In una cattedrale di San Salvador gremita all’inverosimile, lo scorso 15 agosto, è stato proclamato l’anno giubilare del Beato Oscar Arnulfo Romero, il vescovo assassinato dagli squadroni della morte il 24 marzo del 1980. L’anno terminerà il 15 agosto del 2017, a cento anni esatti dalla nascita del grande prelato. A dare l’annuncio è stato l’arcivescovo di San Salvador e presidente della Conferenza Episcopale, José Luis Escobar y Alas che si è anche augurato che l’anno giubilare «si concluda con la dichiarazione di santità».
Romero, nonostante sia da decenni un simbolo di opposizione evangelica e pacifica alla violenza e rappresenti un riferimento per cristiani, credenti di altre fedi e laici di tutto il mondo, è stato proclamato Beato solo nel maggio del 2015 grazie alla decisa volontà di Papa Francesco. Il pontefice, che nell’ottobre del 2015 parlò di lui come un vescovo martirizzato anche dopo l’assassinio «perché non bastò che fosse morto: fu diffamato, calunniato, infangato; il suo martirio continuò anche per mano dei suoi fratelli nel sacerdozio e nell’episcopato», ha sempre avuto per il ‘Santo delle Americhe’ una speciale predilezione.
Raggiunto al telefono da Vatican Insider, il fratello di Monsignor Romero, Tiberio Arnoldo, spiega cosa significhi per la famiglia e il Paese l’indizione di questo anno giubilare e auspica che la sua celebrazione porti pace in un Salvador ancora tormentato da violenze.
Come avete appreso la notizia voi della famiglia?
«Questa notizia è giunta a me fratello e a tutta la mia famiglia come una conferma del cammino che ha portato Oscar a divenire beato e lo condurrà, speriamo presto, alla santità. Lui è un simbolo di pace, per il nostro Paese e per il mondo: celebrare un anno giubilare dedicato a lui, sono certo, porterà pace. È ovvio, poi, che a livello personale ho provato una profonda emozione, una gioia immensa, che ha invaso tutto il mio essere. Un giubileo è una benedizione, una grazia, non solo per la famiglia, ma anche per tutti i salvadoregni e per il mondo intero».
La figura del Beato Romero resta un simbolo di lotta pacifica per la giustizia e la pace in tutto il mondo…
«Sì, mio fratello ha voluto combattere con coraggio sebbene la destra e l’ultra- destra, gli avessero fatto capire più volte che avrebbe dovuto smetterla, avrebbe dovuto tenere la bocca chiusa. Lui chiedeva innanzitutto una politica umana che partisse dai più poveri, da quelli che non riuscivano a sfamare le famiglie e che venivano sfruttati e pagati una miseria. Negli anni in cui era in vita, il Salvador era attraversato da guerre intestine, divisioni, violenze estreme e ingiustizie. Oscar Arnulfo ha insistito sulla pace, il rispetto dei diritti, e ora che è stato proclamato Beato, continua a farlo».
Il Paese, nonostante la guerra civile sia finita da tempo, continua a essere caratterizzato da violenze…
«Purtroppo sì, la guerra civile è finita ma ne è iniziata un’altra. Ora sono le Maras (bande criminali simili alle mafie, molto radicate in ogni angolo del Paese, ndr) a condurla. Uccidono senza pietà, non rispettano la vita innocente, disprezzano i diritti umani e sfruttano molti cittadini. La violenza continua a generare altra violenza. In questi anni, inoltre, si è combattuta una guerra anche contro l’ambiente che ha sofferto per la distruzione delle foreste. Le falde acquifere si assottigliano ogni giorno di più e sono i più poveri a pagarne le conseguenze. Proprio per questo credo che il Giubileo dedicato a Monsignor Romero giunga al momento giusto, può aiutare tutti a tornare a riflettere, a porre l’uomo al centro, a cercare vie di pace e giustizia».
Che significato ha per la Chiesa e il popolo salvadoregno questo anno giubilare?
«Credo che per la chiesa sia un anno prezioso perché porta conversioni, riconciliazioni. Aiuterà tanti ad avvicinarsi a Dio e ad approfondire la propria fede. Per il nostro popolo è altrettanto importante perché la gente ha bisogno di queste celebrazioni per riflettere su un simbolo di pace come Monsignor Romero e fermare ogni tipo di violenza e di ingiustizia, come si fa negli anni santi».
La figura di Monsignor Romero, non è stata sempre apprezzata nella Chiesa, nel Salvador, in altri ambiti ecclesiali e politici. Dal momento della beatificazione è trascorso più di un anno e mezzo. È cambiato qualcosa nella percezione di Romero nella chiesa e nel popolo?
«Dopo la Beatificazione, la Chiesa ha sentito un’esigenza maggiore a aderire e dare risalto a ciò che ha vissuto Monsignor Romero. C’è una maggiore conoscenza della sua figura ora, e mi sembra di capire che la fede del popolo sia ora più matura. Tra i giovani, poi, è aumentata la conoscenza di Romero, perché molte scuole hanno contribuito a diffondere la sua storia, le sue opere, il suo pensiero. Sono sempre di più i ragazzi che ora vogliono sapere di più del mio fratello beato».
La chiesa salvadoregna – a conferma di quanto Tiberio Arnoldo affermava nella sua conclusione – ha scelto di utilizzare questo anno speciale per diffondere nel Paese la conoscenza di questa figura e facilitare la cultura della pace e della giustizia così care all’Arcivescovo. La conferenza episcopale, nel decreto di chiamata per il giubileo dedicato a Oscar Arnulfo Romero, ha invitato sacerdoti e fedeli ad approfondire lo studio e la riflessione attorno al suo pensiero e la sua opera, oltre che a recarsi in pellegrinaggio sui luoghi che hanno caratterizzato la sua vita. Tra questi, il piccolo appartamento in cui viveva, la città natale Ciudad Barrio, la Cappella dell’Ospedale della Divina Provvidenza dove è stato ucciso, la tomba all’interno della Cattedrale Metropolitana. «In essi – si scrive – possiamo pregare per le intenzioni del Papa Francesco e la tanto sospirata pace nel nostro Paese».