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“La comprensione della Parola è frutto di un cammino, nella grazia e nella Chiesa”

Vatican Insider - pubblicato il 01/11/16

Talora si può dimenticare che all’epoca della stesura del Nuovo Testamento tante cose potevano non risultare così chiare come oggi. In precedenti interventi (si veda per esempio qui ) ho osservato che sembra di rilevare più di un’incertezza per esempio di Giovanni circa l’eucarestia. Da un lato forse si avverte, per esempio, il bisogno di guardare all’eucarestia con amore, rispetto, dall’altro la vita e le parole di Gesù sembrano tutto un donarsi senza riserve né purismi, atteggiamento confermato anche nei molti episodi che più da vicino possono riguardare lo stesso discreto offrire proprio di Gesù l’eucarestia (per esempio cfr Gv 6, 28-40). 

Un altro possibile esempio di incertezza emerge forse in Gv 21, 20-23: «Pietro allora, voltatosi, vide che li seguiva quel discepolo che Gesù amava, quello che nella cena si era trovato al suo fianco e gli aveva domandato: “Signore, chi è che ti tradisce?”. Pietro dunque, vedutolo, disse a Gesù: “Signore, e lui?”. Gesù gli rispose: “Se voglio che egli rimanga finché io venga, che importa a te? Tu seguimi”». Si diffuse perciò tra i fratelli la voce che quel discepolo non sarebbe morto. Gesù però non gli aveva detto che non sarebbe morto, ma: “Se voglio che rimanga finché io venga, che importa a te?”. Ci si può forse chiedere se dietro questa incertezza non vi siano anche domande su un’eventuale scoperta, per esempio, della sparizione dei resti terreni di Maria. 

Una lettura, per grazia, sempre più attenta dei vangeli può dunque qua e là lasciar trasparire qualche naturale incertezza che, se tale, va colta con attenzione. Anche nelle sue varie sfumature. Dalle quali a me sembra emerga sempre questo amore senza condizioni di Gesù, in un mistero così grande che più o meno consapevolmente si avverte di non poter dominare.  

Gesù, per porre un altro esempio, prega perché tutti siano una cosa sola (cfr Gv 17, 20-21). Già poter intuire, per grazia, la potenza unificante della Parola, dell’eucaristia, può aiutarci ad accoglierle sempre più con ogni umiltà, attenzione, in spirito di continua conversione integrale, spirituale e umana. 

Ecco dunque altri possibili elementi da tenere in conto nel leggere i vangeli. Senza che ciò assolutamente tolga nulla alla virtuale pienezza di rivelazione donata in Gesù alla Chiesa. Anzi proprio questa, in alcune cose che non toccano i riferimenti essenzialissimi, possibile sana incertezza degli evangelisti è essa stessa, almeno talora, mi pare, un possibile dono e segno dello Spirito. Per esempio un freno a non lasciar trasparire dal vangelo un proprio pensiero ma la vita di Gesù anche nei punti che a loro potevano risultare di più incerta, appunto, lettura. E non sarebbe pure questa per noi una grande scuola anche oggi? 

Nei vangeli emerge l’empatia, la comprensione, di Gesù verso il graduale cammino dell’uomo. E anche le vie attraverso le quali Gesù può condurre le persone a scoprire sempre più quanto è bello il suo amore, superando per esempio i meccanicismi della legge. La vedova inerme (= il credente) prega il giudice indifferente alle sue sofferenze (= come il credente può vedere Dio) e proprio insistendo nella preghiera scopre il cuore di Dio (cfr Lc 18, 1-8).  

La preghiera del povero, poi, penetra le nubi (cfr Sir 35, 17-18), il cuore del Padre, non, sotto vari aspetti, perché tanto bravo nell’umiltà ma semplicemente perché amato a prescindere, in quanto figlio e tanto più, in un certo senso, in quanto figlio bisognoso. Lo stesso fariseo della parabola (cfr Lc 18, 9-14, il fariseo e il pubblicano nel tempio) è amato con tenerezza anche proprio nella debolezza della sua ignoranza che è la sua in parte formale, fasulla, bravura nel capire, fissare, la legge con la propria testa e nell’osservarla con le proprie forze. Lo si può intuire dal prosieguo del racconto lucano nel quale si narra di un uomo ricco che, chiamato (“Gesù guardatolo dentro lo amò e gli disse”, Mc 10, 21) ad una più approfondita sequela da Cristo, si intristisce perché non vuole, non è ancora pronto, a rinunciare ai suoi beni (cfr Lc 18, 18-30). Ma poi lo si ritrova, si può intuire, povero e cieco a mendicare ai bordi della strada e a gridare aiuto a Gesù che passa (cfr Lc 18, 35-43). 

Proprio questa possibile lettura dei brani sopra citati può mostrare perché san Paolo suggerisce: «Non fate nulla per spirito di rivalità o per vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso, senza cercare il proprio interesse, ma anche quello degli altri» (Fil 2, 3-4). Infatti quel ricco inconsapevolmente pieno di una legge rispettata a lui pare con le proprie forze, diventerà, era già in germe, un fiducioso povero, sempre più profondamente bisognoso della luce, dell’amore, di Dio. 

Allo stesso modo Gesù comprende che l’uomo può vedere Dio come un giudice, un padrone, severo che ad un certo punto si stanca e condanna l’uomo secondo una legge senza ulteriore misericordia, tagliando l’albero della sua vita. Ma proprio, nella sua storia, coltivando la sequela, quella persona può poi scoprire che era lei che voleva tagliare l’infruttuoso albero della fede mentre Gesù le proponeva di pazientare ancora, in un’attesa ora nella ricerca della grazia (cfr Lc 13, 6-9).  

Qui si può rilevare poi che Gesù mostra di sapere bene che l’uomo può soggiacere all’immagine di un Dio, di una legge, senza cuore a causa dell’educazione ricevuta da qualche guida. Infatti nel brano successivo si narra di una donna da 18 anni tenuta curva da uno spirito. Gesù senza aspettare una sua richiesta, che l’inferma si sentiva obbligata a non rivolgergli in giorno di sabato, la libera, dice lui stesso, dalla malattia. Ma il capo della sinagoga condanna tutto ciò mostrando di essere lui un canale di quello spirito di malessere (cfr Lc 13, 10-17). 

Nei vangeli emergono moltissimi spunti su come Gesù matura nel cuore, nella fede, l’accoglienza della Parola. Ai sadducei che non credono nella risurrezione dei morti perché non se ne parla in modo letterale nella Thorà (i primi cinque libri dell’Antico Testamento) Cristo proprio citando quelle Scritture osserva che Dio rivela a Mosè di essere il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe, dunque il Dio dei vivi (cfr Lc 20, 27-38).  

E subito dopo Gesù aggiunge una domanda: «Come mai dicono che il Cristo è figlio di Davide, se Davide stesso nel libro dei Salmi dice: “Ha detto il Signore al mio Signore: siedi alla mia destra, finché io ponga i tuoi nemici come sgabello ai tuoi piedi?”. Davide dunque lo chiama Signore; perciò come può essere suo figlio?» (Lc 20, 41-44). Dunque leggendo, per grazia, con sempre maggiore, vissuta, attenzione la Parola vi si possono scoprire significati rivoluzionari rispetto ad alcuni aspetti della tradizione fino ad allora tramandata. Infatti, come si vede, nel brano anticotestamentario che Gesù cita già si parla del Figlio di Dio come Signore, come Dio. Anche se nessuno se era reso conto perché si dava per scontata la visione di un Dio solo, non comunionale. Possiamo qui anzi forse intuire che Gesù nel cuore dell’uomo ricco sopra citato leggeva tante cose belle, anche se ancora germinali. Un desiderio al fondo sincero di vita eterna, un vedere Gesù buono di una bontà in qualche modo divina: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio uno» (Mc 10, 18). 

Nota  

È dunque un cammino spirituale e umano, del cuore, nella grazia, nella Chiesa, nella storia, la viva, sempre più profonda, comprensione della Parola, della rivelazione. Tendenzialmente dunque un cammino: non spiritualista, con le distrazioni di questo orientamento rispetto all’umano; non razionalista, con le sue logiche squadrate, schematiche, che svuotano e appiattiscono; non legalista, con i suoi formalismi senza cuore. «In questo potete riconoscere lo Spirito di Dio: ogni spirito che riconosce Gesù Cristo venuto nella carne, è da Dio» (1 Gv 4, 2). 

Lo Spirito vi condurrà alla verità tutta intera ricordandovi quello che vi ho detto (cfr Gv 16, 13; Gv 14, 26).  

«Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa» (1 Gv 3, 20). 

In questi giorni “ecumenici” si è spesso sentito dire che a salvarci è la grazia e che senza Dio non possiamo fare nulla. Ma insieme possiamo osservare che Dio, la sua grazia, viene anche con l’aiuto di tutti. Per esempio con l’aiuto di tanti cristiani i quali forse con semplicità andrebbero talora al nocciolo di tante questioni e anche di tante controversie. O, ascoltati, anche nelle loro umane perplessità e domande, nei loro stessi bisogni, potrebbero aiutare a trovare più facilmente tante risposte essenziali. Aprendo così forse non di rado con una certa naturalezza vie rinnovate, anche potendo lasciar emergere i punti d’incontro ecumenici. Le guide cattoliche poi potrebbero forse, talora, in qualche caso, porre una più profonda attenzione a Maria che ci guida e ci aiuta nella storia, ai santi, ai profeti, ad ogni uomo. Potrebbe talora risultare più difficile affrettare la sempre nuova venuta di Cristo senza la grazia di questa sete. Anche qui il popolo può talora, con semplicità, rivelarsi più pronto a riconoscere, accogliere, forse talora anche perché, a suo modo, più vicino. Può dunque accadere che Cristo, una più profonda intuizione, per grazia, del suo cuore divino e umano, chiave di ogni cosa e dunque il possibile scioglimento di molti nodi sia già venuto ma non tutte le guide siano pronte a riconoscerlo fino in fondo. Mentre la gente intuisce con semplicità e immediatezza quello che di ciò è, a misura, vitale per lei recepire. 

Leggi il blog di don Centofanti  

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