lasciata manovrare come una marionetta. Per questo se ne chiedono le dimissioni», racconta il vescovo Kang a Vatican Insider, parlando da Cheju.
«Quanto sta accadendo in Corea mi ricorda il 19 aprile 1960, quando Syngman Rhee, primo presidente della Corea del Sud, fu costretto alle dimissioni dopo una imponente rivolta studentesca, che lo accusava di essere autocratico e corrotto e di aver truccato il voto», ricorda Kang.
«Oggi ho le medesime impressioni. La situazione è grave. La presidente Kang si è dimostrata inadeguata e incapace di governare. Non ha saputo dare una direzione al paese: dipendeva in toto da questa sciamana. A mio parere – rileva il vescovo – la richiesta di dimissioni è, a questo punto, del tutto condivisibile, per il bene della nazione».
Da questa dolorosa vicenda, Kang trae una lezione per la Corea del Sud: «Ho avuto occasione di scriverne di recente: il sistema democratico coreano oggi non sembra molto distante dall’antico sistema dinastico, in vigore fino alla fine del XIX secolo. Ne eredita alcuni difetti strutturali».
«Nel sistema monarchico di allora – nota il leader cattolico – il potere politico era esercitato e completamente controllato dal re. Questo approccio esiste tuttora: mi sembra si riscontri una certa continuità nella mentalità del presente. Nell’attuale sistema democratico di repubblica presidenzialista, si lasciano ampi poteri al presidente incarnando, in chiave moderna, la stessa tendenza dinastica del passato».
Il vescovo rintraccia nella Corea degli ultimi decenni tendenze autoritaristiche: «Ma la crisi odierna – afferma – è un’opportunità per indurre una riflessione e cambiare il quadro istituzionale. E’ tempo di mettere in pratica il principio di sussidiarietà, conferendo maggiori poteri e autonomia agli enti locali, a partire dalle persone, dai cittadini, dai comuni. E’ tempo di riformare il sistema democratico coreano, nel senso di una maggiore partecipazione reale dei cittadini alle decisioni».