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Il “database” dei vescovi cinesi

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Vatican Insider - pubblicato il 28/10/16
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C’è la storia di Julius Jia Zhiguo, forse l’unico vescovo al mondo che ha scelto come suo episcopio un orfanotrofio. E c’è il racconto del vescovo Pietro Feng Ximao, la cui ordinazione episcopale fu celebrata per metà nella cattedrale, e per metà nella casa del Partito. C’è Paolo Xie Tingzhe, che a 85 anni si è messo a studiare il computer per annunciare il Vangelo col suo blog e stare in contatto coi sacerdoti, i religiosi e i fedeli della sua diocesi, estesa su un milione e 600mila chilometri quadrati. E c’è il ricordo di Giuseppe Meng Ziwen, morto nel 2006 a 103 anni, che fino alla fine celebrava tre messe ogni domenica e raccontava gli anni di prigionia e lavori forzati senza un filo di rancore: «Vivendo con gli altri detenuti, potei comprendere le loro sofferenze. E quando era possibile, annunciare loro la Parola di Dio».  

Sono già quasi trenta le figure dei vescovi cinesi, raccontate attraverso notizie di prima mano e dettagli spesso inediti, che si possono finalmente conoscere grazie al sito web www.vescovicinesi.net . Un’iniziativa spontanea e senza sponsor istituzionali, nata per merito di padre Antonio Sergianni, missionario del PIME, e inaugurata con l’intento di accompagnare e sostenere una «campagna di preghiere» per la Chiesa che è in Cina. Ma «è sempre difficile pregare per chi non si conosce: notizie precise e concrete sui vescovi cinesi» si legge sull’homepage «ci aiutano a vivere meglio la comunione con loro, e a dare loro fiducia».  

Nel racconto di notizie, incontri, frasi dei vescovi ed episodi non conosciuti delle loro vite e delle loro non ordinarie esperienze pastorali, Sergianni rovescia la sua passione per la cattolicità cinese, e anche una conoscenza diretta, maturata nei 23 anni trascorsi in missione a Taiwan e nei 12 vissuti a servizio di Propaganda Fide. Il risultato è un prezioso e sorprendente data-base sulla vita palpitante delle comunità cattoliche cinesi, raccontata attraverso la fede e le scaltrezze, le fragilità e la coraggiosa pazienza dei loro vescovi. Quelli di adesso, e molti di quelli che già hanno lasciato questo mondo, dopo aver servito la Chiesa in Cina nel tempo della persecuzione cruenta e poi della ripartenza, iniziata negli anni di leadership di Deng Xiaoping.  

Mentre cresce la sovreccitazione mediatica sugli attesi sviluppi del dialogo tra Cina popolare e Santa Sede, i vescovi cinesi rimangono spesso un’entità indefinita e silente, una presenza muta che pochi sembrano interessati ad ascoltare. Molti di loro vengono ancora fatti oggetto di fustigazioni mediatiche, maltrattati online come una congrega di pappamolle «infeudati» al potere cinese e pavidi nel difendere i «diritti della Chiesa».  

I dettagli delle storie dei singoli vescovi cinesi, raccontate su vescovicinesi.net, superano di slancio le polemiche artefatte e rappresentano un antidoto formidabile alle soffocanti griglie di lettura politiche impostesi nel mainstream mediatico riguardo alle vicende della cattolicità cinese (anche grazie a commentatori ora arruolati a tempo pieno nella campagna per incolpare la Santa Sede di essere pronta a sacrificare la fedeltà dei cattolici cinesi sull’altare di un «accordicchio» politico-diplomatico con Pechino).  

Visti da vicino, i vescovi cinesi – che nel 2011 erano nella quasi totalità (110 su 115) in piena e riconosciuta comunione gerarchica con il Vescovo di Roma – non appaiono affatto come una categoria «a rischio», da sottoporre di continuo all’esame di ortodossia per accertare la loro appartenenza alla Chiesa cattolica. La miniera di storie, episodi e dati reperibili in vescovicinesi.net restituisce l’immagine di uomini e di pastori spesso messi alle strette dalle forza delle cose. Ma che certo non meritano lezioni di dottrina da parte dei tracotanti, piccoli inquisitori da tastiera e mouse che infestano la blogosfera cattolica.  

La rassegna dei vescovi cinesi proposta da Sergianni rende omaggio ai «Patriarchi», quasi tutti scomparsi, che pur nei loro limiti e peccati hanno confessato la fede in Cristo e la fedeltà alla Chiesa nei tempi più duri della persecuzione. C’è la storia del francescano Bernardino Dong, il primo vescovo ordinato nel 1958 senza approvazione papale, e del suo confratello Odorico Liu, ordinato vescovo clandestino con il consenso di Roma: negli anni Novanta, dopo che anche Bernardino era stato riconosciuto nella piena comunione gerarchica con il Papa, aveva accolto nel suo episcopio il suo vecchio compagno Odorico, facendo arrabbiare il Partito, e dando un segno tangibile di unità tra le due «aree» della cattolicità cinese: «Furono i soli due vescovi della Cina, uno ufficiale l’altro clandestino, ambedue francescani, che condivisero l’abitazione nella stessa casa. Questo fatto ebbe un grande impatto sulle due comunità, e le autorità aumentarono i controlli su ambedue». Non manca il ritratto del gesuita Aloysius Jin Luxian, il vescovo di Shanghai scomparso nell’aprile 2013. E nemmeno quello di Mattia Duan Yinming, l’ultimo vescovo cinese consacrato prima dell’avvento di Mao, e poi riconosciuto anche dal governo comunista, che diceva di andare quasi di buon grado alle sessioni di indottrinamento del Partito, «perché erano le uniche ore in cui riuscivo a riposarmi».E poi c’è Antonio Li Duan, la «colonna» della Chiesa di Xian, che viene descritto dal sito come l’artefice dello «schema di fondo della Lettera di Benedetto XVI alla Chiesa di Cina del 2007». Anche Li Duan aveva accettato di essere eletto vescovo dapprima senza consenso pontificio, per poi chiedere la legittimazione. La sua scelta di assumere incarichi negli organismi «patriottici» filogovernativi veniva criticata da quelli che la consideravano un «compromesso» con un potere ostile alla Chiesa. Ma lavorando dall’interno di quegli organismi, Li Duan aiutava anche gli altri vescovi non «clandestini» a riaffermare, nelle condizioni date, la loro comunione con il Successore di Pietro. E faceva pregare la sua diocesi per il rapido consolidarsi del dialogo tra la Santa Sede e il governo cinese: «Ci sono delle difficoltà» diceva Li Duan «ma le due parti possono arrivare a un accordo. Non è questione di “doppia fedeltà” dei cattolici – a Beijing e al Papa – perché sono sfere diverse e questo, lì dove esistono rapporti diplomatici, non crea ostacoli di sorta. So che il papa Benedetto XVI ha molto a cuore la Chiesa cinese: il mio gran desiderio è di vederLo in Cina».  

I tratti sorprendenti e confortanti non connotano solo i grandi confessori della fede dei tempi passati. Anche le vicende e le parole dei vescovi giovani aiutano a cogliere la realtà del cattolicesimo cinese fuori dagli stereotipi dominanti. C’è Thaddeus Ma Daqin, il giovane vescovo di Shanghai, che non ha mai potuto esercitare liberamente il suo ministero episcopale, dal giorno stesso in cui è stato ordinato. Esaltato per anni come un martire dell’autoritarismo cinese dagli stessi che ora lo bollano come un traditore, da quando ha avuto parole positive per il suo predecessore Jin Luxian e la sua scelta di collaborare con l’Associazione patriottica. Il sito sui vescovi cinesi ripropone le parole che Ma Daqin ha dedicato sul suo blog a Madre Teresa, in occasione della sua canonizzazione, che sembrano anche un messaggio rivolto ai suoi connazionali cattolici, in questo frangente delicato: «Madre Teresa ha guardato il mondo per quello che era e ha sconfitto l’ossificazione della fede. La realtà è che abbiamo rinchiuso la nostra Chiesa con una barriera. All’interno della barriera non hanno più importanza l’amore reciproco, il perdono, l’accoglienza, la fiducia, la speranza. Ciò che è importante è solo la legge».  

Anche figure più controverse dell’episcopato cinese vengono descritte su www.vescovicinesi.net attraverso dati e notizie inediti, di solito oscurati dai toni irrisori e dal furore manicheo con cui vengono trattati sui media specializzati occidentali. È il caso del vescovo illegittimo Giuseppe Ma Yinglin, attuale capo del cosiddetto Collegio dei vescovi cinesi (organismo non riconosciuto dalla Santa Sede) e da anni titolare di alte cariche negli organismi «patriottici»: «Quasi tutti» si legge nel website «hanno parlato positivamente di lui come uomo e come sacerdote. L’aspetto negativo era che, per il suo carattere mite e debole, egli sarebbe stato arrendevole rispetto all’autorità civile». Per aiutare a cogliere la condizione vissuta da Ma Yinglin, viene riportata anche una dichiarazione da lui riproposta più volte, nella quale il vescovo illegittimo confessa di «aderire fermamente alla Chiesa una, santa, cattolica e apostolica, e alla sua fede pura e integra, in tutto ciò che occorre credere e praticare», e chiede «con fervore che il Santo Padre mi conceda la benedizione e la benevola approvazione della Santa Sede». A illuminare tutta la vicenda delicata e non univoca dei vescovi che hanno accettato ordinazioni episcopali illegittime, padre Sergianni riporta anche le battute di un suo vecchio dialogo con il grande vescovo Antonio Li Duan: «Quando gli feci notare la gravità delle concelebrazioni di vescovi in comunione con Roma con vescovi illegittimi, mi fissò in faccia e con grande serenità mi disse: “Sono fatti seri e gravi, in cui gioca la coscienza delle persone: non giudichiamo!”».  

Scorrendo i ritratti raccolti in vescovicinesi.net, ci si imbatte in episodi e dettagli che bastano da soli a far avvertire quali tesori di fede e di sovrannaturale carità continuano a benedire le vite di tanti cattolici cinesi. Come appare – un esempio tra tanti – nella vicenda di Giuseppe Li Liangui, vescovo di Xianxian riconosciuto sia dalla Santa Sede che dal governo. Gli apparati della sicurezza lo costrinsero nel novembre 2010 a partecipare all’ordinazione illegittima nella diocesi di Chengde. Ne rimase così mortificato da astenersi da ogni attività pastorale, fino a quando non ebbe segnali di comprensione da parte della Santa Sede. Durante un suo viaggio a Roma, mentre visitava la Basilica di San Pietro, gli venne offerta la possibilità di incontrare il Papa. «È il sogno della mia vita» rispose Li, «Ma… anche se adesso riesco a vederlo “in segreto”, più tardi lo scopriranno. E allora questi uomini (degli apparati cinesi, ndr) che mi accompagnano durante tutto il viaggio saranno radiati, come minimo perderanno il loro lavoro, e le loro famiglie saranno rovinate. Per il bene loro preferisco rinunciare a incontrare il Santo Padre».  

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