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Colombia senza guerra e senza pace

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Vatican Insider - pubblicato il 24/10/16
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A La Habana, sede dei colloqui di pace durati quattro anni tra il governo del presidente Manuel Santos e l’ex guerriglia Farc, sono ripresi ieri i negoziati per rivedere gli accordi che il referendum popolare dello scorso 2 ottobre ha bocciato. Il capo dei negoziatori governativi Humberto De la Calle, poco prima di partire per L’Avana, ha detto che i diversi punti ridiscussi dopo la vittoria del «no» sono «stati valutati in modo dettagliato» da parte del governo. Ha poi precisato che: «L’obiettivo è di giungere a un nuovo accordo per avviare il consolidamento di un processo di pace stabile e durevole».  

In queste settimane, il presidente Santos – che ha vinto il Premio Nobel per la pace 2016 proprio per aver cercato di porre fine a 52 anni di guerra intestina, con migliaia di morti, sequestri e milioni di sfollati – ha negoziato in particolare con l’ex presidente Alvaro Uribe, leader dello schieramento del «no» e dunque vincitore della consultazione della domenica 2 ottobre.  

Ecco i risultati ufficiali e definitivi di questo referendum il cui esito ha scioccato il Paese: «No» – 6.431.376 voti (50,21 %). «Sì» – 6.377.482 voti (49,78 %). Differenza: 53.894. Votanti – 13.053.364. Astenuti – 21 milioni (62,6%, la percentuale più alta negli ultimi 22 anni). 

Dopo questo verdetto popolare il Presidente Santos si è messo subito al lavoro dichiarando, assieme ai leader delle Farc, che il cessate il fuoco restava inalterato e che la guerra era da considerarsi veramente finita. Resta, ha aggiunto, da precisare come faremo per vivere in pace. In concreto, dopo gli scambi politici generali tra Santos e Uribe, in queste settimane hanno lavorato due delegazioni: quella governativa integrata da Humberto de la Calle, il ministro per gli Affari esteri María Ángela Holguín e il ministro della Defensa, Luis Carlos Villegas e quella del fronte del «no» formata da Óscar Iván Zuluaga, Carlos Holmes Trujillo e Iván Duque.  

Non sono noti nel dettaglio i punti che Uribe e i suoi (Centro democratico, l’ex presidente Andrés Pastrana, Chiese evangeliche ed ex procuratore nazionale Alejandro Ordóñez) hanno chiesto di rinegoziare con le Farc. Per ora si sa che Uribe appoggia un’amnistia per i guerriglieri che non si sono resi colpevoli di delitti gravi, ma chiede anche una legge speciale per alleggerire eventuali responsabilità di membri delle Forze armate e della Polizia che per oltre mezzo secolo hanno contrastato il gruppo armato. 

Le mosse di Uribe  

Alvaro Uribe, che con il successo del «no» è tornato nella politica attiva con molta energia e sicuramente sarà candidato alle presidenziale del 2018, si è autoproposto per rinegoziare direttamente e personalmente con le Farc chiedendo però che gli incontri si svolgano in «un paese neutrale» e cioè non a Cuba. L’ex governante (in carica dal 2002 al 2010) ha dovuto però incassare due fermi rifiuti alla sua insidiosa proposta: quello del governo che naturalmente ha ricordato al politico conservatore che fino a prova contraria in Colombia c’è un governo legittimo nel pieno possesso dei suoi poteri e quello della Chiesa cattolica che si è collocata giustamente nella medesima posizione del governo. Tra l’altro, Uribe, nel suo movimentismo incontenibile, si era spinto a proporre una sua partecipazione nei probabili negoziati del governo con l’Esercito di Liberazione nazionale (Eln) che, se non salteranno gli accordi preliminari, prossimamente dovrebbe sedersi a un tavolo per negoziare con Santos la pace.  

Questo secondo gruppo armato, molto piccolo, è da oltre un anno che, con l’aiuto del presidente dell’Ecuador, fa parte di un prenegoziato con Bogotá per l’apertura di trattative vere e proprie. In Colombia in molti hanno pensato e scritto che le mosse di Uribe sono tendenziose e dunque pericolose per il processo di pace e per la stessa autorevolezza del governo. Sembrerebbe che l’ex Presidente abbia provato a condizionare il governo oltre il lecito, come se il risultato del referendum potesse essere interpretato alla stregua di una esautorazione del governo in carica. 

Il presidente Santos, giovedì scorso, alla chiusura del periodo temporale per ricevere osservazioni e suggerimenti per la rinegoziazione, ha dichiarato che alcune sembrano buone per migliorare l’accordo, ma che ci sono anche altre irricevibili perché ormai irrealizzabili come per esempio il sistema giudiziario di transizione che consentirà di giudicare i membri dell’ex guerriglia, delle Forze armate e della Polizia, colpevoli di reati particolarmente gravi.  

Negli accordi si lascia da parte la possibilità di scontare eventuali condanne fuori dal carcere e ciò non piace al Centro democratico di Uribe che propone, invece, carcere obbligatorio e interdizione per le cariche pubbliche. Per i militari in simili condizioni Uribe propone invece lo studio di misure che portino un sostanziale alleggerimento delle condanne. 

All’avvio la smobilitazione  

Intanto il presidente della Colombia, Juan Manuel Santos, va avanti e non ferma il suo programma: pochi giorni fa con un decreto ha stabilito le 26 zone territoriali dove si dovranno concentrare i militari delle Farc per procedere alla consegna delle armi e per i primi passi verso il reinserimento sociale. Per Luis Carlos Villegas, ministro della Difesa, queste zone faciliteranno la delicata missione dell’Onu, assistita da numerose delegazioni di altri paesi dell’America Latina, per avviare la smobilitazione con piene garanzie di sicurezza, irreversibilità e trasparenza. In concreto ciò significa che l’applicazione dei passaggi sostanziali dell’accordo (oltre 250 cartelle) di fatto è cominciata. La scelta e l’inizio delle operazioni di smobilitazione nelle aree scelte rende irreversibile il cammino verso la pace e tutto ciò che sarà rinegoziato avrà molta meno importanza di quanto sarà invece realizzato in queste prime, già programmate fasi. È questo il contenuto della dinamica invocata da più parti: avviare da subito i meccanismi e le condizioni della pace sottraendo questo progetto dalle non poche cialtronerie politiche che provano a usare questa anelata pace per raccattare voti e lanciare programmi elettorali. 

Referendum illegale?  

Il presidente Santos non era obbligato da nessuna disposizione legale a convocare un referendum. Negli ultimi trent’anni non si è mai ricorso a uno strumento simile con altri gruppi armati e paramilitari più piccoli. Quella di Santos è stata una sua iniziativa autonoma che ha avuto uno scopo preciso: far entrare il tema della pace nell’ambito delle decisioni popolari e del grande dibattito politico, sottraendo la delicata questione ai professionisti della guerra e della pace che per decenni hanno costruito le proprie fortune politiche sfruttando la questione. 

A questo punto va ricordato un possibile paradosso nonché nuova insidia per il processo. Moltissimi sostenitori del no, mesi fa, temendo una strepitoso successo del sì, si sono appellati ai tribunali per chiedere che la consultazione fosse invalidata. In queste istanze è dominante la voce di esponenti e posizioni vicine a Uribe. Fra poco dovrebbero arrivare le prime sentenze e a questo punto si potrebbe verificare un fatto insolito: che i tribunali dichiarino che il referendum sia stato effettivamente illegale, ragion per cui la vittoria del no sarebbe di conseguenza fuori legge. 

Chiesa colombiana e papa Francesco  

In occasione dell’apertura dell’annuale «Expocatólica», il 22 ottobre scorso, a Bogotá, l’arcivescovo della capitale della Colombia, cardinale Rubén Salazar Gómez, ha lanciato un nuovo accorato appello in favore di una pace rapida e duratura. «Come Chiesa», ha detto, «abbiamo già chiesto il raggiungimento rapido della pace, la firma di un cessate definitivo di ogni ostilità, del conflitto armato, per sancire la pace e perciò esorto tutti i protagonisti affinché il processo non venga ritardato. Non posso giudicare quanto accade in questo momento. Chiedo soltanto di non allungare questa firma. Il governo ha ricevuto i contributi necessari per migliorare l’accordo con le Farc. Sono testimone dell’atteggiamento di apertura da parte del governo (del presidente Santos) che ha accolto bisogni e richieste di diverse correnti di pensiero nonché organizzazioni politiche. So che non sarà facile ma si deve raggiungere la firma definitiva». Il Porporato, con riferimento all’altra questione, il negoziato di pace con il secondo gruppo armato, l’Esercito di Liberazione nazionale (Eln), è tornato a precisare. «Abbiamo speranza che questa negoziazione possa aprirsi presto. È molto importante. La situazione non è semplice perché c’è la questione dei sequestri, ma l’Eln si è impegnato a non continuare su questa strada. Dobbiamo credere e sperare». 

Intanto in questi giorni crescono le notizie secondo le quali si terrà in Colombia un nuovo incontro del presidente Manuel Santos con papa Francesco. Potrebbe essere subito dopo il 10 dicembre in Vaticano, dopo che Santos avrà ricevuto il Premio Nobel per la pace 2016. Per ora né il Vaticano né il governo della Colombia hanno confermato la notizia. Sara un’occasione molto propizia per fare insieme il punto di una situazione che il Papa segue da sempre con speciale interesse e vicinanza, anche perché riguarda, e influenza, una sua possibile visita al Paese sudamericano. Al termine dell’ultimo incontro in Vaticano tra Santos e il Papa, lo scorso 15 giugno, il presidente raccontò alla stampa che Francesco gli aveva detto: «Le confermo che voglio venire ma le date non ci sono ancora, però se si firma la pace, questo sarà un’accelerazione dei tempi». 

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