Lo possiamo sempre più sperimentare concretamente che la vita è fatta di discernimenti che è un grande dono vivere in un cammino gradualmente sempre più profondo ma anche sempre più semplice e sereno, pieno di buonsenso nella fede (nei valori per un non credente). In ogni cosa vediamo che è bene scoprire sempre più dei possibili criteri. Ma vediamo anche che ciò significa appunto vissutamente approfondire ma proprio anche perciò vissutamente sempre meglio adattare. La confusione viene proprio con lo schematismo di regole astratte che invece di aiutare a comprendere e vivere la vita, le situazioni, gli ambiti, possono in varia misura finire per costituire un’ulteriore complicazione, scoraggiando ancora di più.
«Il Signore mi ha dato una lingua da discepolo per dire una parola allo sfiduciato» (Is 50, 4).
La stessa scienza sta sempre più scoprendo l’inadeguatezza degli schematismi e il bisogno di cogliere in modo sempre più autentico la viva realtà concreta. La scienza dunque cerca le vie per conoscere più profondamente anche sé stessa. Relativismo vuol dire che una concezione vale l’altra e ciò non aiuta a comprendere la realtà che ha una sua natura specifica. Integralismo significa chiudere la realtà in quello che noi ne abbiamo compreso invece di approfondirne sempre più la conoscenza. Così l’uomo può trovare sempre più profondamente sé stesso nell’amore di Dio e dei fratelli ma pretendere che entri in questa vita in modo immediato e meccanico invece di venire lui per primo, con discrezione, amato, compreso, perdonato, aiutato a crescere gradualmente è evidentemente la negazione dell’amore. È ridurre l’amore a un vuoto e falso, solo esteriore, schema. Finché l’uomo viene costretto in questo schema anche se resta in esso non sta bene proprio perché la sua vera natura non si è potuta più pienamente sviluppare. Per questo Gesù ci ha insegnato l’amore e ci ha anche detto che ci insegna sempre più, nello Spirito, lungo la storia, come amare, cosa significa amare. Lo Spirito vi condurrà alla verità tutta intera ricordandovi quello che vi ho detto (cfr. Gv 16, 13; Gv 14, 26).
Anche, per esempio, nello sport, prendiamo il calcio, vediamo che vi possono essere allenatori che scoprono moduli, tattiche, metodi, nuovi e validi ma che magari possono perdere in efficacia per una certa mancanza di capacità di comprendere le situazioni reali e di adattarsi a esse. Un tendenziale vivo, sempre più ricco, approfondimento anche adattativo ha forse permesso di fare grandi progressi anche nella comprensione complessiva di questo gioco. E se è così si può forse osservare che la passione di molti per il calcio può avere fortemente stimolato una sempre nuova, viva, comprensione concreta di questo sport.
La passione, l’amore o, al contrario, il ripiegamento su di sé possono in vario modo e misura orientare, comunque di fatto avere influenza pratica, sulla vita di molti altri anche, per esempio, tra i pastori. Vi possono, per esempio, essere confessioni cristiane non cattoliche che a livello di singola diocesi professano l’unità, di origine trinitaria, intorno al vescovo ma poi, da profano domando, forse tra diocesi non lasciano emergere così profondamente lo stesso bisogno. Non sono in grado di dire in modo approfondito se la situazione possa talora manifestarsi proprio così ma si può trattare comunque di un esempio che può far riflettere in tante circostanze, anche in campo cattolico. La vita dei pastori è decisiva in mille modi nella Chiesa, nella società. Mi domando se questo non sia un punto sul quale si possa riflettere e anche poi concretizzare molto di più con grande beneficio per tante persone. Come fare in modo che prevalga il desiderio di donarsi come singole persone e come collegio cercando di superare possibili, invece, difese, ripiegamenti, corporativi? Cosa può determinare l’eventuale prevalere di una tendenza positiva o il suo contrario? È la sempre più profonda, innovativa, conversione dei pastori un punto di capitale importanza per la vita della Chiesa?
Un aspetto decisivo in tali direzioni può rivelarsi quello dell’attenzione a sviluppare una sempre rinnovata spiritualità in Cristo. Il suo condurci, nello Spirito, verso la verità tutta intera (Cfr. Gv 16, 13; Gv 14, 26), dunque verso una fede, un amore, una speranza, un’umanità, sempre rinnovati ci può stimolare a una profonda, continua, conversione, non sedendoci sulla grazia già ricevuta ma cercando vissutamente sempre più la vita per noi e per gli altri. Potendo così scoprire lo sciogliersi di nodi, l’aprirsi di strade, l’avvicinarsi di cuori, il rinascere di persone, di situazioni…
Chiaro che il continuo rinnovamento dei pastori può avvenire tendenzialmente in modo più facile se, su questa scia, si sviluppa la tendenza a nominare come nuovi vescovi persone che non siano formate sulle vecchie strade, in genere spiritualiste, razionaliste, pragmatiste. O, perlomeno, in questa fase di passaggio, si rivelino persone disponibili al dialogo profondo, al rinnovamento non spiritualistico, razionalistico, pragmatistico, ma spirituale e umano.
Ho già osservato in precedenti interventi che spiritualismo, razionalismo, pragmatismo, possono talora non poco ostacolare un sempre più attento ed equilibrato discernimento, astrattizzando e burocratizzando in varia misura la vita di intere Chiese.
Immaginiamo un collegio dei vescovi in continuo rinnovamento? Quante strade si possono aprire, sviluppare, in tutta la Chiesa e anche nella società. Chissà se non sta giungendo un tempo in cui a rinnovare la Chiesa non sarà un singolo san Francesco ma, tra l’altro, un collegio episcopale nel quale prevalgono coraggiosamente, generosamente, le spinte a diventare sempre più, insieme, tanti san Francesco, seguaci sempre più fedeli e perciò innovativi, creativi, del Gesù dei vangeli. Se, per esempio, la possibile proposta, presentata a una valutazione comunitaria, di cercare una più effettiva vicinanza del vescovo alla sua gente (si veda qui) può avere in qualche modo un senso questo orientamento può forse tendenzialmente andare anche, tra l’altro, nella direzione di uno spogliamento, per il pastore, da ricchezze e potere che può rendere forse più facile una sua continua conversione. Abbiamo visto sopra il possibile esempio dell’unità, nella fede, intorno al vescovo nel suo territorio e di una mancata unità, per la stessa fede, tra vescovi, tra diocesi. Com’è possibile, così, tornare, per esempio, all’unità dei cristiani? Dunque sarebbe forse, Dio volendo, più che necessario cercare ogni via per la sempre più profonda conversione concreta dei pastori. Evitare, per esempio, che possa accadere che i fedeli delle diverse confessioni cristiane siano fondamentalmente ben disposti all’unità mentre i pastori siano condizionati da motivazioni variamente terrene. Magari una confessione cristiana può offrire un suo contributo anche, tra l’altro, ecumenico con i vescovi che cominciano a «spogliarsi», per esempio, eventualmente, nella direzione al link sopra indicata. La situazione attuale nella Chiesa cattolica potrebbe, per esempio, per qualche aspetto sottilmente indurre qualcuno ad aspirare per certi aspetti a diventare vescovo di diocesi sempre più grandi, rischiando di divenire un manager invece che un sempre più attento, vicino, pastore. Si può trattare in varia misura di dinamiche con rischi distorsivi che possono finire per influire in vario modo sulla vita di tutta la Chiesa.
Qui ho trattato solo alcuni possibili spunti in tali direzioni ma negli interventi precedenti si trovano possibili vie di un rinnovamento globale che possono in mille modi orientare anche nel senso del rinnovamento dei pastori.
Ritorno un attimo qui sul tema della vicinanza perché si può osservare forse che Gesù orienta fortemente nei Vangeli verso un amore che tende il più possibile, con discrezione, alla vicinanza concreta, quella che permette di partecipare profondamente, attentamente, alla vita dell’altro (cfr Lc 10, 27: “Amerai… il prossimo tuo”). Invece un certo spiritualismo, un certo astrattismo razionalistico, possono avere in varia misura svuotato, aiutato meno a intuire sempre più profondamente, le indicazioni gesuane, riducendole magari talora a un amore più generico, aereo.
Il tema della vicinanza concreta del vescovo alla sua gente può implicare, come ho osservato per esempio nell’intervento sopra citato, una rivitalizzazione di ogni aspetto della vita. Più a contatto diretto con il vescovo e con l’intera diocesi ogni essere umano, ogni situazione, ogni bisogno, può assumere un diverso peso spirituale e umano, anche una nuova familiarità, un nuovo coinvolgimento. Ci si può qui domandare se una certa possibile assenza di questa più concreta comunione non possa rivelarsi in qualche misura tra le cause, talora, dello sviluppo, per esempio, dei movimenti ecclesiali. Nel senso di una ricreazione a livello di movimento almeno di una certa qual vicinanza, anche e forse qui soprattutto, di un certo comune operare, che si possono essere fatti nelle diocesi variamente dispersivi. Cosa possono comportare per i movimenti diocesi più a misura d’uomo? Forse potrebbero orientare verso uno sviluppo dei loro aspetti positivi moderandone i, talora, possibili limiti spirituali, il possibile, in qualche misura, settarismo, etc.? Anche qui la carità cerca, insieme, il vero sviluppo mentre malintesi interessi possono orientare a un vario ripiegamento difensivo che in realtà spegne. Ma proprio per questo aiuta tanto la carità, piccola e povera, di tutti, a cominciare dal vescovo. Così in una città formata da piccole diocesi in congrue aree territoriali forse da un lato un movimento ecclesiale potrebbe venire stimolato a una positiva integrazione, alla partecipazione, alla vita diocesana, dall’altro potrebbe contribuire ad alimentare, a sviluppare, la comunione tra le diocesi vicine. Sono solo possibili spunti da, casomai, valutare insieme molto più approfonditamente. Ma che però possono tra l’altro aiutare a riflettere che l’«a misura d’uomo» può forse in tanti modi organicamente restituire, donare, nuova luce, vita, a molteplici aspetti dell’esistenza umana.
La dimensione, per esempio, delle diocesi può forse rivelarsi un tema comunque, a prescindere dalla sua varia possibile concretezza, denso di eventuali stimoli, di riflessioni, di scoperte, di rinnovate valutazioni. Per esempio può aiutare a riflettere meglio sui limiti di una sinodalità espressione di grandissime aggregazioni di persone. Mentre in una eventuale diocesi a misura d’uomo la sinodalità non è solo temporaneo dialogo ma vita quotidiana condivisa. La qual cosa può variamente incidere poi anche, per esempio, sui grandi sinodi mondiali.
Diocesi più a misura d’uomo possono forse stimolare a ogni livello e in ogni campo un diverso modo di vivere la globalizzazione. Possono dunque forse costituire una sempre più profonda risposta evangelica a una società che sta talora annullando l’umano. In vario modo un aiuto e uno stimolo per tutta la società. Osservo qui tra l’altro che l’«a misura d’uomo» può rivestire forme attrattive e di una certa efficacia operativa anche in ambiti non del tutto positivi come, per esempio, forme estreme di settarismo.
Se questione da valutare in modo positivo questa attenzione alle dimensioni e ai rapporti umani, comunitari, può comportare un profondo rinnovamento per esempio dell’urbanistica e un necessario maggiore coinvolgimento della società civile e politica nella sua varia interpretazione e nel suo vario sviluppo. Forse con problematiche, potenziali conflitti, non sempre di immediatamente facile soluzione ma anche con una possibile tensione, maggiore consapevolezza, dell’importanza di una convivenza, di una condivisione, di una costruzione, comuni. La dimensione «umana» può tra l’altro per l’appunto stimolare lo sviluppo delle identità personali, comunitarie e dello scambio, etc.. Anche da qui si può incidere, in un magari reciproco positivo influenzarsi, per esempio verso una scuola delle identità e dello scambio.
Si sentono talora valutazioni del pontificato di papa Francesco basate sulla crescita o meno del numero dei praticanti. Sono riflessioni che parlano da sole del riduzionismo, della superficialità, di certe visuali da tavolino. Potrei osservare in proposito molte cose ma basti qui notare che queste analisi da marketing avrebbero scartato e anzi, nemmeno considerato, Gesù Cristo stesso nel tempo della sua vita terrena.
D’altro canto e con queste premesse, in questa ottica, nelle parrocchie si possono trovare vie che avvicinano tantissime persone perché davvero vi è una strada, in Cristo, per essere sempre più adeguatamente vicini a ogni uomo. Certo le spiritualità possono essere molte ma anche da questa ricerca complessiva possono emergere in modo tendenzialmente sempre più profondo delle vie in varia misura comuni di avvicinamento a Cristo, Dio e uomo.
In questa strada di maturazione spirituale e umana, personale, comunitaria, ecclesiale, sociale, si può rinnovare a tutto tondo ogni sguardo. Si può sempre più chiaramente comprendere come una logica schematica, da tavolino, frammenta e spegne, in varia misura, tante visuali, tante problematiche. Anche negli interventi precedenti si può osservare come tante questioni ricevono luci insospettate da questo sempre vivo rinnovamento globale. Che non è un più riduttivo, intellettualistico, giustapporre discipline di studio. Che si possa trattare, in quest’ultimo caso, in varia misura di astrazione lo si può notare anche da una certa poca naturalezza, da un certo volontarismo, che non orientano più di tanto a un più profondo e vivo incontro. Un altro possibile esempio di scissione sta nella tendenza, talora, a vedere l’ecumenismo come un dialogo tra teologi sulle dottrine da un lato e un incontro affettivo, operativo, della gente «dal basso». In realtà proprio la vissuta, unitaria, sequela di Cristo permette un continuo rinnovamento. E questo emerge più chiaramente, per esempio, quando, su questa via, si passa dallo schematismo razionalistico alle mille sfumature della concreta vita vissuta. Anche sul tema della donna, solo per porre un altro esempio, sono in questi interventi usciti tanti possibili spunti scaturenti proprio da un cammino di rinnovamento globale.
Si tratta, circa questo rinnovamento, di una via semplice e tendenzialmente sempre più profonda. Le persone non troppo strutturate si ritrovano in essa facilmente e con gioia, liberate da tanti pesi inutili. E così intraprendono germinalmente una via profondamente innovativa. Le persone molto strutturate, in genere qualche guida, qualche intellettuale, possono in certi casi faticare a cogliere questa pista pure così tendenzialmente umana. Un possibile aspetto di questa fatica lo si può per esempio riscontrare nel sollievo col quale una persona può rilevare che in fondo, circa una certa pista, non vi è nulla di nuovo appena si presenta un qualche aspetto pur innovativo ma che ella può più facilmente ridurre alla sua comprensione. Allora tra l’altro non vi è, per lei, appunto nulla di nuovo e tanti spunti su quella pista emersi in precedenza, e specie il suo nucleo innovativo profondo, possono venire immediatamente ancor più facilmente dimenticati. Un dono dunque che possiamo sempre più chiedere, nella volontà di Dio, può essere quello della luce e della sete di luce. Un altro aspetto da tenere in conto è che il razionalista può ritenere che anche gli altri in sostanza ragionino in varia misura a tavolino. Anche ciò può comportare tutta una serie di discernimenti che possono da soli rivelare i propri fondamenti e, tra l’altro, per esempio, le difficoltà che questo vario orientamento può comportare in ogni campo, per esempio nella pastorale. Per esempio ci si inceppa in ragionamenti astratti senza cogliere con semplicità il senso delle cose, dell’amore, della gradualità della specifica crescita personale; si cerca, altro esempio, strumentalmente di appoggiarsi all’autorità di questo o quello ma poi quando questo o quello smentiscono certe fasulle interpretazioni allora la sincerità delle loro parole viene piuttosto automaticamente messa in dubbio.
Come osservato in precedenti interventi papa Francesco sta in molte cose stimolando un nuovo orientamento verso l’umano semplice e sempre più autentico. Per esempio il suo accogliere una certa persona non vuol dire, formalisticamente, canonizzarla, né canonizzare il suo pensiero, il suo stile di vita. Significa semplicemente accogliere, tendenzialmente, ogni uomo. Questo del vario, tra l’altro, formalismo può essere un’altra tendenza che alberga talora anche nella Chiesa. Calcoli, prudenze, cordate, inclusioni, esclusioni, citazioni negate (così ostacolando la conoscenza di importanti intuizioni, la comprensione della loro genesi, e anche il loro possibile sviluppo), formalismi vari, tutta una possibile serie di cose forse poco evangeliche che possono talora rischiare di diventare mentalità comune, diffusa. Forse bisogna anche in questo insegnare, per esempio, fin dal seminario a stare, con buonsenso, fuori da tutto ciò, ad affidarsi a Gesù e a vivere con semplicità. È anche rinnovando l’aria in queste piccole o più grandi cose che si rinnova la Chiesa e la società. Una mentalità, nella guida, della regola astratta, e non di un sereno aprire il cuore, può finire per assecondare supinamente anche tante regole umane che col Vangelo poco hanno a che vedere. Proprio come Gesù osserva nei Vangeli, per esempio in Mt 15, 1-9. Tra l’altro in quel brano alcuni farisei e scribi lamentano che i discepoli di Gesù non si lavano le mani quando mangiano il (dice il testo originale, in greco) pane. Una bella domanda dunque, tra le guide nella Chiesa, potrebbe forse essere talora questa: a quale criterio tutto terreno magari travestito di saggezza, di esperienza, posso stare dando spazio nella mia vita? Cerco nella preghiera, con impegno, nel dialogo, etc., di porre attenzione ai criteri eventualmente fasulli del mio discernere?
«In quel tempo, gli apostoli dissero al Signore: “Accresci in noi la fede!”. Il Signore rispose: “Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: ’Sradicati e vai a piantarti nel mare’, ed esso vi obbedirebbe. Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: ’Vieni subito e mettiti a tavola’? Non gli dirà piuttosto: ’Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e servimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu’? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: ’Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare’”» (Lc 17, 5-10).
Queste similitudini ci parlano proprio del graduale crescere di una piccola, semplice, fede ricevuta in dono e tendenzialmente accolta. All’inizio ci può sembrare in tante cose di essere noi a fare, Cristo lo sa e lo dice qui, comprendendoci (empatia, comprensività, di Gesù) ma poi scopriamo che lui ci ha portato, ci ha alimentato, tutto il giorno con l’Eucaristia, illuminando, vivificando, sempre più, tutta la nostra vita, personale, comunitaria, la vita del mondo. Questa parabola stimola dunque a non sederci, sottilmente, distrattamente, a una nostra tavola ma (in un cammino graduale dove il dono di un secondo di preghiera al mese può essere il granello di senapa che sposta le montagne) sempre più profondamente, per grazia e in cerca della grazia, alla sua. Di lui, dunque, che tutto rinnova. Come un lasciarsi gradualmente sradicare dalla terra delle nostre abitudini e piantare nel mare della fede.
«Disse loro una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi: “C’era in una città un giudice, che non temeva Dio e non aveva riguardo per nessuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: Fammi giustizia contro il mio avversario. Per un certo tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: Anche se non temo Dio e non ho rispetto di nessuno, poiché questa vedova è così molesta le farò giustizia, perché non venga continuamente a importunarmi”. E il Signore soggiunse: “Avete udito ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà giustizia ai suoi eletti che gridano giorno e notte verso di lui, e li farà a lungo aspettare? Vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?”» (Lc 18, 1-8).
Anche in questa parabola riscontriamo l’empatia di Gesù che comprende il nostro poter sentire talora Dio come un giudice lontano e indifferente alle nostre inermi, senza alcun potere, preghiere, sofferenze. E proprio da qui parte per aprirci gradualmente alla scoperta dell’amore sconfinato del Padre. Ma in questa parabola possiamo intuire, scoprire, gradualmente, che l’avversario più profondo della vedova non è qualche potere, qualche aiuto, che le manca ma la chiusura, magari ancora inconsapevole, in sé stessa, la poca fiducia, appunto, nell’amore di Dio e, in lui, di tanti possibili fratelli. La fede è dunque il primo dono da chiedere (= «fammi giustizia», Lc 18, 3) per ricevere sempre più pienamente ogni bene ed è anche un dono che possiamo, e in varia misura, concretamente accogliere o meno.