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Tobin, Sant’Alfonso e la Chiesa con “l’indice puntato”

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Vatican Insider - pubblicato il 14/10/16
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La Chiesa negli USA soffre di «balcanizzazione dei fedeli». E la polarizzazione dei cattolici «tra la cosiddetta destra e la cosiddetta sinistra, o tra le fazioni progressiste e quelle tradizionaliste», è una patologia forse contratta per contagio dalla «natura divisiva della politica nazionale», che chiude e contrappone le persone «in campi ideologici separati». Questo pensa della cattolicità a stelle e strisce il redentorista Joseph William Tobin, l’arcivescovo di Indianapolis che Papa Francesco ha voluto inserire nella lista dei 17 nuovi cardinali chiamati a ricevere la berretta al Concistoro del prossimo 19 novembre. Il futuro porporato tracciò la sua diagnosi delle malattie ecclesiali made in USA nella primavera del 2014, intervenendo alla convention annuale della College Theology Society. Lì tratteggiò nei particolari la sclerosi permanente del «dito puntato» contro gli altri per condannare, denigrare, deridere il “nemico”. La descrisse come una specie di malattia auto-immune, una inibizione a «esaminare umilmente la distanza tra i nostri ideali e il momento presente, che è il punto di partenza per una vita di continua conversione». 

Il percorso umano e spirituale di “Joe” Tobin, per indole, fortuna e incontri fortuiti, lo ha sempre tenuto a distanza di sicurezza dalle rigidezze e polarizzazioni che appesantiscono tanta parte del cattolicesimo degli ultimi decenni, non solo negli Usa. Nato nel 1952 in una famiglia di origini irlandesi, primo di ben 13 figli, cresce a Detroit, dove la sua vocazione religiosa fiorisce vicino casa, per ordinaria “prossimità” parrocchiale, nella chiesa del quartiere frequentata da una folta comunità ispanica e officiata dai Redentoristi. Nella Congregazione fondata da Alfonso Maria de’ Liguori, il santo amico dei peccatori, patrono di tutti i confessori, Tobin emette i voti temporanei nel 1972 e quelli definitivi nel 1976, all’età di 24 anni. Mentre a Roma la Pontificia Accademia Alfonsiana (l’istituto di teologia morale dei Redentoristi) è dominato dalla figura e dalla linea teologica di Bernard Häring, il giovane Tobin compie tutto il suo cursus studiorum presso le istituzioni accademiche statunitensi, fino alla licenza in Teologia pastorale ottenuta presso il Mount Saint Alphonsus Major Seminary a Esopus (New York). Negli stessi anni, più che allo studio e all’accademia, le sue energie giovanili vengono offerte all’attività pastorale – prima come vice- parroco, poi come parroco – nella stessa parrocchia di Detroit dove è nata la sua vocazione, e dove fino agli anni Novanta svolge il suo ministero sacerdotale tra le comunità ispaniche, ricoprendo dal 1980 al 1986 anche l’incarico di Vicario episcopale. 

A Roma, per la prima volta, Tobin si trasferisce per un periodo prolungato solo nel 1991, quando viene eletto Consultore generale dei Redentoristi. La sua missione romana si prolunga quando i suoi confratelli lo scelgono per due mandati consecutivi – dal 1997 al 2009 – come superiore generale della Congregazione. Dal 2003 diventa anche vice-presidente dell’Unione dei Superiori generali, e cura i rapporti tra quell’organismo e il Dicastero vaticano per i religiosi. Ma più che a frequentare i corridoi vaticani, i suoi incarichi lo portano soprattutto a viaggiare in 70 Paesi e a conoscere “dall’interno” le crisi disastrose e le possibilità di fioritura che segnano le comunità dei religiosi e delle religiose in tutto il mondo. Per questo Papa Benedetto pensa a lui, quando nell’estate 2010 deve scegliere un nuovo Segretario della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica. 

Tobin, ordinato arcivescovo a motivo della sua nomina vaticana, assume l’incarico proprio nella fase conclamata di tensione tra i Palazzi d’Oltretevere – Congregazione per il religiosi e ex Sant’Uffizio – e la gran parte delle congregazioni religiose femminili statunitensi, quelle rappresentate dalla Leadership Conference of Women Religious (LCWR). I dicasteri vaticani hanno avviato accertamenti e visite apostoliche per verificare l’ortodossia e la “tenuta” disciplinare delle suore Usa, a cui verrà rimproverato in particolare il sostegno alla riforma sanitaria voluta da Obama e denunciata dai militanti pro-life e da buona parte dei vescovi statunitensi per le modalità di finanziamento pubblico degli interventi abortivi e dei metodi contraccettivi. Dall’altra parte, tra le suore Usa c’è chi bolla le visite apostoliche volute dal Vaticano come una nuova “caccia alle streghe”. Tobin entra nella partita in corso evitando toni esasperati. Nel 2012, dopo che la Congregazione per la dottrina della fede ha pubblicato il suo report dottrinale sulla LCWR, il Segretario riconosce pubblicamente che le modalità complessive dell’intervento vaticano hanno creato un’atmosfera pesante, che non è stato favorito il dialogo e molte suore «hanno percepito che qualcuno stava dicendo loro che la loro vita non era leale e vissuta secondo la fede». La blogosfera neorigorista mette ben presto nel mirino Tobin per il suo approccio dialogante, subito bollato come «inusuale per un prelato vaticano di alto livello». Nell’ottobre 2012, a poco più di due anni dalla sua nomina vaticana, il redentorista viene nominato arcivescovo di Indianapolis. La lettura applicata dai circuiti mediatico-clericali alla nomina risponde in maniera quasi unanime e irriflessa alla logica classica del promoveatur ut amoveatur: una “promozione”/via d’uscita dopo che si è manifestata la scarsa compatibilità ambientale con le tendenze curiali allora dominanti. Tre anni dopo, durante la sua visita negli USA, ci penserà Papa Francesco a ringraziare con parole cariche di affetto le “indisciplinate” suore statunitensi («Che cosa sarebbe la Chiesa senza di voi? Donne forti, lottatrici. Con quello spirito di coraggio che vi pone in prima linea nell’annuncio del Vangelo»).  

L’approccio mostrato da Tobin verso le suore USA non rivelava già a quel tempo un’affiliazione del redentorista a qualche cordata ideologica clericale. Per temperamento, il futuro cardinale appare poco propenso a intrupparsi dietro a conformismi clericali, di conio vecchio e nuovo. Nel 2010, mentre davanti agli scandali sessuali e alla pedofilia in tanti nella Chiesa si compiacevano con gli slogan fragorosi sulla “tolleranza zero”, Tobin ripeteva che l’unica urgenza è «chiedere a Dio di mettere il suo dito, lo Spirito Santo, sulle nostre orecchie» per superare il funzionalismo esasperato, l’apprensione gli abusi sessuali e per il calo numerico delle vocazioni, che coprono tutto e ci rendono tutti sordi, come accadeva proprio quell’anno con il «ronzio delle vuvuzela», le assordanti trombette di plastica da stadio utilizzate in Sudafrica dai tifosi dei Mondiali di calcio. 

Affrontare i problemi dall’interno, provare a sciogliere i nodi con pazienza, senza assumere pose plastiche a vantaggio delle telecamere. Così si muove l’arcivescovo Tobin, che negli ultimi tempi, a Indianapolis, non si è sottratto a sia pur educate schermaglie con il governatore locale, che gli chiedeva di sospendere i programmi di accoglienza gestiti dall’arcidiosesi a favore di rifugiati siriani. Nel grande Paese americano, dove altri invocano e innalzano muri di protezione per bloccare l’afflusso di immigrati, Tobin sa bene che anche parecchi settori della Chiesa locale rimangono spiazzati davanti al magistero di Papa Francesco, e provano a superare il disagio incasellando i suoi gesti e le sue parole nella logora griglia interpretativa progressive-conservative: «Mi accorgo» disse il futuro cardinale redentorista nel suo intervento del 2014 per la College Theology Society «di quanto Papa Francesco risulti inquietante per la gerarchia cattolica degli Usa… C’era una determinata immagine di cosa significa essere un leader pastorale in questo Paese, e Papa Francesco la sta scombussolando. Io credo che c’è una certa resistenza rispetto a un modo diverso di realizzare la missione evangelica affidata alla Chiesa. E allora, preghiamo per la salute di Papa Francesco». 

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