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“Sulla strada di Emmaus con il Risorto”

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Vatican Insider - pubblicato il 03/11/16
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Pubblichiamo il commento di Pietro Groccia al testo di Giuseppe Satriano, Sulla strada di Emmaus con il Risorto. L’Eucaristia al centro della vita e delle relazioni, Lettera pastorale per l’anno 2016/2017.  

Scrive Satriano: “Il nostro mondo vive il pericolo della frammentazione come una fragilità che mina l’integrità del soggetto” (p.14). Tale frammentazione – anche in ambienti che si dicono cristiani – determina una forma asfittica di confusione che porta, non di rado, gli stessi cristiani, a non assumere appieno la valenza salvifica del mistero dell’Eucaristia. Ne consegue “una comprensione assai riduttiva del Mistero eucaristico” .  

Satriano sembra rispondere a questa provocazione, in una maniera direi insolita, con una domanda. Domanda che non esita a tradursi subito in risposta! Si chiede, infatti, da dove partire, come da sorgente, per recuperare il primato di Dio nel contesto di una chiesa locale passando “da una pastorale catechetica ad una evangelizzante” (p.11). E la risposta, che lo stesso Presule ci offre, con la semplicità di una teologia feriale ma di lapidaria pertinenza pastorale ruota attorno all’icona di Emmaus (cf. Lc 24,13-15), dove la “fractio panis” è declinata come “realtà ricca di senso per approfondire la nostra vita ecclesiale e acquisire uno stile con cui plasmare l’esistenza personale e quella delle nostre comunità” (p. 7). Proprio da Emmaus nasce la consapevolezza che ogni Eucaristia porta in sé anche un afflato evangelizzatore, in senso rigorosamente missionario!  

Non a caso la cifra ermeneutica che fa da leit motiv all’intero documento è la pericope di Lc 24, 28-32, a tutti nota come il racconto di Emmaus! Difatti, sulle note di Emmaus, cronaca di un fatto passato, ma che illustra un cammino di fede e ne descrive le tappe e i contenuti, sempre attuali, il presule rossanese attraverso una trilogia pastorale di – balthasariana memoria – ha inteso sintonizzare i passi della sua chiesa.  

La narrazione dell’apparizione ai due di Emmaus è uno dei più vibranti racconti di Pasqua (Lc 24,13- 35). In esso è custodito il DNA della fede cristiana, nel senso che l’episodio in filigrana presenta l’identità e la struttura della fede sia sotto la dimensione personale che sotto quella comunitaria.  

Da Emmaus, secondo Satriano scaturisce “un invito a rendere presente, nella vita, l’amore di Cristo per noi; a rivivere, nella carne, la capacità di spezzare, donare sé stessi per gli altri, facendo diventare la vita un dono” (p. 9).  

Corredata da una efficace introduzione e articolata in 3 cap., la Lettera pastorale di monsignor Giuseppe Satriano “Sulla strada di Emmaus con il Risorto. L’eucaristia al centro della vita e delle relazioni” si fa subito ammirare per la chiarezza del pensiero, nonché per l’organica impostazione, mai sconnessa dalla ricchezza sul piano della spiritualità. 

Nel primo capitolo “Sulla strada di Emmanus”, a sfondo sistematico, emerge la dimensione pedagogica dell’eucaristica che, secondo Satriano, inaugura un’etica nuova, in cui la fractio panis apre la possibilità di trasformare la logica del desiderio, paralizzata dalla libertà egoistica dell’uomo in condivisione e compassione, per rinnovare nell’oggi della storia “quanto accaduto nell’ultima cena” (p. 9). Il richiamo alla cena pasquale, da parte di Satriano, non è affatto occasionale, perché nel racconto biblico appare centrale la simbologia del banchetto, che nella vicenda storica di Gesù diventa segno di uno stile diverso di vivere e di dare forma alla condizione umana . È significativo, a riguardo, il rimando del Presule ai discorsi di addio di Giovanni, dove non si riporta l’isti¬tuzione dell’augusto mistero, bensì il gesto della “lavanda dei piedi” (cfr Gv 13), come se esso costituisse in concreto il senso vero e profondo dell’Eucaristia. Satriano qui sembra dirci, riecheggiando il Crisostomo, che non è bello nutrirsi del corpo di Cristo alla tavola eucaristica e lasciare morire i poveri di fame alla porta delle chiese. Da tale sacramento dovrebbe sbocciare dunque il miracolo del “servizio”. 

Nel secondo capitolo, a taglio più esistenziale e dall’emblematico titolo “l’Eucaristia al centro della vita e delle relazioni”, a primo acchito colpisce l’empatica correlazione tra il frammentarsi di Gesù che facendosi condivisione va a ricomporre il mosaico infranto delle relazioni umane. Infatti l’esegesi del sottotitolo “Dalla frammentazione all’unità” è un programma di stampo autenticamente eucaristico costruito sulla “logica dell’amore, a cui Gesù ci educa con la sua vita” (p.13). Su questa scia l’Eucarestia, diviene un processo salvifico che s’ori¬gina nel cuore di Dio per impiantarsi sulla terra, risucchiando nel vortice dell’amore oblativo e sacrificale di Gesù “ogni uomo in una recuperata relazione con Dio e con gli altri” (p. 15). Senza l’afflato eucaristico, a nulla servirebbero gli strumenti esteriori della comunione. Diventerebbero – secondo Satriano – apparati senz’anima, maschere di comunione più che sue vie di espressione e di crescita . Dunque, ogni programma di comunione antropologica ha assoluto bisogno di una centratura teologica. E siamo alla sfida che Satriano ci lancia! Sfida che si fa provocazione reale a distaccarsi da sé per “lasciarsi abitare da Cristo per abitare la vita delle nostre realtà. […] Creando spazi ricchi di comunione e di condivisione tra le persone. […] Mediante atteggiamenti quali: ascoltare, lasciare spazio, accogliere accompagnare e fare alleanza” (p. 16), come suggerito dal recente Convegno di Firenze, per “realizzare un nuovo umanesimo cristiano capace di testimoniare il volto del Dio misericordioso rivelatoci da Gesù” (p.15). Questi cinque verbi di movimento, facendo emergere il carattere dinamico dell’Eucaristia ci esortano a costruire “relazioni significative”, valorizzate dalla fedeltà a Cristo e a se stessi, per disattivare così la nevrosi dei ritmi corti di un presente privo di radici, istantaneamente logorato dalla logica spontanea del bisogno. Dunque, il realismo eucaristico, per Satriano è dinamico e non statico e segna più che il passaggio, la riconciliazione tra un’ontologia della sostanza ed un’ontologia della relazione o dinamica, la cui forma più alta non è che l’atto dialogico, dove la libertà si fa verità “attestandosi come spazio esistenziale […] andando incontro all’altro, creando legami e alleanze” (p. 29). In questa ottica, la prescrizione “Fate questo in memoria di me” non è un ordine estrinseco o quasi un optional, non è una mera rubrica liturgica, ma l’invito ad entrare nella comprensione della logica nuova, inaugurata da Gesù, che “conduce ad un vero e proprio cambio di prospettiva” (p.25). Far memoria nel linguaggio biblico significa rivivere la genesi della propria nascita e della propria costituzione per essere e ridiventare di continuo ciò che si è diventati una volta per sempre. Ecco perché il pensare eucaristico che scorre in queste pagine non è un esperimento provvisorio del Figlio, è uno stile definitivo di Dio; a maggior ragione deve essere lo stile della chiesa. Dunque, possiamo dire con De Lubac «l’Eucaristia fa la Chiesa e la Chiesa fa l’Eucaristia». 

Nel terzo capitolo, a carattere più pastorale, “La fractio panis come stile di vita: una sfida pastorale”, il Presule, sintonizzandosi sugli orientamenti di Firenze e facendo sue le indicazioni del Papa, propone alla comunità diocesana di incarnare nel vissuto “gli stessi sentimenti che furono di Gesù. Essi sono: umiltà, disinteresse e beatitudine” (p.27).  

L’Eucaristia, dunque, viene proposta come “luogo teologico” o “spazio generativo” come – la definisce Satriano – in cui situarci per interpretare, alla luce dello Spirito, l’oggi della storia dove “i legami, le relazioni, i rapporti sono sempre più superficiali, poveri di consistenza, e di radicamento in una comunione profonda e significativa” (p. 29).  

Sembra infatti polverizzato il senso dell’Assoluto. E si sono aperte le porte ad una religiosità “fai-da-te”. […] Che conferma una disaffezione alla vita della parrocchia, soprattutto nei grossi centri, dove è più facile registrare un vuoto di identità credente” (p. 30). E lì dove vi è un vuoto, nascono nuovi surrogati . Infatti, sono subentrati i nuovi idoli, cioè quegli aspetti dell’esistenza che sembrano meritare il privilegio di costituirsi quali punti fermi della vita: il denaro, il successo, il divertimento eccetera. Ne risulta un panorama disorganizzato dal capriccio dei singoli, e quindi privo di senso oggettivo e fonte continua di angoscia. In realtà, “è in aumento la solitudine, e con essa le malattie depressive, mentali” (p. 29). 

“Vivere la fractio panis, assumere come Chiesa uno stile eucaristico – scrive Satriano – significa intraprendere “un percorso di conversione” (p.31) che ci aiuta a superare visioni riduzionistiche, ripartendo dal grande motore della vita cristiana che è Cristo attraverso il suo prolungamento eucaristico (cfr. p. 4). Nutrirsi di Cristo è l’unica via che ci abilita ad essere lievito fecondo per innervare di contenuti evangelici lo stile della società e per “per-formare” la comunità ecclesiale nell’ottica del servizio, al fine di convertire la città ad accogliere e saper coniugare nella vira “i tre verbi eucaristici prendere, ringraziare e condividere” (p. 31). Ed è nell’esercizio di questi tre verbi che si apprezzano i benefici del dono eucaristico per la vita quotidiana: la condivisione si consuma per le strade del mondo, per le vie della città degli uomini: con l’ite mis¬sa est, l’eucarestia viene presa e mandata fuori dal tempio, perché cambi la sto¬ria degli uomini, diventando rendimento di grazia e fonte di misericordia oltre ogni offesa o peccato, coraggio di condivisione e di unificazione/comunione oltre ogni rottura e aggressività , nonché strumento privilegiato per educare alla vita buona del vangelo.  

Satriano, dunque, con grande acume pastorale, ci addita la spiritualità eucaristica, come vero antidoto all’individualismo e all’egoismo che spesso caratterizzano la vita quotidiana. L’Eucaristia, dunque, è l’unica via educativa per rispondere ai segni dei tempi della cultura contemporanea e la sola in grado, di darci la giusta “spinta propulsiva […] per restituire libertà e significato alla vita dell’uomo e del mondo” (p. 43-44).  

“Vivere l’Eucaristia, incontrare l’amore di Dio per noi” (p. 43), secondo Satriano è l’imperativo del nostro tempo, perché l’identità non diventi intolleranza e l’accoglienza non si tramuti in insignificanza.  

In questo “dinamismo meraviglioso” (p.43) il racconto di Emmaus è una pedagogia straordinariamente efficace che identifica il traguardo, disegna la strada e delinea la metodologia per arrivarci. Dunque, concludendo Satriano sembra dirci, facendo sue le parole di A. Paoli che «Se studiassimo a fondo l’essenza dell’Eucarestia, come prototipo dell’ideale evangelico, e la donazione di Cristo come modello dell’amore cristiano, scopriremmo la legge profonda della nostra vita» . Queste pagine rappresentano certamente un aiuto, per il percorso della nostra chiesa nella sua storica marcia verso Dio! 

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