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Se arrivano quelli del Daesh, tiro fuori la mia mitragliatrice: il mio rosario

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Alfa y Omega - pubblicato il 18/10/16
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Padre Ángel Briz, cappellano della brigata di cavalleria Castillejos II a Besmayah (Iraq)Parlare con padre Ángel Briz è come parlare con un amico che si conosce da una vita. E non solo perché siamo quasi della stessa città, ma perché la sua giovialità è travolgente.

Originario di San Martín de la Vega (Madrid), ha 36 anni, è sacerdote da 4 ed è cappellano della brigata di Cavalleria Castillejos II, di Saragozza, che condivide il destino con il reggimento valenciano Lusitania VIII a Besmayah, in Iraq, anche se lui lo chiama Tedesmayas (in spagnolo “svieni”) per il caldo. Lì l’Esercito spagnolo addestra i soldati iracheni “a combattere contro il dragone del Daesh, che è una cosa diabolica”, mentre il cappellano dice che “stare qui con la mia gente e dare la vita per queste persone è la grazia più grande che Dio mi abbia concesso”.

Cosa fa un sacerdote spagnolo in Iraq? Com’è la sua quotidianità?

Dopo essere stato con il Signore faccio un giro per la base per parlare con i medici, i responsabili della centrale idrica, quelli dell’unità di difesa… In questi giorni stiamo soffrendo di più perché la brigata Lusitania ha perso un compagno in un incidente, Aarón Vidal, un bravissimo ragazzo, e quindi mi preoccupo di vedere come va il morale. Poi celebro due volte l’Eucaristia, perché ci sono persone che vanno a Messa ogni giorno e altre che hanno trovato Dio in questo posto, che si sono confessate per la prima volta da anni, e visto che non tutti possono andare a Messa alla stessa ora ho stabilito due turni perché nessuno resti affamato di Dio. Poi confessioni, catechesi, adorazione…

Messa quotidiana? Chi incontra Cristo in un contesto di guerra?

Chi scopre il Dio che è amore. In trincea tutti credono in Dio, perché qui ti chiedi cose a cui a casa non pensi. A volte i militari danno per scontato cosa
significhi il sacrificio, ma la morte sbaraglia tutti gli schemi. Quando vedi le difficoltà e sei lontano dalla tua famiglia, sorge la domanda di Dio. Ed è lì che parlo di Lui.


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Come si parla di Dio a chi deve uccidere per non essere ucciso?

Spiego che nel “Non uccidere” è implicita la legittima difesa. Non è come quando parliamo della morte del feto nell’aborto o dell’eutanasia: hai il dovere morale di difendere la tua vita da chi vuole ucciderti. Quando difendi la patria, inoltre, stai rispettando il comandamento di onorare tuo padre e tua madre. Insisto sul fatto che ciò che conta è non abusare mai ed essere giusti.

E come si parla del perdono nei confronti del nemico?

Quando vediamo quello che succede con lo Stato Islamico costa molto, perché quello che fanno queste persone è fuori dalla ragione. La prima cosa non è fare un unico fascio di tutti i musulmani, la seconda è rinunciare all’odio. Un giorno ho chiesto ai soldati quale sia l’amore più grande e mi hanno risposto: “Amare il nemico, no?” Ho detto di no, che “non c’è amore più grande che dare la vita per i propri amici”. Se amiamo il nemico è perché diventi amico. Cerchiamo di far sì che si converta e viva.

E questo si può fare con l’ISIS?

È molto difficile perché non si può intavolare un dialogo, ma se si vive il perdono del nemico non si odia. È una cosa che ci hanno dimostrato i nostri militari e i membri della Guardia Civil quando venivano assassinati dall’ETA.

Le madri si prendono cura dei propri figli quando sono in pericolo. La presenza della Madonna si nota in modo particolare?

Tanto! Qui tutti portano una pistola, tranne il sacerdote (grazie a Dio!). Quando qualche volta mi chiedono : “Padre, come si difenderà se arriveranno i cattivi?”, dico: “Se arrivano quelli del Daesh, tiro fuori la mitragliatrice”. E tiro fuori il rosario. Noi abbiamo le armi della fede. Tutti i soldati hanno la medaglietta della Virgen del Pilar o un’immagine della Virgen de los Desamparados, e quello che conta di più è che il centro di tutto sia stare con il Signore nell’Eucaristia.

A Baghdad, a 60 chilometri da Besmayah, ci sono spesso degli attentati. Ha paura di morire?

Qui sappiamo che possiamo rimanere uccisi in un incidente o in un attentato, ma io ho detto “Sì” a Dio; mi sono consacrato a Lui, e la mia vita è sua. Punto. E visto che credo nella resurrezione della carne e nella vita eterna, so che la morte non è la fine. Se il sacerdote ha paura della morte, spegniamo la luce e andiamocene.

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]

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