In questi giorni ci siamo posti la domanda, riportata nel sottotitolo, soprattutto dopo aver appreso il nome e aver studiato la biografia del neo preposito dei Gesuiti padre Arturo Sosa, scelto venerdì scorso con le votazioni dai membri della 36.ma congregazione della Compagnia di Gesù.
Abbiamo scelto anche di porre la medesima domanda a diversi Gesuiti, alcuni dei quali hanno preso parte alle votazioni. Tra le risposte ricevute spicca un punto unanimamente espresso e riconosciuto: l’elezione di padre Sosa non si spiega per una sola ragione, anzi, nelle motivazioni della scelta sono intervenuti differenti fattori che vanno, per esempio, dall’età dell’eletto alla sua formazione e alle sue esperienze. Certamente non era una persona sconosciuta o un outsider.
Il suo nome circolava già prima dell’apertura della congregazione. Sono stati ugualmente importanti gli interventi di Sosa dall’inizio della congregazione fino a giovedì scorso; interventi brevi ma molto profondi sulla Compagnia e la sua missione, sulla lettura del mondo e della crisi, sulle grandi sfide e priorità della Chiesa.
Alcuni dei nostri interpellati, non tutti, a un certo punto del loro racconto sottolineano: la Compagnia ha configurato una visione del mondo, della Chiesa e di se stessa che non può prescindere dall’ottica politica/sociale. Ovviamente in questo caso la dicitura «politica/sociale» è ancorata fortemente alla centralità del bene comune e a tutto ciò che ne deriva, come si spiega e illustra compiutamente nella Dottrina sociale della Chiesa. Tra l’altro si tratta di una dimensione che da sempre fa parte della specificità gesuita, del suo carisma, del suo essere-nel-mondo. È stato sempre così, anche quando da più parti, fuori e dentro della Chiesa, alla Compagnia venne affibbiata la dicitura di essere una «Congregazione religiosa troppo politicizzata». Forse, per alcuni, questa specificità si era parzialmente oscurata o appannata appiattendosi, togliendo energia e perseveranza all’essere anche un’avanguardia nelle sfide dell’evangelizzazione, con grande capacità di anticipazione dei tempi.
La crisi globale di civiltà che l’umanità affronta, disorientata e per certi versi paralizzata, non è frutto o risultato di un disordine economico e finanziario, o del venir meno di collaudati meccanismi di rapporti multipolari, o di scarsità di risorse, servizi e beni. Questi sono solo una sommatoria di effetti, conseguenze della vera crisi che è politica.
Da parecchio tempo, che coincide sostanzialmente con il nascere e instaurarsi della religione della globalizzazione, l’umanità non è più governata dalla politica, dal primato del bene comune e ciò ha aperte le porte anche alle crisi spirituali e morali perché alla fine si è andata sempre più affermando la legge della giungla, del più forte, e del più spregiudicato. Il binomio economia-finanza e la disinvoltura morale imperversano in ogni ambito del vivere umano perché la bussola è orientata solo verso il profitto, il denaro, magari ottenuto in maniera facile e veloce. Basti ricordare, seppure di passaggio, il planetario e gigantesco fenomeno della corruzione, grande e piccolo, dal condominio alle multinazionali.
La questione centrale dunque è – in un mondo disarticolato, in preda a troppe incertezze e insidie e per certi versi gravemente scoraggiato – il futuro e cosa fare per poter navigare di nuovo in mare aperto; per organizzare la speranza; per inventare e reinventare percorsi e trovare la via giusta. La strada o via maestra è una sola: la buona e sana politica, la centralità della persona (e dei popoli) della loro dignità inalienabile e perciò sottolinea bene padre Sosa la sostanza della questione: «La riconciliazione tra gli esseri umani che allo stesso tempo è riconciliazione con Dio e con il Creato».
Nella sua prima omelia il neo Superiore è stato chiaro e cristallino: «Vogliamo anche noi contribuire a quanto oggi sembra impossibile: una umanità riconciliata nella giustizia, che vive in pace in una casa comune ben curata, dove c’è posto per tutti quanti perché ci riconosciamo fratelli e sorelle, figli e figlie dello stesso e unico Padre. Perciò ribadiamo anche oggi la convinzione di sant’Ignazio nello scrivere le “Costituzioni”: poiché la Compagnia non è stata istituita con mezzi umani, non può conservarsi né svilupparsi con essi, bensì con la mano onnipotente di Cristo Dio e Signor Nostro, in Lui solo è necessario riporre la speranza».
E quale contributo può dare o deve dare la Compagnia?
Sosa ha la risposta per quanto riguarda i suoi: servizio alla fede e profondità intellettuale, sempre, comunque e ovunque. È qui tutto il futuro dei Gesuiti nel mondo e nella Chiesa all’inizio del terzo millennio.
Il coraggio della fede
«Chi ha fede – ha ribadito ieri il neo Preposito – è capace di sperare l’improbabile, la speranza ci aiuta a fare quello che speriamo. Quando analizzi il mondo, quando vedi i poteri economici, i poteri delle armi, del narcotraffico, del traffico di persone, così forti che sembrano imbattibili, sembra che non ci sia nulla da fare, puoi diventare pessimista, e invece l’improbabile è possibile, è possibile vivere in pace, è possibile una economia solidale, è possibile avere stili di vita rispettosi del creato, avere cibo da mangiare a casa propria, una scuola…». Giorni fa, nella sua omelia della Chiesa del Gesù, il Superiore generale aveva sottolineato: dobbiamo «avere l’audacia dell’improbabile come l’atteggiamento proprio delle persone di fede che cercano di testimoniarla nella complessa attualità dell’umanità». Quello dell’osare l’impossibile è un tema caro a padre Sosa, che ne ha parlato anche nella sua prima conferenza stampa. «Certo, l’audacia della quale abbiamo bisogno per essere servitori della missione del Cristo Gesù può sgorgare soltanto dalla fede. Perciò il nostro sguardo è in primo luogo indirizzato a Dio (…) il Dio che è solo Amore, il nostro Principio e Fondamento».
La profondità intellettuale
Per cercare le risposte migliori occorre, ha detto Sosa nella sua prima omelia, «la profondità intellettuale», per «capire cosa succede, approfondire la conoscenza scientifica, culturale, personale, pensando e agendo al tempo stesso. (…) Allo stesso tempo ci vuole una straordinaria profondità intellettuale per pensare creativamente i modi attraverso i quali il nostro servizio alla missione del Cristo Gesù può essere più efficace, nella tensione creativa del magis ignaziano. Pensare per capire in profondità il momento della storia umana che viviamo e contribuire alla ricerca di alternative per superare la povertà, la ineguaglianza e la oppressione. Pensare per non smettere di proporre le domande pertinenti alla teologia e approfondire la comprensione della fede che chiediamo al Signore di aumentare in noi».