Le tre berrette rosse che arrivano a vescovi statunitensi nel concistoro del 19 novembre annunciato da Francesco all’Angelus di domenica 9 ottobrerappresentano un segnale. Il Papa mostra di non voler penalizzare la grande e potente Chiesa americana, ma al tempo stesso con la sua scelta dei nomi, indica una strada. La stessa che aveva indicato nel discorso da lui tenuto davanti ai vescovi degli States nel settembre 2015, nel primo giorno della sua visita a Washington. Bisogna tornare a quelle indicazioni per comprendere la scelta di aggregare al collegio cardinalizio tre nuovi porporati che un tempo si sarebbero considerati di «centro».
Quella per Kevin Joseph Farrell, nato in Irlanda ma per decenni vescovo negli Stati Uniti, appena nominato Prefetto del nuovo Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, «partorito» dalla riforma della Curia romana, era in fondo la berretta più scontata e prevedibile. Nel suo caso, l’indicazione significativa è stata quella di chiamarlo dagli Usa per presiedere il nuovo dicastero. Blase Cupich, a Chicago da due anni, è stata la prima nomina di Bergoglio in una diocesi di grande rilievo negli Usa. Mai entrato nelle rose dei candidati, il Papa l’ha scelto per cominciare a cambiare il modello dei vescivi «cultural warriors» americani. Infine, ancora più sorprendente, la nomina cardinalizia di Joseph William Tobin, arcivescovo di Indianapolis, allontanato dalla Curia romana dopo appena due anni da segretario della Congregazione per i religiosi perché considerato troppo «morbido» con le suore americane progressiste.
Quello nordamericano è apparso uno degli episcopati che più faticano a entrare in sintonia con Francesco. Negli ultimi decenni, attraverso la selezione dei nuovi vescovi, a capo delle più importanti diocesi statunitensi erano stati designati prelati attivissimi nelle pubbliche battaglie pro-life, meno attivi quando si trattava di alzare la voce di fronte ai problemi della giustizia sociale. Con quel discorso nella cattedrale di San Matteo a Washington diretto alla Chiesa americana, il Papa chiedeva di voltare pagina e cambiare sguardo. Il Papa invitava i vescovi a non usare un «linguaggio bellicoso» né a limitarsi solo ai «proclami». Bisogna invece «conquistare spazio nel cuore degli uomini» senza mai fare della croce «un vessillo di lotte mondane».
È certamente utile al vescovo, sottolineava Francesco, avere «la lungimiranza del leader e la scaltrezza dell’amministratore», ma «decadiamo inesorabilmente» se ci affidiamo alla «potenza della forza». I pastori non devono dunque trasformarsi in manager e guardare alla Chiesa con i criteri dell’efficienza aziendale. Non devono cioè pensare che l’evangelizzazione consista nei mezzi economici, negli strumenti di management o nella potenza dei mezzi di comunicazione.
Quanto all’atteggiamento verso la società, Bergoglio aveva detto: «Guai a noi se facciamo della croce un vessillo di lotte mondane», dimenticando che per vincere bisogna «lasciarsi trafiggere e svuotare di sé stessi». I vescovi dunque non possono lasciarsi «paralizzare dalla paura», rimpiangendo «un tempo che non torna» e reagendo con «risposte dure». Il linguaggio «aspro e bellicoso» non ha infatti «diritto di cittadinanza» nel cuore di un vescovo, anche se sembra «assicurare un’apparente egemonia». Divisioni e frammentazione sono ovunque, ma la Chiesa «non può lasciarsi dividere, frazionare o contendere». Un appello alla comunione e all’unità rivolto a una Chiesa fortemente polarizzata – come peraltro l’intera società americana – fra conservatori e progressisti.
La via che il Papa suggeriva, per superare le polarizzazioni, è quella della mitezza, del dialogo umile con tutti. Se non si agisce così, spiegava, «non è possibile comprendere le ragioni dell’altro» né capire che il fratello da raggiungere con «la prossimità dell’amore», cioè la persona, conta sempre di più delle posizioni «che giudichiamo lontane dalle nostre pur autentiche certezze». Francesco elencava infine i temi sui quali non si può tacere: «Le vittime innocenti dell’aborto, i bambini che muoiono di fame o sotto le bombe, gli immigrati che annegano alla ricerca di un domani, gli anziani o i malati dei quali si vorrebbe far a meno, le vittime del terrorismo, delle guerre, della violenza e del narcotraffico, l’ambiente devastato».
Non soltanto, dunque, l’agenda pro-life o contro le nozze gay. Non bastano «proclami e annunci esterni», non basta cioè fare atti d’accusa riportati dai giornali. Bisogna «conquistare spazio nel cuore degli uomini e nella coscienza della società». Come dire che non si evangelizza con le battaglie. Siate «pastori vicini alla gente pastori prossimi e servitori», era stato l’invito finale del Pontefice. Con le porpore statunitensi appena annunciate, Francesco concretizza le parole pronunciate a Washington un anno fa