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Migranti, Francesco: può un Paese accogliere da solo?

Vatican Insider - pubblicato il 04/11/16

«Può un paese affrontare da solo le difficoltà che provengono dalla migrazione forzata?». Se lo chiede il Papa nel videomessaggio per le intenzioni di preghiera del mese di novembre, curato dall’Apostolato della preghiera. 

Nel filmato, pubblicato via internet e diffuso in otto lingue, Bergoglio afferma in spagnolo: «Dobbiamo passare dalla indifferenza e dalla paura all’accettazione dell’altro. Perché quell’altro potresti essere tu. O io…». Intanto le immagini di uomini e donne di diverse nazionalità si alternano a quelle del Pontefice che abbraccia i rifugiati incontrati durante i suoi viaggi a Lesbo o Lampedusa.  

Il Papa chiede di unirsi alla sua petizione: «Che i Paesi che accolgono un gran numero di rifugiati e sfollati siano appoggiati nei loro sforzi di solidarietà». 

Il tema dell’accoglienza è stato ampiamente affrontato da papa Bergoglio martedì scorso, nella conferenza stampa sull’aereo che lo riportava da Malmo a Roma, in relazione alle difficoltà della Svezia, Paese tradizionalmente accogliente, e ora in affanno nel riuscire a integrare sia migranti che rifugiati. Il Vaticano inoltre non nasconde la propria preoccupazione per la mancanza di strategie comuni dell’Unione europea.  

Intanto si registrano le prime reazioni all’ennesima strage di migranti, annegati ieri nel Mediterrano. «L’ennesima strage di migranti nel Mediterraneo, con 239 morti solo ieri, è la conferma che i governi internazionali devono fare qualcosa di diverso. C’è un’emergenza, sì, ma è quella del traffico senza scrupoli degli esseri umani. È un mostro che si trascina contro lo sviluppo dei sogni degli individui che migrano per un futuro migliore, perché si trovano costretti a farlo da condizioni sociali, politiche, economiche, ambientali». Lo ha dichiarato suor Neusa de Fatima Mariano, superiora generale delle Suore Missionarie scalabriniane, congregazione che, nel mondo, si occupa principalmente di assistenza ai migranti. «I percorsi delle istituzioni, a livello internazionale, – sottolinea suor Neusa – non sono ancora efficaci. Veder morire 239 persone, tutte insieme, vuol dire che questa lotta contro i trafficanti non è stata vinta. E, ripeto, bisogna lottare contro i trafficanti, non contro i migranti, come invece qualcuno ci fa credere. Sbaglia chi confonde». 

Inoltre il direttore di Migrantes, monsignor Giancarlo Perego, ha dichiarato a Radio Vaticana: «Di fronte a queste nuove morti nel Mediterraneo, che fanno salire a oltre 4 mila i morti nel 2016, un numero mai raggiunto negli ultimi anni, cresce la responsabilità dell’Europa nel non disattendere ancora l’impegno di costruire vie legali di ingresso, corridoi umanitari, tra le persone che sono in fuga. Questa indifferenza dell’Europa è ancora più grave perché in continuazione si rimanda quel piano Marshall per l’Africa che non sia semplicemente un trattenere i migranti nei Paesi di origine ma sia veramente un impegno serio nella cooperazione allo sviluppo. Quindi sono morti che richiamano non solo l’impegno per vie legali e i corridoi umanitari ma l’impegno per una cooperazione che ancora manca». 

«L’Europa è incapace di uscire dalla logica di chiusura verso la quale alcuni Stati stanno andando e non invece aprirsi a una logica di impegno per lo sviluppo nei Paesi di origine delle persone migranti – continua Perego – Quindi la mancanza del ricollocamento dei 160 mila è un segno molto chiaro di questa chiusura e i rimandi continui di un impegno per la cooperazione è una situazione che effettivamente dimostra come l’Europa è incapace di leggere anche il futuro delle migrazioni che necessariamente interesseranno ancora una volta l’Europa». 

Per Perego, «se ne può uscire se effettivamente si esce da questa logica di chiusura e si ottimizzano al meglio le risorse che l’Europa ha a disposizione nelle due direzioni. In primo luogo superando la volontarietà dell’accoglienza e quindi questo ricollocamento dei 160 mila in tutti i 28 Paesi europei. In secondo luogo facendo in modo che le risorse non siano semplicemente per l’accoglienza ma vadano per percorsi di integrazione».  

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