L’assemblea straordinaria della Conferenza episcopale colombiana (Cec) ha diffuso un comunicato attraverso il quale i vescovi del paese latinoamericano hanno invitato i colombiani a prendere su di sé l’attuale situazione del paese vedendola come un tempo di responsabilità e speranza. Tutto questo si legge nel documento che «chiede di riaffermare il nostro impegno per annunciare la pace in Colombia e per continuare a lavorare per raggiungerla». I vescovi e tutta la Chiesa della Colombia vogliono contribuire a porre fine a una guerra che in cinquant’anni è costata la vita ad almeno 220mila colombiani e ha causato oltre 6 milioni di sfollati.
Nella nota si afferma: «Noi pastori della Colombia, assieme alle nostre comunità ecclesiali, riaffermiamo l’impegno a proseguire nel compito di riconciliazione e di costruzione di un’autentica pace. La Chiesa cattolica, lasciando da parte qualunque vincolo di partito, prosegue fermamente nell’invito perché tutti noi lavoriamo in modo disinteressato per il bene comune». La Chiesa, da sempre, avverte l’urgenza di avere un «progetto nazionale», grazie al quale vengano individuati i mali che attanagliano il Paese e nel quale sia riconoscibile la partecipazione di tutti i cittadini. Per questo ancora l’Episcopato colombiano sottolinea: «Sollecitiamo il presidente della Repubblica e le istituzioni che hanno responsabilità nel paese perché accolgano le proposte che stanno emergendo da diverse parti della società, al fine di dare una forma a questo progetto, che ci dia unità nazionale e risposta ai molti problemi che abbiamo». Vatican Insider ha intervistato don Jehison Herrera, un prete colombiano che oggi vive in Belgio. Il Religioso è originario di Caldas nella regione di Antioquia ed è impegnato nel processo di pace in patria con contatti e azioni pastorali dirette, realizzate in prima persona.
Il fallimento del referendum quali ripercussioni avrà sulla nazione ?
«Dopo il referendum di quindici giorni fa, possiamo domandarci chi a veramente vinto? Siamo sicuri che la popolazione abbia espresso un’opinione sull’accettazione o il rifiuto dell’accordo di pace. Dal mio punto di vista personale l’unica situazione che si è verificata con il risultato referendario, è stato un brusco freno al processo di pace e un arresto verso la piena realizzazione di un condiviso percorso democratico. Come è possibile che in una decisione importante come l’inizio della fine di un conflitto sia stata fatta tale scelta. Pochi elettori e troppi colombiani che non hanno espresso il loro pensiero. Ora la nazione si trova in una situazione di tensione e incertezza e bene hanno fatto i nostri vescovi a intervenire».
Quale direzione prendere, come Chiesa di base e clero popolare? L’accordo di pace è veramente legittimo?
«La speranza è che le formazioni della guerriglia (in particolare la principale, le Farc) osserveranno la tregua raggiunta dopo decenni di guerra. In quanto al popolo colombiano esso è bloccato in una complessa e pericolosa tripolarità: chi sostiene gli accordi, chi li respinge e chi fatica a prendere posizione. Per il futuro la grande sfida è di tentare di mostrare a tutti i colombiani che l’accordo di pace non è solo qualcosa di buono ma è l’unica speranza che può fare voltare pagina in modo definitivo a un passato contraddistinto da troppe cose negative: terrorismo, commerci illeciti, violenza e guerra; e costruire finalmente un futuro per il nostro popolo. Per questo è un grande fatto l’assegnazione del Nobel al nostro presidente Juan Manuel Santos. Il suo impegno risoluto nel porre fine alla guerra civile è stato fondamentale nel processo di pace».
La Chiesa colombiana ha operato perché avvenisse la riconciliazione tra guerriglieri e Stato?
«La Chiesa colombiana attraverso la sua Conferenza episcopale, e le comunità presenti nelle città e nelle zone rurali ha sempre lavorato per rompere la logica della violenza e della guerra. Il lungo lavoro profetico con il sacrificio di persone e la sofferenza della popolazione ha spezzato un isolamento e una rassegnazione generale. Ha inaugurato una prassi di dialogo tra la guerriglia e il governo, impensabile solo qualche tempo fa.
La Chiesa si è fatta dunque garante dando legittimità e sostanza al dialogo. Vent’anni fa fu avviata una commissione per la conciliazione nazionale, sono stati avviati progetti di formazione per dare ai cristiani mezzi per produrre strumenti di dialoghi e sostenuto concretamente la costruzione di una nuova Colombia. Preti, religiosi, laici insieme ai vescovi hanno lavorato e lavorano, sotto traccia, sostenendo le vittime del conflitto armato in Colombia proponendo una cultura civica di pace. Nella mia diocesi di Quibdo nella regione del pacifico colombiano, nel maggio 2002 il Vescovo è stato il primo a recarsi sul luogo dell’indimenticabile strage delle Farc a Bojayà perpetrata contro la popolazione. Il vescovo non ha soltanto lavorato per la ricostruzione della chiesa ma anche di tutto il villaggio e la sua opera di denuncia e contrasto alla violenza, a costo della vita, è stata efficace. Contro la follia della guerriglia e del conflitto civile si è fatto portavoce di un progetto di pacificazione nel territorio».
Come le comunità ecclesiali propongono un’educazione per il superamento della logica della violenza ?
«La Chiesa non partecipa o promuove solo delle sue iniziative, ma partecipa direttamente o indirettamente anche ad altri momenti che nascono dalla collaborazione con lo Stato, e le istituzioni pubbliche e private. Nel suo progetto di nuova evangelizzazione l’episcopato colombiano insieme alle comunità locali hanno promosso laboratori di riconciliazione e “non violenza” per la risoluzione dei conflitti».