Un libro ci invita all’ascolto silenzioso degli ultimi per vincere l’ossessione del controllo“La strada si fa maestra. Imparare dai poveri la lingua della misericordia” (Àncora editrice) di Roberto Cherubini è un libro che fa parlare i poveri e che ci parla di loro, ma che soprattutto – capitolo dopo capitolo – accompagna il lettore nella scoperta di un nuovo linguaggio della vita, fatto di amicizia e misericordia, per provare a superare la barriera di incomunicabilità tra il mondo dei ricchi e quello dei poveri. Le nostre città sono abitate da mendicanti, barboni, prostitute ma noi non conosciamo nessuno di loro, e spesso neppure ci accorgiamo della loro presenza:
«Questo è il primo dato con cui fare i conti, agghiacciante per alcuni versi, della vita dei più poveri, la gente della strada: fra essi e il mondo di ≪quelli dalla vita normale≫ corre un muro impenetrabile, o piuttosto un abisso che li sottrae alla vista e li condanna a un isolamento totale. Le esistenze appartenenti ai due diversi mondi si muovono negli stessi scenari urbani, ma su percorsi paralleli, e le loro strade non si incontrano, o piuttosto si incrociano, assai raramente, con fastidio e frettolosità».
LAZZARO È RICORDATO PER NOME, IL RICCO RESTA ANONIMO
Eppure come scrive l’autore nell’introduzione riprendendo le parole di Gregorio Magno, il passo evangelico ci ricorda come il povero Lazzaro è ricordato per nome, mentre il ricco – figura rappresentativa di tutti noi – resta anonimo.
«Questa realtà assomiglia a quella che descrive il Vangelo di Luca quando racconta dell’esistenza di un povero della strada che mendica davanti alla porta di un ricco, una situazione cosi comune al giorno d’oggi. Quest’ultimo neanche lo vede quando entra ed esce di casa, ormai abituato alla presenza di quel fagotto di stracci. La morte, che li coglie entrambi, svela la realtà drammatica di quella distanza enorme che li ha separati in vita, pur nell’estrema prossimità fisica: ≪Tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, ne di lì possono giungere fino a noi≫ (Lc 16,26). Essa ha reso incolmabile quell’abisso che già in vita era stato scavato dalla noncuranza del ricco. Non a caso, nota acutamente Gregorio Magno, mentre il povero Lazzaro è ricordato per nome, il benestante banchettatore della pagina evangelica rimane anonimo, perché ci rappresenta un po’ tutti».
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L’OSSESSIONE DEL CONTROLLO
Oggi più che mai l’uomo comune ha la forte necessità di avere sempre il controllo su se stesso, di sentirsi padrone della realtà in cui vive per potersi percepire al sicuro. Questo comporta la necessità di monitorare continuamente pensieri, sentimenti, reazioni e giudizi inibendo la spontaneità e la disponibilità a mettere in conto l’imprevisto, il che vuol dire impedirsi di meravigliarsi della vita. Se invece si ha il coraggio di ascoltare i poveri, gli ultimi, essi generano un movimento che destabilizza i nostri equilibri fino a far sentire anche noi “nudi” e inadeguati. Se non siamo in grado di tollerare queste emozioni e di rimanere in silenzio ad ascoltare, reagiamo cercando di riempire il vuoto che si è creato dentro di noi parlando, “insegnando”, mettendoci in mostra e in qualche modo ponendoci su un piano di superiorità che nasconde la nostra vulnerabilità.
L’ASCOLTO SILENZIOSO PER SCOPRIRE LA RICCHEZZA DEI POVERI
Il povero fa nascere sentimenti di disagio e di timore in chi lo incontra e gli si avvicina. Spesso di fronte a un “disgraziato” accasciato sul marciapiede ci sentiamo inopportuni, inadeguati e destabilizzati dalla sua condizione. Eppure spiega l’autore…
«(…) i poveri chiedono innanzitutto di essere ascoltati. Essi attualizzano nel mondo di oggi la domanda escatologica di Gesù, che proprio nei ≪piccoli≫ si immedesima: ≪Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me≫ (Ap 3,20). Se si supera l’imbarazzo iniziale è difficile che una conversazione improvvisata per la strada sia banale e superficiale, come tanto nostro parlare per riempire i vuoti, ma assume sempre un carattere originale e prende una sua strada ben precisa».
LA STRADA È IL VERO LUOGO DI GESÙ
Anche a causa dell’imbarazzo che l’incontro con il diverso, con gli ultimi ci suscita la strada è divenuta sempre più un luogo abbandonato, vuoto, un non-luogo – scrive nella conclusione l’autore – deserto dell’incontro con l’altro e “pericoloso”, mentre la saggezza dei nonni ci insegna che “la strada è la casa di tutti”, e la Scrittura ci racconta come Gesù scelga proprio la strada, per incontrare, guarire, insegnare.
« (…) è sulla strada verso Emmaus che Gesù si fa compagno dei due discepoli delusi e intristiti e camminando con essi apre gli occhi di tutti i vinti dalla forza del male alla fede nella resurrezione; è sulla strada che Gesù incontra Zaccheo e si autoinvita a casa sua, portandovi la salvezza della conversione alla generosità; sempre sulla strada Gesù guarisce, insegna, invita a seguirlo, libera dai demoni, incontra e dialoga con tutti, farisei e dottori della Legge, stranieri, sapienti e ignoranti. Raramente Gesù agisce al chiuso. Egli sceglie di nascere all’aperto e di morire all’aperto. Possiamo ben dire che quella di Gesù è una cultura della strada e il suo impegno di umanizzazione e salvezza del mondo trova in essa il contesto principale. Bisogna tornare sulla strada per poter incontrare Gesù, e non è un caso che il primo nome che ebbe la nuova fede vissuta dagli apostoli fu quello di ≪via≫ (At 9,2)».
LA STRADA: VIA PER LA MISERICORDIA
Roberto Cherubini, sacerdote che frequenta da decenni il mondo dei poveri della strada nel solco dello spirito di servizio agli ultimi della Comunità di Sant’Egidio, auspica il ritorno ad una strada umana, ad un incontro che ridoni dignità e amore alle vite degli ultimi, poveri di tutto ma ricchi dei segreti celati a noi sapienti e superbi.
“Per tutto ciò diviene sempre più necessario restituire alla strada l’umanità dell’incontro e il calore dell’amicizia, partendo proprio da coloro che vivono nelle condizioni che più duramente negano l’umanità, impediscono l’incontro, raffreddano ogni calore, spengono l’amicizia. In questo senso la strada ≪si fa maestra≫, perché insegna a cogliere il messaggio profondo di cui i poveri che in essa vivono sono depositari e ad amare la loro compagnia, a cogliere nelle pieghe nascoste e meno evidenti della loro vita i segreti che, come già dicevamo, Dio ha nascosto ai sapienti e ai dotti e ha rivelato ai piccoli (Lc 10,21)»”.
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