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Corti: la competitività è nemica del dialogo generazionale

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Vatican Insider - pubblicato il 24/10/16
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Un piatto con una decorazione in ceramica che raffigura un sacerdote in groppa a un somaro e una scritta in latino: “Asinus portans mysteria”. Renato Corti, vescovo emerito di Novara, eletto cardinale da Papa Francesco, conserva quel ricordo con commozione e grande rispetto: «Me lo regalarono i fedeli di Ghiffa, sul Lago Maggiore, durante una visita pastorale, da allora lo tengo stretto per ricordare a me stesso che non si è mai protagonisti, ma servitori». Adesso che sta per indossare la porpora cardinalizia e attende il sarto per l’abito, Renato Corti, classe 1936, non ha perso lo stile dell’umiltà come segno distintivo del suo apostolato che lo portò a essere a fianco del Cardinal Martini (undici anni) e poi, per oltre venti, pastore dell’estesa diocesi novarese. Dal Collegio degli Oblati di Rho, dove ha preso dimora dopo l’esperienza di Novara, il neocardinale Renato Corti sfoglia le pagine del suo diario (un’abitudine che coltiva da quando era giovanissimo) e che raccoglie i passi di una quotidianità vissuta nell’ascolto: oltre 15 mila pagine scritte da lui ogni sera, ovunque si trovasse, <perché aiutano a riflettere». Adesso che lo attendono nuovi impegni, Renato Corti non si sente affatto pensionato: «Anzi – dice – vivo con le antenne radio per cogliere l’imprevisto. I vecchi devono essere e rimanere esploratori, la ricerca non è finita. Ciò che non sappiamo è sempre di più di ciò che conosciamo».  

E’ questa necessità di apprendere ed esplorare attraverso l’ascolto, che spinge il cardinale a pensare alle sfide. Quella che tocca tutto il mondo cattolico e la Chiesa stessa, a cominciare dal rapporto sacerdoti-fedeli. «Anche oggi, ogni volta che io esco dalla sacrestia per celebrare messa sento che devo affrontare una sfida e mi chiedo: riuscirò a farmi sentire e capire sino in fondo alla chiesa, entrare in sintonia con tutti? E poi: a queste persone Dio che cosa vorrebbe dire? Ecco a tutti i preti ricorderei che in quel momento non si può barare o giocare, perché la gente comprende subito se la campana suona bene oppure è stonata. Ricordo che quando fui nominato vescovo il nunzio apostolico di Roma mi disse che se i preti sono bravi il vescovo può dormire sonni tranquilli». 

I giovani, altro nodo cruciale. «Esiste un conflitto generazionale che ormai dura da circa 25 anni, da quando è intervenuta una rivoluzione, quella digitale, che ha complicato il rapporto tra generazioni. Ma non sarebbe del tutto esatto semplificare così: per comprendere questi cambiamenti forse occorre spostare l’attenzione sui genitori le cui scelte di fondo direi che risentono molto di un’altra precedente rivoluzione, quella del ’68, la quale ha toccato molto e in profondità soprattutto le donne. Ricordo che già allora alcuni comportamenti, per molte famiglie il battesimo era diventato un atto sul registro. E sono cambiate anche tante altre cose. Ad esempio gli stili che hanno modificato i ritmi di vita dei ragazzi: l’ossessione della competizione e della competitività nelle discipline sportive, con allenamenti tali ormai da bruciare i pochi spazi liberi del sabato e della domenica. Tutto questo sembra favorire le relazioni, in realtà genera incomunicabilità in seno alle famiglie dove spesso i ragazzi dialogano soltanto con se stessi, il tablet o il pc. Insomma, meno sms e parlarsi di più. Quando vado nelle parrocchie a cresimare, da un po’ di tempo adotto questo sistema: chiedo ai cresimandi di scrivere perché fanno la cresima, dico loro di scrivere quello che pensano veramente. E’ un modo per guardarsi dentro e capire i loro punti di vita. Una metodologia che ho adottato anche con i vescovi provenienti da tutto il mondo per alcuni incontri in Vaticano: pongo una domanda su un problema che attraversa la Chiesa e poi chiedo loro di fornire la risposta scritta. Al termine confrontiamo tutte le risposte e apriamo il dibattito». 

Il crollo delle vocazioni. «Non è questo il vero problema, ma – come ha scritto Papa Benedetto XVI – il calo della fede in tutta Europa, dove prevale la logica dell’avere più che si può, del correre per non restare indietro, del populismo dilagante. Tutto ciò genera tensione e non aiuta a costruire». 

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