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Immigrazione, siamo davvero invasi?

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Vatican Insider - pubblicato il 26/10/16
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All’indomani degli indecorosi fatti di Goro, nella provincia della culturalissima e ospitale Ferrara, dove l’arrivo di una ventina tra donne (una incinta) e bambini, è stato salutato con sbarramenti e il definitivo allontanamento, festeggiato con salsicciate, vien da chiedersi se stiamo diventando sempre più razzisti e xenofobi.  Di certo, qualcosa tra noi “brava gente” sta profondamente cambiando e non bastano anni di slogan da parte di qualche partito a spiegare i motivi alla base di una simile trasformazione.

Alla fine del 2014, la nota agenzia britannica Ipsos Mori, ha pubblicato una puntuale ricerca demoscopica. L’indagine, dal terrorizzante titolo di “Index of Ignorance”, altro non era che uno studio sulle false percezioni in merito a varie tematiche sociologiche, tra le quali l’immigrazione e la presenza islamica, in 14 Paesi del cosiddetto “primo mondo”. L’Italia ha sbaragliato le altre 13 nazioni, staccando di vari punti gli Stati Uniti d’America. A pesare nel computo del punteggio che ha condotto il nostro Paese ai vertici di questa classifica ci sono soprattutto valutazioni sul fenomeno migratorio.

L’italiano medio, infatti, ritiene che il 30% della popolazione sia composta da immigrati (in realtà è tra l’8 e il 9%) e che il 20% dei residenti siano musulmani (sono tra il 2 e il 3%). In seguito alla pubblicazione dei dati, il direttore della ricerca, Bobby Duffy, si è così espresso: “Queste errate percezioni rappresentano  una questione cruciale all’interno del dibattito pubblico perché indirizzano le strategie politiche. Se potessimo disporre di una visione più chiara e aderente alla realtà delle dimensioni del fenomeno dell’immigrazione, le priorità pubbliche avrebbero un’agenda assai differente”.

Non solo l’Italia esce male da questa indagine. Nel complesso, il primo dato che salta agli occhi, è che gli immigrati, sono percepiti come una minaccia in tutte le nazioni interessate dall’inchiesta. Ancora più interessante, però, è notare che più piccola è la percentuale di immigrati presenti sul suolo nazionale, più grande è la sopravvalutazione del fenomeno. In Polonia, ad esempio, la percentuale di immigrati residenti nel Paese è minima, 0,4%, ma la gente pensa che sia ben 35 volte più grande, il 14%. In Ungheria, che ha il 2% di immigrati, si crede che siano 8 volte di più, il 16%.

Si potrebbero fare tanti altri esempi. Quello che però maggiormente interessa, qui, è capire perché. Come è possibile che di un fenomeno così delicato, che riguarda, peraltro, esseri umani in gran parte già provati da condizioni drammatiche nei Paesi da cui provengono, stremati e annientati – se non uccisi – da viaggi infernali talora lunghi di anni, si abbiano percezioni cosi falsate?

La narrazione del fenomeno migratorio in Italia – ma in Europa, come già detto, siamo in ottima compagnia – è trasversalmente fuorviante. Si citano numeri, si insiste su immagini, si utilizzano termini come “invasione”, “collasso”, si usano titoli a effetto, favorendo paure insite in ogni cittadino e diffondendo una percezione sviante del fenomeno. Se è vero che nel nostro Paese non si era mai visto un afflusso così massiccio di persone, corrisponde ad altrettanta verità che una nazione di circa 60 milioni di abitanti, tra le più industrializzate e ricche al mondo, con una tradizione di democrazia e rispetto dei diritti, non può permettersi di collassare per 150 mila disperati.

Sì, è vero, stiamo attraversando una lunga e complessa crisi economica e i tassi di disoccupazione hanno raggiunto vette preoccupanti. Ma realmente pensiamo di superare questa fase, chiudendo le porte a profughi in fuga da situazioni infernali e respingendo gli immigrati che, peraltro, come dimostrano ampiamente i dati ufficiali, finiscono per sostenere il nostro bilancio piuttosto che gravarlo (Bilancio costi/benefici per le casse statali 2015: +2,9 miliardi di euro, +3,1 miliardi includendo i contributi previdenziali. Dossier Statistico Immigrazione 2015, Centro Studi e Ricerche IDOS)?

Il bombardamento mediatico deviante su questo fenomeno, inoltre, ha come risultato immediato quello di diffondere una sensazione di accerchiamento e di occupazione del territorio che sfugge ai criteri di base della teoria della relatività. Come è facilmente verificabile leggendo anche la più innocua delle statistiche dell’ultima ONG che si occupi di migranti forzati, la stragrande maggioranza di questi, sono accolti da Paesi in via di sviluppo.

Fino al 2015 il primo Paese per ricezione di rifugiati, richiedenti asilo o sfollati, era il Pakistan che ne ospitava 1,7 milioni (ora è la Turchia con oltre 2 milioni). A seguire viene il Libano, un Paese grande come il Lazio con 4,5 milioni di abitanti. A questi, negli ultimi 5 anni, si sono aggiunti 1,2 milioni di profughi siriani. Seguono Iran (1 milione), Etiopia (800mila), Giordania, Kenya, Ciad, Uganda e Cina. Nella top 10, non c’è alcun Paese europeo. Chi scappa da conflitti, persecuzioni, disastri ambientali, in genere, sceglie Paesi limitrofi nella speranza di tornare a casa un giorno.

Parlare di invasione in Italia, quindi, a voler essere seri, è cosa da far sorridere. Parlarne in Europa, è addirittura imbarazzante: in tutto, su 500 milioni di abitanti circa, nella UE accogliamo circa 2 milioni tra rifugiati e richiedenti asilo, poco più di quelli che vengono accolti dalla sola Turchia o dal solo Pakistan. In percentuale stiamo parlando dello 0,50 della popolazione. Certo, non bisogna semplificare o minimizzare il problema. Né tantomeno di affermare che 150 mila persone non rappresentino una questione allarmante. Al contrario, servirebbe un dibattito sano, serio, approfondito, a partire dai dati reali, con un’analisi rigorosa, senza cedere a buonismi da una parte, né a isterie dall’altra. Per evitare un giorno di scoprire che a Goro, dove vivono circa 4000 abitanti, gli stranieri residenti sono meno di 50. 

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