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Il Papa dai Gesuiti: più fervore per essere vicini a chi soffre

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Vatican Insider - pubblicato il 24/10/16
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Il primo Papa gesuita della storia ha fatto visita alla congregazione generale riunita in queste settimane a Roma esortando la Compagnia di Gesù a «ravvivare il fervore nella missione di giovare alle persone nella loro vita e nella dottrina» e, senza dare indicazioni precise, a «fare un passo avanti» nella gioia, nel lasciarsi commuovere dal crocifisso, presente anche in «tanti nostri fratelli che soffrono» e nei «più piccoli», e nell’essere uomini di Chiesa, «non clericali, ma ecclesiali». 

La 36esima congregazione generale dei Gesuiti, iniziata il 3 ottobre, ha eletto, il 14 ottobre, il nuovo preposito generale, il venezuelano Arturo Sosa, che ha introdotto la visita, non annunciata pubblicamente, che Francesco ha compiuto questa mattina alla curia generalizia, a pochi passi dal Vaticano. Dopo i discorsi, ha raccontato sul blog della congregazione padre Antonio Spadaro, l’udienza «si è protratta per ore di incontro libero e spontaneo in un clima aperto e disteso, come forse non avveniva da molto tempo». Per l’ora di pranzo il Papa è rientrato in Vaticano. 

Jorge Mario Bergoglio, che ha partecipato alla 32esima (1974 – 1975) e alla 33esima (1983) congregazione generale della Compagnia di Gesù, ha esordito partendo da quanto i suoi predecessori hanno raccomandato ai gesuiti, a partire da quanto disse Paolo VI nel 1974: «Camminiamo insieme, liberi, obbedienti, uniti nell’amore di Cristo, per la maggior gloria di Dio», e quindi «camminare andando alle periferie dove gli altri non arrivano», ha chiosato il Papa, che ha citato in particolare il modo di sant’Ignazio di Loyola, che fondò l’Ordine nel 1540, di «vedere le cose nel loro divenire, nel loro farsi, eccetto il sostanziale». In tal modo, «tanto la povertà quanto l’obbedienza o il fatto di non essere obbligati a determinate cose come la preghiera in coro, non sono né esigenze né privilegi, ma aiuti fatti alla mobilità della Compagnia». Camminare, ancora, per Ignazio «non è un mero andare vagando», ma è «andare avanti, è fare qualcosa in favore degli altri», concetto riassunto dai primi gesuiti nel concetto di «giovamento». Un giovamento che «non è individualistico», ha puntualizzato il Papa, «è in ogni cosa» (e mira tanto alla salvezza e alla perfezione propria che altrui), «non è elitario» ed è «quello che maggiormente ci fa bene». Al proposito Francesco ha ricordato che sant’Alberto Hurtado era «un dardo acuto che si conficca nella carne addormentata della Chiesa», «contro quella tentazione che Paolo VI chiamava spiritus vertiginis e De Lubac, “mondanità spirituale”», tentazione che «ci distrae dall’essenziale: che è essere di giovamento, lasciare un’impronta, incidere nella storia, specialmente nella vita dei più piccoli».  

Il Papa ha citato al proposito Jeronimo Nadal, uno dei primi compagni di sant’Ignazio: «La Compagnia è fervore». E proprio per «ravvivare il fervore nella missione di giovare alle persone nella loro vita e nella dottrina», il Papa ha chiesto ai Gesuiti di fare tre «passi avanti», che «hanno a che fare con la gioia, con la Croce e con la Chiesa, nostra Madre».  

«È compito proprio della Compagnia – è il primo passo avanti indicato dal Papa – consolare il popolo fedele e aiutare con il discernimento affinché il nemico della natura umana non ci sottragga la gioia: la gioia di evangelizzare, la gioia della famiglia, la gioia della Chiesa, la gioia del creato… Che non ce la rubi né per scoraggiamento di fronte alla grandezza dei mali del mondo e ai malintesi tra coloro che si propongono di fare il bene, né che ce la rimpiazzi con le gioie fatue che sono sempre a portata di mano in qualsiasi negozio», ha detto il Papa, per il quale «una buona notizia non si può dare con il volto triste» perché la gioia decorativa né un «effetto speciale» da società dei consumi ma «indica che l’amore è attivo, operante, presente».  

Il secondo passo avanti è «lasciarci commuovere dal Signore posto in croce, da Lui in persona e da Lui presente in tanti nostri fratelli che soffrono – la grande maggioranza dell’umanità!». Il padre Pedro Arrupe, preposito dei gesuiti dal 1965 al 1983 «diceva che dove c’è un dolore, là c’è la Compagnia», ha ricordato Francesco, per il quale la misericordia, al centro del Giubileo che si conclude il 20 novembre, «non è una parola astratta ma uno stile di vita». Misericordia di Dio nei confronti degli uomini e misericordia che gli uomini devono far giungere «ai più poveri, ai peccatori, agli scartati e ai crocifissi del mondo attuale che soffrono l’ingiustizia e la violenza». Solo sperimentando questa «forza risanatrice», come persone e come comunità, «perderemo la paura di lasciarci commuovere dall’immensità della sofferenza dei nostri fratelli e ci lanceremo a camminare pazientemente con la nostra gente, imparando da essa il modo migliore di aiutarla e servirla». 

Infine, per il Papa è opportuno un passo avanti «con buono spirito»: san Pietro Favre, un altro compagno del fondatore dei Gesuiti che proprio Bergoglio ha canonizzato, «diceva che in molte cose coloro i quali volevano riformare la Chiesa», ossia i protestanti del Cinquecento, «avevano ragione, però Dio non voleva correggerla con i loro metodi». È proprio della Compagnia, ha ricordato il Papa gesuita, «fare le cose sentendo con la Chiesa. Fare questo senza perdere la pace e con gioia, considerati i peccati che vediamo sia in noi come persone sia nelle strutture che abbiamo creato, implica portare la Croce, sperimentare la povertà e le umiliazioni, ambito in cui Ignazio ci incoraggia a scegliere tra sopportarle pazientemente o desiderarle». In questo senso, «il servizio del buon animo e del discernimento ci fa essere uomini di Chiesa – non clericali, ma ecclesiali – uomini “per gli altri”, senza alcuna cosa propria che isoli ma mettendo in comunione e al servizio tutto ciò che abbiamo». Questa «spogliazione» fa sì che la Compagnia «abbia e possa sempre avere il volto, l’accento e il modo di essere di tutti i popoli, di ogni cultura, inserendosi in tutti, nello specifico del cuore di ogni popolo, per fare lì Chiesa con ognuno di essi, inculturando il Vangelo ed evangelizzando ogni cultura», ha detto il Papa, che ha concluso il discorso con una invocazione rivolta alla Madonna della Strada, la cui immagine, cara a sant’Ignazio, è presente nella Chiesa del Gesù.  

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