L’attesa non è finita. C’è un nuovo ostacolo sul sentiero della lunga e complessa vicenda giuridica di Asia Bibi, la donna cristiana condannata a morte per blasfemia. Il processo, giunto davanti alla Corte Suprema del Pakistan, terzo e ultimo grado di giudizio, richiede ancora del tempo: la sezione penale di Islamabad ha rinviato l’udienza prevista per esaminare il caso di Asia.
Uno dei tre giudici che formavano il collegio giudicante si è infatti tirato indietro, dichiarando la propria impossibilità a pronunciarsi. L’alto magistrato Iqbal Hameed Ur Rehman ha motivato la sua decisione adducendo una sorta di «conflitto di interessi»: ha già giudicato e condannato a morte Mumtaz Qadri, l’assassino reo confesso di Salman Taseer, il governatore del Punjab ucciso nel 2011 proprio per aver osato difendere Asia Bibi e proclamarne l’innocenza. Il giudice ha spiegato che «i due casi sono collegati tra loro», preferendo abbandonare il collegio per motivi di deontologia professionale.
La cancelleria della Corte ha dunque disposto un rinvio «sine die». Ma la difesa di Asia Bibi non resterà a guardare. Tra qualche giorno si potrebbe conoscere la data di una nuova udienza. «Ci stiamo adoperando perchè sia fissata entro poche settimane, magari all’inizio di novembre», confida a Vatican Insider l’avvocato cattolico Kahlil Tahir Sindhu, ministro delle minoranze e dei diritti umani della provincia del Punjab, che questa mattina era in tribunale come osservatore, in veste di autorità politica.
Prevedibile la delusione dell’entourage della difesa di Asia Bibi, guidata dall’avvocato musulmano Saiful Malook, che pure nutriva «buone speranze per l’assoluzione».
Joseph Nadeem, tutore della famiglia di Asia Bibi, che era in aula accanto al marito di Asia, Ashiq Masih, racconta così quegli istanti: «Questa mattina alle 9,30 eravamo davanti alla Corte Suprema, visibilmente emozionati. Il caso di Asia Bibi era il decimo nella lista. Intorno alle 10,30 la cancelleria ha annunciato la discussione del caso ‘Asia Bibi contro lo stato’. In quel momento uno dei giudici ha annunciato che avrebbe abbandonato l’aula. E’ stata una doccia fredda. Perché il magistrato non lo ha detto giorni fa?».
Un rinvio inaspettato: «E’ un ostacolo imprevisto: speravamo in una rapida soluzione del caso. Aspetteremo ancora ma non perdiamo la speranza. Confidiamo in Dio e nella giustizia», osserva Nadeem.
Ora la difesa spera che, nel procedimento davanti al supremo tribunale, non inizi quella litania di rinvii che ha caratterizzato il processo di appello. Infatti, dopo la prima, rapida condanna del novembre 2010, poco più di un anno dopo l’arresto di Asia, ci vollero ben quattro anni prima che un magistrato dell’Alta Corte di Lahore accettasse di riesaminare il caso.
Almeno sei volte le udienze fissate furono allora rinviate per i motivi più disparati. I giudici erano intimoriti e non volevano essere coinvolti in un caso così sensibile. E’ ancora viva nella memoria la storia di Arif Iqbal Bhatti, giudice dell’Alta Corte di Lahore, ucciso nel 1997 dopo aver assolto due ragazzi cristiani, condannati a morte in primo grado per blasfemia.
Quella di Asia Bibi è tuttora una vicenda-simbolo molto sensibile per l’ordine pubblico e per la sicurezza nel paese. Stamane Islamabad era blindata e le autorità avevano dispiegato migliaia di agenti di polizia in strada, dopo le minacce diffuse da gruppi radicali islamici in caso di verdetto favorevole alla donna.
Un messaggio fortemente intimidatorio verso la magistratura e il governo del Pakistan è giunto dal gruppo estremista Sunni Tehreek, della scuola di pensiero islamica Barelvi, lo stesso che aveva definito il killer Mumtaz Qadri «un eroe islamico».
Oltre 150 imam e ulama del gruppo hanno avvisato l’esecutivo e il tribunale ricordando che «secondo la legge islamica, la punizione per i blasfemi è solo la morte: Asia Bibi dev’essere impiccata».
Ribadendo che «non si tollereranno altre strade», l’appello degli islamisti va oltre: «Se Asia Bibi sarà trasferita in un paese straniero, milioni di devoti al Profeta Maometto scenderanno in strada per una lunga marcia contro il governo» che «vuole dichiarare il Pakistan uno stato laico» e non soggetto alla sharia.
Un altro avvertimento lo ha lanciato la nota Lal Masjid (la «Moschea rossa») di Islamabad, think-tank dell’islamismo radicale e luogo di formazione dei giovani musulmani, assurta in passato a epicentro di scontri sanguinosi con le forze di sicurezza.
«Lal Masjid diventerà un centro del movimento antigovernativo se Asia Bibi sarà liberata. Consideriamo blasfemi tutti coloro che la difendono, chiunque essi siano e qualunque posizione ricoprano». Asia Bibi, suo malgrado, è vittima innocente di questa battaglia ideologica.