Alla canonizzazione di 7 nuovi santi, Francesco spiega il senso autentico della preghiera. All’Angelus: «Uniamo le nostre forze per lottare contro la povertà che degrada e uccide»«Dobbiamo pregare non per vincere la guerra, ma per vincere la pace – esorta Francesco – Pregare è lottare, non è rifugiarsi in un mondo ideale, non è evadere in una falsa quiete egoistica». Sulla facciata della basilica vaticana campeggiano gli arazzi con i ritratti dei sette beati proclamati oggi santi. In piazza le delegazioni ufficiali e numerosi gruppi di pellegrini dai loro cinque paesi. I nuovi esempi di santità «hanno raggiunto la meta, hanno avuto un cuore generoso e fedele, grazie alla preghiera: hanno pregato con tutte le forze, hanno lottato, e hanno vinto».
Nell’omelia, commentando le Letture, il Papa ha invitato a essere «uomini di preghiera». Questo, evidenzia il Pontefice, è «lo stile di vita spirituale che ci chiede la Chiesa: non per vincere la guerra, ma per vincere la pace». L’impegno della preghiera, infatti, «richiede di sostenerci l’un l’altro». E «la stanchezza è inevitabile, a volte non ce la facciamo più, ma con il sostegno dei fratelli la nostra preghiera può andare avanti, finché il Signore porti a termine la sua opera».
Questo, puntualizza Jorge Mario Bergoglio, è il modo di agire cristiano: «Essere saldi nella preghiera per rimanere saldi nella fede e nella testimonianza».
Un grande applauso si è levato dalla folla dei pellegrini in piazza quando nella Messa di canonizzazione in piazza San Pietro, Francesco, ha letto la formula con cui ha proclamato sette nuovi santi, tra cui due martiri e due italiani. Moltissimi alla cerimonia i devoti soprattutto di Elisabetta della Santissima Trinità Catez, monaca professa dell’Ordine dei Carmelitani scalzi, la prima a utilizzare l’espressione «Dio Madre» nei suoi profondi scritti spirituali, dunque anticipatrice del magistero di Luciani e Bergoglio in questa materia.
E, evidenzia Francesco, «solo nella Chiesa e grazie alla preghiera della Chiesa noi possiamo rimanere saldi nella fede e nella testimonianza».
Concelebrano la Messa con il Pontefice il cardinale Jorge Urosa Savino, arcivescovo di Caracas, Javier Navarro Rodriguez, vescovo di Zamora (Messico), Manuel Herrero Fernandez, vescovo di Palencia (Spagna), Ricardo Pinila Colantes, superiore generale dei Figli di Maria Immacolata, Giuseppe Giudice, vescovo di Nocera Inferiore-Sarno, Santiago Olivera, vescovo di Cruz del Eje (Argentina), Roland Minnerath, arcivescovo di Digione.
«Pregare non è rifugiarsi in un mondo ideale, non è evadere in una falsa quiete egoistica- afferma Francesco – Al contrario, pregare è lottare, e lasciare che anche lo Spirito Santo preghi in noi. È lo Spirito Santo che ci insegna a pregare, che ci guida nella preghiera, che ci fa pregare come figli».
In piazza San Pietro anche il ministro per le Riforme Maria Elena Boschi alla guida della delegazione italiana. Il presidente della Repubblica Mauricio Macri guida invece la delegazione argentina. Quella francese è capeggiata dal ministro dell’Ambiente Segolene Royal, quella spagnola dal ministro dell’Interno Jorge Fernandez Diaz, quella messicana dal direttore generale aggiunto per gli Affari religiosi Roberto Herrera Mena.
I santi sono uomini e donne che entrano fino in fondo nel mistero della preghiera, spiega Francesco. Uomini e donne che «lottano con la preghiera, lasciando pregare e lottare in loro lo Spirito Santo; lottano fino al limite, con tutte le loro forze, e vincono, ma non da soli: il Signore vince in loro e con loro». Perciò «anche questi sette testimoni che oggi sono stati canonizzati hanno combattuto la buona battaglia della fede e dell’amore con la preghiera». Perciò, aggiunge, sono rimasti saldi nella fede, con il cuore generoso e fedele. Dunque, attraverso il loro esempio e la loro intercessione, invoca il Papa, «Dio conceda anche a noi di essere uomini e donne di preghiera; di gridare giorno e notte a Dio, senza stancarci; di lasciare che lo Spirito Santo preghi in noi, e di pregare sostenendoci a vicenda per rimanere con le braccia alzate, finché vinca la Divina Misericordia».
C’è un sacerdote argentino caro a Francesco, Giuseppe Gabriele del Rosario Brochero, il «Cura Brochero», che tra il 1800 e il 1900 percorse su una mula distanze enormi per portare ai più poveri la consolazione di Gesù, tra i sette nuovi santi proclamati oggi dal Papa. Gli italiani sono due sacerdoti, uno bresciano e uno salernitano. Due sono martiri: José Sánchez del Río, un ragazzo di appena 14 anni, ucciso nel 1928 durante la rivoluzione anticattolica in Messico e la conseguente rivolta dei «cristeros». Ha resistito ai torturatori che volevano fargli rinnegare la fede. Sul suo corpo gli viene trovato un biglietto per la mamma: «Ti prometto che in Paradiso preparerò un buon posto per tutti voi. Il tuo José muore in difesa della fede cattolica e per amore di Cristo Re e della Madonna di Guadalupe». E viene ucciso nel 1792 durante la «Rivoluzione francese» il primo martire lassalliano, Salomone Leclercq. Proclamati santi anche due italiani. Il sacerdote bresciano Lodovico Pavoni, fondatore della Congregazione dei Figli di Maria Immacolata. Durante la rivoluzione industriale del 1800 con i suoi «frati operai» insegnava ai giovani emarginati la fede e il lavoro. E il sacerdote salernitano Alfonso Maria Fusco, fondatore della Congregazione delle Suore di San Giovanni Battista, vicino ai contadini del sud dimenticati dopo l’unità d’Italia. Gli altri sono uno spagnolo e una missionaria francese. Il vescovo spagnolo di Palencia Manuel González García, morto nel 1940, fondatore dell’Unione eucaristica riparatrice e della Congregazione delle Suore Missionarie eucaristiche di Nazareth, promotore del culto eucaristico e noto come il «vescovo dei Tabernacoli abbandonati». Infine, la mistica francese Elisabetta della Santissima Trinità, carmelitana scalza, morta nel 1906 a 26 anni a causa del morbo di Addison, offrendo tutto per la salvezza delle anime e per gli scoraggiati.
Poi nell’Angelus recitato dopo aver canonizzato davanti a 80mila fedeli sette figure vicine a chi soffre, il Papa lancia un accorato appello sui temi sociali, sollecitando politiche serie per il lavoro perché la povertà degrada e uccide. «Uniamo le nostre forze, morali ed economiche, per lottare insieme contro la povertà che degrada, offende e uccide tanti fratelli e sorelle, attuando politiche serie per le famiglie e per il lavoro», raccomanda il Pontefice ricordando che domani ricorre la «Giornata Mondiale contro la povertà» promossa dall’Onu. «Il tema scelto per la Giornata (“Diritti Umani e Dignità dei Popoli che Vivono nella Povertà”) richiama quanto proclama la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, adottata sessant’anni fa, quando dichiara che “ognuno ha il diritto ad un regime di vita adeguato per la salute e il benessere proprio e della propria famiglia”». E «Alla Vergine Maria affidiamo ogni nostra intenzione, specialmente la nostra insistente e accorata preghiera per la pace».